Vagando sulla rete trovo delle considerazioni in merito alla coppia Destra/Sinistra che sembrano confermare un pensiero diffuso. Tralascio gli esempi e mi soffermo sulle conclusioni: «Destra e Sinistra sono definizioni vuote e residuali, illusioni. Etichette che appartengono ad una visione ipersemplificata della realtà, basata su un manicheismo ottuso e non propositivo». E dopo aver sostenuto che Berlusconi e la Lega Nord non possono esser considerati soggetti “di destra”, il nostro blogger sentenzia che: «È davvero il tempo di rubricare Destra e Sinistra alla voce "categorie logiche desuete", e far posto a nuove idee».
Non si tratta di osservazione nuova, né originale. Da molto tempo essa ritorna sulla scena. Negli anni Sessanta Giorgio Galli aveva osservato che nei momenti di crisi politica quella distinzione diventava inefficace.
Nei primi anni Ottanta, in un convegno sulla Sinistra, si erano trovati concordi un filosofo come Massimo Cacciari e uno psicanalista come Elvio Fachinelli, nel sostenere l’insignificanza di quella coppia concettuale, e ambedue, da diversi approcci metodologici e disciplinari, avevano asserito che in realtà, a ben vedere (secondo loro), tra i due era il terzo concetto – non espresso, ma fondamentale – a esser quello decisivo: ossia il centro. Si è destra o sinistra rispetto a un centro.
Cacciari aveva anche affermato che la dicotomia intende «indurre a scelte operative nette, tese a includere o a escludere rapidamente e efficacemente dal governo interi gruppi, interessi, culture», secondo una rappresentazione del mondo che, anche da parte di coloro che si pretendono o si considerano di sinistra, in realtà era schmittiana, ossia adottava la logica tremenda ed elementare della contrapposizione estrema fra amico e nemico. (E anche se così fosse? - mi chiedo…: la politica è anche contrasto assoluto, radicale; non è mica riducibile all’arte della composizione o a quella della mediazione!).
Dopo il 1989, la fine della differenza divenne quasi un leitmotiv, che faceva da corollario alla tesi, peraltro risalente agli anni Sessanta, ma riproposta con rinnovato vigore appunto dopo il crollo del Muro, della cosiddetta “fine delle ideologie”. Che era, come tutto il gran parlare che si fece allora, una forma vistosa, pesante, di ideologismo. E si trattava di una ideologia di destra, per l’appunto.
Ma è proprio così? Ossia, la distinzione tra Destra e Sinistra ha perso la sua pregnanza? E quando l’avrebbe persa? O non l’ha mai avuta?
Era questo, in fondo, il punto di partenza di Norberto Bobbio, circa a metà degli anni Novanta, esattamente dieci anni prima della sua morte, quando si pose il problema di ridefinire Destra e Sinistra. C’era un assunto nella sua posizione, la volontà di dimostrare l’ineludibile necessità di questa dicotomia. E di qua prenderemo le mosse.
Ma prima vale la pena di ricordare che le due parole partono con connotazioni diverse e divergenti: ossia destra rinvia a ciò che è retto, giusto: alla destra del Padre, com’è noto, stanno gli eletti; a tavola ancora oggi alla destra del padrone o padrona di casa siedono nell’ordine di vicinanza gli ospiti più importanti; mentre la sinistra, è il luogo della colpa, sul fianco sinistro di Adamo, è tolta la costola da cui viene formata Eva, che nasce dunque con questa colpa originaria, che sarà poi confermata dal suo cedimento alla tentazione del serpente. La sinistra è il lato del male, delle lugubri premonizioni, della deviazione dalla “retta” via: si pensi alla lingua tedesca. Die Rechte, che ha radice che rinvia al latino regere, governare, ma anche semplicemente reggere, appunto; donde in italiano anche «retto», che significa diritto ma altresì onesto. Un governo retto sarebbe dunque un governo di destra?! Il governo retto se rimaniamo sull’asse della geografia politica in realtà sarebbe un governo di centro… Ma in realtà il problema è sulla sinisteritas. E se è vero che l’italiano annette anche significati negativi a questo lato sinistro, e alle parole che lo richiamano (un sinistro figuro, una situazione sinistra…; o si pensi alla damnatio, che dall’antichità del primo Cristianesimo giunge a noi, contro i mancini, ossia coloro che invece della destra ricorrono all’uso della mancina, ossia la mano sinistra), anche in altre lingue, si affaccia, con minore forza, tuttavia, non di rado una sfumatura, quanto meno, negativa relativa alla Sinistra.
Torniamo alla coppia Destra/Sinistra. E chiediamoci, a partire dall’epoca della Grande Révolution, che cosa costituisca l’elemento della divisione, della distinzione, della contrapposizione. Certo, sappiamo che la distinzione nasce all’Assemblée Nationale (detta poi Costituente) nata per separazione dagli Stati Generali riuniti a Versailles, dal re, dopo una lunghissima assenza di questo organismo dalla vita politica francese. Esattamente il 5 maggio 1789, si verifica il primo forte contrasto sul voto (il Terzo Stato chiede, sulla base del pamphlet di un abate “traditore”, Jean-Baptiste Sièyès, che si applichi il principio basilare della democrazia “una testa un voto”), a cui segue il 17 giugno la rottura: spostati i lavori a Parigi, il Terzo si riunisce in separata sede – la famosa Sala della Pallacorda – dando vita appunto all’Assemblea Costituente, alla quale poi si uniranno anche i rappresentanti degli altri due Ordini (o Stati):Clero e Nobiltà. Questi, forse sulla base della tradizione cristiana, andranno a sedersi sul lato destro della sala, e rapidamente, la dicitura destra alluderà alla posizione conservatrice, e sinistra a quella progressista. All’interno di questa, tuttavia, che comprende varie fasce del Terzo Stato, si determinano ben presto differenze che si trasformeranno rapidamente in rotture clamorose, e in insanabili contrasti, acuiti dall’entrata in scena di un altro “Stato”, il Quarto: ossia i ceti popolari urbani, che il 14 luglio assaltano e incendiano l’odiata Bastiglia, simbolo dell’Ancien Régime, di cui la destra, ossia Clero e Nobili, sono tuttora difensori accaniti; il popolo parigino poco dopo verrà imitato dai contadini, che avvieranno le azioni nelle campagne contro i diritti feudali. In una parola, è la Rivoluzione. La più grande dell’era moderna, quella da cui siamo nati politicamente. Le sue parole d’ordine, notissime (Liberté Égalité Fraternité) sono, incredibilmente, ancora protagoniste del dibattito politico odierno, e racchiudono largamente il senso del contrasto fra Destra e Sinistra.
Esse, peraltro, rinviano a un autore, che spicca su ogni altri: Jean-Jacques Rousseau. Il ragazzo Gavroche (una sorta di archetipo del gamin parisien), nei Miserabili di Hugo, canticchia sulle barricate repubblicane del 1832 dove troverà la morte, una canzoncina di sua invenzione «C’est la faute à Rousseau» (ma anche: «C’est la faute à Voltaire»). La colpa è dunque di Rousseau, nel caso di specie. Quale colpa? Quella precisamente indicata nel trattatello Sull’origine della disuguaglianza tra gli uomini con il quale il giovane Jean-Jacques partecipò, per la seconda volta, a un concorso dell’Académie de Dijon: si era a metà del secolo dei Lumi (1752 il concorso, tre anni più tardi la pubblicazione del testo). Il tema proposto dagli accademici digionesi era appunto l’origine della disuguaglianza tra gli uomini e se essa fosse autorizzata dalla «legge di natura». Rousseau, come è noto, rispose in modo forte, fortissimo, aprendo una breccia che non fu mai più sanata nel pensiero liberale, e attraverso di essa sarebbero passate le pulsioni del moderno socialismo e comunismo. Ossia le matrici identitarie della Sinistra. Una frase in quel testo assai nota, e dice quasi tutto: «Le premier qui, ayant enclos un terrain, s'avisa de dire “Ceci est à moi”, et trouva des gens assez simples pour le croire, fut le vrai fondateur de la société civile». Il primo che avendo recintato un pezzo di terra si spinse a dire “è mio”, fu il fondatore della società civile»; espressione che non ha certo un valore positivo nello scrittore ginevrino. Di là, insomma, nacquero i guai, le ingiustizie, le guerre. Dalla proprietà, ossia dalla disuguaglianza politica. Che in realtà è, come è evidente, economica, in quanto essa nasce dalla proprietà privata: non è un dato naturale. O meglio… Esiste una disuguaglianza di natura (fisica) ed esiste una disuguaglianza «morale o politica» la chiama lui; ossia una disuguaglianza artificiale. Questa disuguaglianza nasce dalla violenza o dalla frode. Ma solo l’ignoranza – Rousseau parla di gente “semplice”: che per noi non significa solo ingenuità, ma ignoranza, appunto – degli altri, li rende vittime, e permette ai carnefici di imporsi.
La novità della posizione russoiana consiste nell’affermazione che l’uguaglianza, all’interno di una società moderna, non può limitarsi al piano giuridico (tutti uguali davanti alla legge) o politico (a tutti il diritto di voto o quello di essere votati: elettorato attivo e passivo), ma deve concernere le sostanze: ossia l’economia, la posizione degli individui rispetto alla ricchezza. Su questo concetto di uguaglianza – sostanziale – Rousseau disegna, senza forse neppure una piena consapevolezza e coerenza, la linea di demarcazione fra la destra e la sinistra.
Nella Rivoluzione che in qualche modo tesaurizza l’insegnamento russoiano, le diverse correnti della “Sinistra” si articolano e presto configgono proprio sul significato da attribuire al concetto di uguaglianza. La distinzione essenziale è tra la concezione riduttivistica, formalistica, e quella contenutistica o sostanzialistica. Ma, al di là dei contrasti, dei furori e degli estremi, al di là del sangue e dei morti, la modernità politica si incentra sul concetto di uguaglianza; anche all’interno di coloro che la Rivoluzione fecero si definisce un quadro complesso, fra sostenitori di uguaglianza formale e uguaglianza sostanziale, secondo uno schema che si era prodotto in realtà nell’ambito della Rivoluzione Inglese, un secolo avanti il trattato di Rousseau: la prima Rivoluzione, quella di Cromwell (1648), nel cui crogiuolo nascono gli estremisti dei Levellers e dei Diggers; l’uguaglianza che Cromwell neppure prende in considerazione, viene proposta dai primi sul piano formale e politico, mentre i secondi, gli zappatori – la parola ci rinvia a una condizione sociale, a una classe – essa vive nella sua sostanza economica.
Ritorno all’altra Rivoluzione, quella francese. In essa, la Sinistra (estrema) fu incarnata da François-Noël Babeuf, che cambia il nome proprio in Gracchus, con evidente riferimento a una delle prime espressioni effettuali della sinistra ante litteram: la battaglia dei Gracchi per i diritti della plebe a Roma. Babeuf è l’animatore della congiura che lo porterà a morte: detta appunto “degli eguali”. Quella congiura, scoperta come sempre grazie all’impiego di infiltrati della polizia, era in realtà un episodio della lotta di classe che continuava in seno al Terzo Stato, dal quale cominciava a staccarsi, per individuazione, il Quarto; gli interessi di proletari e borghesi, uniti nella lotta contro nobiltà e clero, erano divergenti e contrastanti; antagonistici, fino all’uso da parte degli uni e degli altri, della violenza estrema.
Dopo la Rivoluzione e la sconfitta dell’ipotesi della uguaglianza sostanziale, il dibattito rimarrà incentrato su quel concetto: Tocqueville, nella prima metà del secolo XIX proporrà una sorta di via di mezzo tra forma e contenuto, tra uguaglianza formale, ossia giuridica e politica e uguaglianza sociale, ossia sostanziale, economica. La sua Égalité des conditions, che anticipa le Lebenchancen del pensatore tedesco Ralph Dahrendorf negli anni Ottanta: l’uguaglianza delle possibilità. Una proposta moderata, politicamente, che oggi apparirebbe estremista a molti. Che vuol dire in sostanza: ridurre se non eliminare le differenze di partenza. Ma questo sarebbe possibile in uno Stato retto secondo princìpi liberali? Lascio sospeso l’interrogativo. E torno ancora a Tocqueville: quello che conta soprattutto è che Tocqueville individua come elemento distintivo,caratterizzante, della democrazia, non la libertà, bensì l’uguaglianza.
Ebbene, sull’uguaglianza si gioca, e torno a Bobbio, la differenza essenziale tra Destra e Sinistra. Negli ultimi suoi anni, quelli in cui appunto vergò quelle illuminanti, ma anche semplici paginette, Bobbio diede un significato via via più forte all’uguaglianza, raccogliendo la sfida di Tocqueville, ossia vedendo in essa precisamente l’elemento cruciale della democrazia, che il filosofo piemontese interpretava, alla fine della sua carriera di formalista e neopositivista giuridico, in termini ben più attenti ai contenuti di quanto non avesse fatto in passato. La democrazia gli appariva un sistema in cui si realizzava lo sforzo di una sempre maggiore riduzione delle disuguaglianze o in positivo del raggiungimento di una sempre maggiore uguaglianza in relazione ai tre campi fondamentali: culturale economico politico. La Sinistra, diventava in tale quadro, il soggetto promotore di questa politica; la Destra il soggetto che le si opponeva.
Altre coppie concettuali vengono spesso tirate in ballo per spiegare la differenza tra Destra e Sinistra. Per esempio Libertà/Autorità; Conservazione/ Progresso; Tradizione/Innovazione; e così via. Esse andrebbero tutte analizzate partitamente, cosa che qui è impossibile da fare. Ma si può affermare che risultino non solo insufficienti, ma spesso persino fuorvianti, specie se si bada al fatto che parole come Destra e Sinistra sono mutevoli, a seconda dei contesti storici, in cui si collocano nel corso del tempo. Oggi, ad esempio – diciamolo subito la Destra internazionale non è affatto identificabile nella conservazione né nella Tradizione, come lo era ai tempi degli Illuministi e successivamente dei Giacobini russoiani. Oggi la Destra è per il cambiamento, per l’innovazione, per quello che comunque chiama «progresso» o addirittura «riforme». Quanti esempi ci offre l’attualità non soltanto italiana? Ma certo, la politica nostrana sembra all’avanguardia: il «novitismo» (per dirla con Giovanni Sartori) è una malattia della Destra che però ha contaminato la Sinistra o quel che di essa rimane. Al punto che, anche su questo aspetto – che non è soltanto linguistico e concettuale – si può parlare come è stato fatto di «due destre» (Marco Revelli). Persino il passaggio dai Governi Berlusconi-Bossi, al Governo Monti può, almeno da un certo punto di vista, letto come un passaggio di mano da una destra – rozza, volgare, aggressiva, inconcludente – a una destra provvista di un background culturale spesso notevolissimo, operativa, concreta. Tra l’altro questo sfata anche una delle tante rappresentazioni semplicistiche al limite del caricaturale per cui la Sinistra sarebbe depositaria della cultura e la Destra sarebbe tutta dominata dall’ignoranza. C’è Bossi, e c’è Passera; c’è Berlusconi e c’è Monti; c’è Borghezio e c’è Lorenzo Ornaghi. Marcello Dell’Utri è un raffinato uomo di libri, aggiungo, un appassionato collezionista di testi preziosi...
Né appare risolutiva un’altra contrapposizione per distinguere le due ali del campo politico: ossia la Destra come luogo della violenza, e la Sinistra del suo rifiuto (la Rivoluzione non è un pranzo di gala…); oppure attribuire alla Destra tutti i maschi machisti, sessisti, mentre la Sinistra terrebbe sotto le sue tende uomini e donne (e LBGT) attenti, delicati. Né come pure talora si sente, la Sinistra ama gli animali (quelli non umani), e la Destra è tutta per la vivisezione. Hitler adorava il suo cagnolino. E la letteratura è debordante di personaggi del genere, ferocemente di Destra, e deliziosamente animalisti.
Si tratta insomma non solo spesso di luoghi comuni, ma che, soprattutto, non colgono il cuore della differenza. Certo, oggi, un po’ dovunque, i confini fra Destra e Sinistra appaiono persino evanescenti, e se vagamente emergono in campagna elettorale, alla stregua delle politiche messe in essere, appare assai difficile distinguere gli uni dagli altri. In Italia tutto questo processo, si manifesta forse in modo più evidente, essendo il nostro il Paese nel quale viveva e aveva un ruolo importante un Partito che si chiamava comunista, e che orgogliosamente ricordava di essere «il più grande Partito comunista dell’Occidente». L’Italia è il Paese che ha inventato il concetto di Centro-Sinistra (seguito a ruota da Centro-Destra): una nazione, insomma, che confonde le proprie coordinate teoriche e quindi non può che fare proposte e portare avanti scelte politiche confuse. E la Sinistra ha perso quel baricentro dell’uguaglianza su cui ho insistito finora.
La Destra, oggi, che cosa vuole? Pagare meno il tempo di lavoro degli individui impiegati nelle aziende d’ogni ramo; aumentare la produttività; ridurre al minimo ogni tipo di “gravame” , ossia gli oneri relativi alla sicurezza sui luoghi di lavoro, contribuzione previdenziale, servizio sanitario; eliminare qualsiasi benefit tradizionalmente assicurato ai dipendenti, di basso rango (relativi ad abitazione, acquisti aziendali, assicurazioni, gite, familiari, nidi d’infanzia, vacanze…), per aumentare quelli – moltiplicandone la natura, giungendo fino alle escort concesse ai manager – per i dirigenti di alto e altissimo livello. Al contempo la Destra mira a eliminare ogni “laccio e lacciuolo”, ossia i controlli pubblici, le verifiche ambientali, di sicurezza delle merci prodotte e della vita e salute dei lavoratori, ad addossare alla collettività gli oneri ineliminabili, massimizzando e privatizzando, e sottraendo al controllo sociale i profitti. E nel lavoro subalterno prova a cancellare o ridurre al puro simulacro (come accade nella società politica, con la forma democratica, che rimane in piedi mentre si afferma una sostanza assolutamente estranea alle procedure e al senso stesso del “potere del popolo”), i diritti acquisiti dai lavoratori e lavoratrici.
Nella società la Destra cerca di impadronirsi, sottraendolo al Pubblico, settori chiave quali Sanità Istruzione Ricerca. E cerca di imporre modelli, specie nei due ambiti fondamentali (Sanità e Istruzione), che istituiscano nuove, truci gerarchie; tra chi può pagarsi una scuola d’élite, e chi deve andare in sottoscuole e sottouniversità; tra chi può sostenere il costo di un’assicurazione privata e chi dovrà aspettare anni per un intervento chirurgico, mesi per un esame diagnostico, e così via.
E la Sinistra? Non contrastando la filosofia di questo tipo di posizione, diviene inevitabilmente succube degli orientamenti politico-sociali della Destra, la quale oggi appare vincente sul piano ideologico. Non però sul piano sociale. Un piano in cui le politiche e la ideologie aggressive e selettive della Destra tendono a creare sbandamento, paura, oltre a fragilità economica dei soggetti a reddito fisso, medio-basso, e a marginalizzare sottoccupati precari lavoratori in nero e migranti. Per tenere a bada i loro timori (fondati) si criminalizza l’immigrazione e si insiste sul tema della sicurezza, non quella ambientale, stradale, aerea, alimentare o lavorativa, bensì quella generica della criminalità, rispetto a cui i dati ci confermano che non esiste alcun allarme sociale, che nondimeno viene indotto, da politici, ideologi e opinionisti della Destra. Qui siamo davanti anzi a un vero cavallo di battaglia. E di nuovo, la Sinistra appare afasica, balbettante, quando non del tutto o quasi del tutto, corriva a questo tipo di impostazione.
Lo Stato che la Destra sta mettendo sul banco degli imputati (eppure storicamente la Destra, non la Sinistra è “statalista”: si ricordi il motto che unisce Mussolini ad Alfredo Rocco: “Nulla fuori dello Stato, nulla contro lo Stato, tutto dentro lo Stato”), viene improvvisamente invocato per salvare comitati d’affari nascosti nelle pieghe del sistema bancario, che ha portato l’intero sistema al tracollo economico o per dedicarsi a tempo pieno alla caccia allo spacciatore, al tossico, al ladruncolo, all’immigrato in quanto potenzialmente criminale.
Ecco cosa sul piano politico identifica la Destra, ma che la Sinistra non riesce a contrastare, perché ne appare quasi sedotta e conquistata.
Sul piano politico pratico. Ma, tornando al piano della teoria, chiediamoci se oggi ci basti il discrimine Destra/Sinistra fondato sul tema uguaglianza/disuguaglianza. Anche sgombrato il campo dalle spiegazioni della differenza Destra/Sinistra, discutibili e fallaci, a cui ho fatto riferimento, la Destra è soltanto la politica della disuguaglianza? È innanzi tutto questo, indubbiamente. Dai testi dei Controrivoluzionari (a partire da Edmund Burke in avanti), alle prime pagine di quotidiani come «Il Giornale» o «Libero», la Destra si identifica essenzialmente e prima di tutto nel rifiuto del principio russoiano, e anzi i suoi teorici e propagandisti insistono sulla naturalità della disuguaglianza e utilità e ineliminabilità delle gerarchie. Perché disuguaglianza implica appunto gerarchia. E gerarchia feroce. Tanto fra gli individui, quanto fra quelli che i teorici nazionalisti chiamavano «individui maggiori», ossia i popoli.
E questo ci fa guardare a un altro elemento che caratterizza la Destra, distinguendola, anche storicamente, dalla Sinistra: ossia, la propensione alla guerra; tema invece del tutto assente in Bobbio, in questo tipo di analisi (il che non stupisce se pensiamo al Bobbio sostenitore di alcune delle più terribili tra le «nuove guerre» post 1989, dal Golfo al Kosovo; ma stupisce pensando al Bobbio attento analista del fenomeno guerra).
Disuguaglianza, gerarchia, indicano sopraffazione dei deboli da parte dei forti. La guerra è appunto una modalità delle relazioni internazionali che implica il tentativo di chi si sente forte di pesare su chi ritiene essere debole, anche se poi i risultati non sono sempre quelli attesi dagli aggressori, dalla Seconda guerra mondiale alla Guerra del Vietnam…
In vero, non è solo in nome della teoria dell’internazionalismo proletario, che la guerra non appartiene al bagaglio teorico politico della Sinistra; è anche perché nelle guerre, all’interno dei corpi militari che si confrontano e si scontrano, sono i “poveri diavoli”, gli individui provenienti dalle classi umili (storicamente i ceti rurali, prima degli altri) a fare la guerra, la famosa “carne da cannone”. Ossia i ceti di cui la Sinistra si rende o vuole essere interprete, rappresentante dei loro interessi sociali.
Oggi, per di più, la guerra è particolarmente feroce, totale, indiscriminata, contro civili, territorio, ambiente. Con conseguenze i cui effetti possono durare nei decenni. Ma l’opposizione alla guerra come elemento caratterizzante della Sinistra attiene anche, di nuovo, al problema dell’uguaglianza. Nella guerra i soldati combattenti sono provenienti dalle classi subalterne (subalterno è anche il termine correntemente impiegato per alludere a chi non comanda, a chi ubbidisce): è “di sinistra”, insomma, anche per questa ragione, opporsi alla guerra e in generale l’attitudine antimilitarista (che non va confusa con la scelta nonviolenta; antimilitarismo è l’opposizione al sistema militare, con le sue gerarchie, con i suoi riti, con i suoi comandi indiscutibili, con la sua disciplina ottusa).
Il che ci conduce a un’altra accezione di Sinistra che non troviamo in Bobbio: ossia essere di Sinistra implica una scelta di campo, una scelta netta (di qui le critiche a mio avviso non condivisibili a cui accennavo prima), a favore di un soggetto sociale preciso, la cui identificazione e denominazione può variare nelle diverse latitudini o contesti storici, ma che in ogni caso rinvia appunto, di nuovo, ai “subalterni”: la «fraternité» della Grande Révolution, allude all’empatia con cui i soggetti della Rivoluzione, anche quando provenienti dalle classi privilegiate, per origine, dovrebbero , in base a quella scelta di campo, schierarsi. La Sinistra si schiera dalla parte dei deboli, la Destra da quella dei forti: «La France forte», per fare un esempio, è il finale del messaggio video di Sarkozy che è circolato nella campagna elettorale. Un messaggio siffatto non potrebbe mai essere un messaggio di Sinistra.
Fraternità significa solidarietà, ma non nel senso che la Destra italiana di inizio Novecento propagandava: per loro solidarietà significava superamento della lotta di classe nel nome di un presunto interesse nazionale, di benefici comuni che la rinuncia allo sciopero, e più in generale alla tutela degli interessi “di classe”, avrebbe comportato. E la solidarietà interna avrebbe implicato la traslazione della lotta verso l’esterno: dalla lotta di classi alla lotta di nazioni, ossia la guerra.
La solidarietà/fraternità della Sinistra è vedere in ogni altro simile (e dissimile!), un fratello potenziale, nel senso di individuo al quale dare e dal quale ricevere, una creatura come noi, gettata sulla Terra, e dalla sorte, o dalla sua incapacità fisica o mentale (ecco la disuguaglianza naturale ammessa da Rousseau) non sia in grado di procacciarsi, come noi, nutrimento e in generale mezzi di sopravvivenza.
Solidarietà nel senso della fraternità significa la cura, prendersi cura di chi ne ha bisogno. Come ha scritto recentemente un filosofo spagnolo, Manuel Cruz, certamente il filosofo “di Destra” non può sentire (deve: e allora ecco l’elemento identitario) nella sua carne il dolore per chi soffre; nel senso che se ne disinteressa, preso da altri obiettivi di pensiero. Invece proprio nella solidarietà umana, meglio ancora nell’empatia con l’altro, con chi soffre, nella condivisione della sofferenza altrui, nella carne, e nello spirito, ma nella contemporanea volontà di vincere le cause di quella sofferenza – cause sociali, cause che attengono all’organizzazione ingiusta delle società nazionali e della società internazionale –, sta l’identikit della persona di sinistra. Non basta cogliere le disuguaglianze e le ingiustizie, con la testa; non è sufficiente com-patire chi ne è vittima; il terzo requisito è la volontà di battersi contro l’ordine ingiusto del mondo, ad ogni livello, a partire dalla famiglia (penso ai «femmicidi» e «femminicidi» – l’antropologia americana spiega che esiste una differenza tra i due concetti, il primo sempre portatore di morte, il secondo no – che stanno rivelandosi un elemento che distingue la nostra società, in particolare proprio quella italiana). Il che non implica necessariamente, in ogni circostanza, scendere in piazza, fare le barricate, e neppure distribuire volantini, incollare manifesti.
Ci sono molti modi per lottare. E questo – un corso di Cultura politica – è anche un modo per lottare contro le ingiustizie; e dunque essere di sinistra e fare «qualcosa di sinistra», per citare la celeberrima battuta di Nanni Moretti, che si accontentava (nel film Aprile) di chiedere al leader del Partito post-comunista di “dire” «qualcosa di sinistra». E la prima ingiustizia è la carenza o l’assenza di cultura, a cominciare dalla cultura politica, il deficit linguistico e concettuale che finisce per aggravare le altre disuguaglianze, e non facilita la nostra presa di coscienza, il nostro processo di responsabilizzazione, di costruzione della cittadinanza attiva.
A questo, modestamente, vorrebbe dare un contributo, piccolo ma forse non inutile, la nostra iniziativa.
di Angelo D'Orsi da Micromega
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