domenica 27 maggio 2012

il “Bluff” sulle pensioni d'oro.


Interessante articolo , che in maniera semplice e chiara fa capire il “Bluff” sulle pensioni.

Come Sisifo spingeva un masso dalla base alla cima del monte, per mesi governo e Parlamento si sono impegnati in un compito logorante: mettere un tetto agli stipendi dei supermanager di Stato. Il 16 aprile sembrava cosa fatta, la notizia era certa: chi dipende dall’amministrazione pubblica non potrà guadagnare più di 293.658 euro. Un aiuto al taglio della spesa, quella «spending review» che l’esecutivo annuncia da mesi. E un contributo significativo, in ossequio alla logica che dovrebbe guidare ogni classe politica: come si possono tartassare i contribuenti senza dare l’esempio per primi?
Ma, come il macigno di Sisifo rotolava a valle ogni volta che sembrava avere raggiunto la cima, anche la legge sui compensi d’oro dei dirigenti pubblici va rivista, integrata, riscritta. Le commissioni parlamentari sono già al lavoro per porre rimedio a quello che, seppure in camera caritatis, molti deputati definiscono «un incredibile pasticcio». La norma, infatti,esclude dal taglio i vertici delle agenzie previdenziali, degli enti pubblici non economici, delle regioni. Avete presente il presidente dell’Inps, Antonio Mastrapasqua? Guadagna 1,2 milioni di euro all’anno e ha un bel numero di poltrone: salvo. Oppure il capo degli 007 del fisco, quell’Attilio Befera che guida l’Agenzia delle entrate ed Equitalia: illeso anche lui. O il dominus del Coni, Gianni Petrucci: dorma sonni tranquilli, per il momento.
Gli uffici legislativi del Parlamento non hanno dubbi: bisogna rimettere mano ad alcuni articoli. Alla Camera è già stato incaricato Giuliano Cazzola, grande esperto del ramo. Sarà lui il relatore dell’emendamento. «Bisogna mettere una pezza a una norma malfatta» ammette il deputato del Pdl. «È stata forzosamente inserita in un maxiemendamento all’ultimo minuto. Ma il governo doveva e poteva intervenire per correggerla. E non lo ha fatto».
L’intrico nasce poco prima di Natale, il 22 dicembre, quando l’aula approva il decreto Salva Italia. Fra le altre cose, viene fissato a poco meno di 294 mila euro il limite massimo agli stipendi dei manager statali. Cifra mutuata dal compenso che spetta al primo presidente della Cassazione. Il 30 gennaio 2012 il governo recepisce: trasmette alle Camere lo schema del decreto attuativo della norma che, due settimane dopo, il 14 febbraio, finisce al vaglio delle commissioni Affari costituzionali e Lavoro.
E qui si scatenano mille perplessità: decine d’interventi critici di deputati e senatori sono messi a verbale alla presenza del ministro della Funzione pubblica, Filippo Patroni Griffi. Che viene accusato dal suo predecessore,Renato Brunetta, di fornire «elenchi incompleti». In effetti la lista del governo con «le retribuzioni superiori a 294 mila euro» è scarna: contiene appena 51 nomi. Restano fuori interi settori dello Stato. E soprattutto gli svariati casi di cumulo. Befera, per esempio, è citato solo come direttore dell’Agenzia delle entrate, un incarico da quasi 294 mila euro all’anno. Peccato sia anche il numero uno della Equitalia, e a titolo tutt’altro che gratuito.
Il 29 febbraio le commissioni parlamentari danno parere favorevole allo schema, ma chiedono un intervento correttivo: bisogna estendere la norma ai dirigenti esclusi. I successivi ritocchi del governo, tuttavia, non risolvono il problema. L’ultimo atto è la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale della norma: mai più stipendi a carico dei contribuenti sopra i 293.658.
Sì, magari. Stilare una lista completa dei graziati (a loro insaputa, ci mancherebbe) è come far passare il classico cammello dalla cruna di un ago. Tutti gli enti statali e affini avrebbero l’obbligo di pubblicare sui rispettivi siti i compensi dei vertici, in pochi però lo fanno. Tra i risparmiati, per esempio, c’è la Sace: una società completamente controllata dal ministero dell’Economia che garantisce le aziende italiane nelle transazioni internazionali e negli investimenti. Un compito di grande importanza, tanto da assicurare ad Alessandro Castellano, l’amministratore delegato, 800 mila euro l’anno: quasi tre volte il tetto stabilito dalla legge. Che per lui, al momento, non vale. Sfuggito alla scure è pure Domenico Arcuri, il numero uno della Invitalia, agenzia nata per attrarre investimenti: 750 mila euro. E anche Giovanni Gorno Tempini, alla guida della Cassa depositi e prestiti, che guadagna poco meno di 524 mila euro. Così come Raffaele Ferrara, direttore generale dei Monopoli di Stato: 482 mila euro.
La legge metterebbe in salvo anche gli enti previdenziali, a partire dall’Inps.Mastrapasqua come presidente prende quasi 216 mila euro l’anno. Ma è solo uno dei tanti incarichi che gli permettono di raggiungere 1,2 milioni di euro. E altri cinque dirigenti dell’Inps superano la soglia. Come il direttore generale, Mauro Nori: 377 mila euro.
L’elenco degli enti amnistiati è sterminato. C’è il Coni, guidato da Gianni Petrucci: 400 mila euro l’anno. C’è l’Expo 2015: il suo amministratore delegato, Giuseppe Sala, viene retribuito con 390 mila euro. C’è la Consap, dove è approdato l’ex direttore generale della Rai, Mauro Masi: tra fisso e variabile, può arrivare a guadagnare 440 mila euro. E poi c’è la lunga schiera di manager e burocrati delle regioni. Come Giovanni Tomasello, segretario generale dell’assemblea regionale siciliana: ha uno stipendio netto mensile di 13.145 euro, all’anno fanno più di 400 mila lordi. Oltre 100 mila in più di quanto percepito da Manlio Strano, il suo omologo alla presidenza del Consiglio, cui invece il nuovo limite si applica.
E ora che si fa? Il pastrocchio è doppio: l’unica norma dal sapore anticasta varata finora dal governo Monti va modificata. Anche perché rischia un’ondata di ricorsi da parte di quei dirigenti per cui il tetto è già in vigore. Col rischio di mandare tutto a catafascio. Ipotesi che, vociferano malevoli alcuni onorevoli, non dispiacerebbe ad alcuni tecnici cooptati nel governo. Grand commis che, una volta fissate le elezioni, potrebbero tornare nell’olimpo della burocrazia. In quella giungla statale dove, da che mondo è mondo, tecnico non mangia tecnico.
di antonio.rossitto

Nessun commento:

Posta un commento