giovedì 30 giugno 2011

I benefici della cannella: Un estratto della nota spezia è risultate efficace nel prevenire e contrastare la demenza e l’Alzheimer.

 Lo studio


I ricercatori israeliani dell’Università di Tel Aviv hanno scoperto che un estratto di cannella può inibire lo sviluppo della malattia di Alzheimer, note per le sue devastanti azioni sul cervello delle persone colpite.



In questo studio, pubblicato su Plos One, e condotto dal dottor Michael Ovadia e i colleghi Ehud Gazit, Daniel Segal e Dan Frenkel del Dipartimento di Zoologia dell’UTA si valutata l’attività su modello animale di questo estratto chiamato CEppt.

Con questa sostanza hanno preparato una soluzione acquosa che è poi stata miscelata all’acqua che bevevano un gruppo di topi geneticamente modificati affinché sviluppassero una forma aggressiva di Alzheimer.



Al termine dei quattro mesi di test, i ricercatori hanno scoperto che l’assunzione di questa soluzione acquosa contenente l’estratto CEppt, aveva rallentato significativamente lo sviluppo della malattia. In più, la longevità dei topi programmati per sviluppare la malattie e che ne erano colpiti era del tutto simile a quella dei topi sani.



Un risultato sorprendente per i ricercatori; soprattutto perché siamo di fronte a un rimedio naturale estratto direttamente da un vegetale considerato dai più soltanto una spezia. Nonostante ciò, questa sostanza è in grado di inibire la formazione degli aggregati della proteina beta amiloide e dei grovigli neurofibrillari che si trovano nel cervello dei malati di Alzheimer, sottolinea Ovadia.

Oltremodo, durante i test in provetta, l’estratto si è mostrato capace di spezzare le fibre amiloidi. E questo può significare che l’estratto è in grado di previene lo sviluppo della malattia, e anche di aspirare a divenire un trattamento da somministrare nei casi in cui la malattia sia già in essere, concludono gli autori dello studio.

mercoledì 29 giugno 2011

La Notte rosa tra concerti, balli e teatro



Un milione e mezzo di persone in Romagna

E' stato ribattezzato il Capodanno dell'estate sulla Riviera Adriatica. Due giorni di festa. E' anche così che gli operatori del settore cercano di raddrizzare una stagione che sarà segnata dalla crisi

Un milione e mezzo di persone attese, più di trecento appuntamenti, decine di celebrities e star internazionali, quindici chilometri di lungomare pedonalizzato e illuminato tra Rimini, Riccione e Misano Adriatico: ecco la Notte Rosa 2011 pronta per il via di venerdì 1 luglio.



Per la sua sesta edizione il “Capodanno dell’Estate Italiana” ha scelto il tema del desiderio e della visione onirica, dell’immaginazione senza confini all’insegna del claim “Il sogno è qui”.



Un intero week end in cui due milioni di turisti potranno sognare lontano dal caos cittadino e dallo stress facendo il pieno di energia grazie all’illimitata offerta del territorio con i suoi ristoranti e i pacchetti soggiorno creati ad hoc per l’occasione.



“Le aspettative sono enormi”, dichiara l’ Assessore al Turismo della Provincia di Rimini, Fabio Galli, “Il capodanno dell’estate è ufficialmente un prodotto turistico autonomo e consolidato. Colpisce, oltre alla partecipazione, lo straordinario impatto mediatico. Il miglior viatico per i mesi di Luglio e Agosto sui quali il comparto turistico riminese ripone grande fiducia. E’ passato definitivamente il messaggio del divertimento sano dove lo sballo è out”.



La sesta edizione della Notte Rosa si dimostra ancora una volta il miglior racconto di Rimini, una Riviera che registra il tutto esaurito in un lungo week-end, per un appuntamento che ha nei fatti e nei numeri “sostituito” il Ferragosto.



“Ce la siamo tenuta stretta”, commenta il sindaco Andrea Gnassi, “la Notte Rosa è dentro di noi, dentro la nostra città, la nostra terra. Da scommessa che era oggi non è solo per chi viene da fuori il Capodanno dell’estate, ma un sentimento collettivo di comunità. E’ costruita sul nostro carattere, sulla nostra identità, ha la sua forza nel fatto che ognuno la interpreta come gli va, con il lavoro che fa: dalle categorie e dai privati che fanno sistema alla ragazzina con la parrucca in testa; dall’anziana in battigia con la maglietta rosa all’azdora. Le proposte musicali e culturali sfatano il mito che un evento popolare non possa essere di qualità, insieme al teatro e alla poesia che danno “profondità” nei luoghi della nostra storia. Un altrove irripetibile, dove “alto e basso” non si guardano male ma si cercano, si tengono e fanno la differenza, offrendosi a chi viene da fuori e facendoci sentire più uniti”.



“Molte capitali europee hanno organizzato la Notte bianca, ma noi non siamo Parigi o Roma”, continua Gnassi, “La nostra torre Eiffel e il nostro Colosseo sono dentro ogni persona della nostra terra. Il monumento interiore che ognuno di noi ha nel sangue è la disponibilità a capire gli altri, ad accoglierli”.



Insomma, il Capodanno dell’estate italiana cresce sempre di più portando quest’anno i suoi colori anche sul social network, per accompagnare il pubblico dentro il racconto attivo della Notte Rosa ed accrescere ulteriormente il tasso innovativo della kermesse, grazie ad una copertura capillare dei 110 km di festa attraverso Twitter, YouTube e Facebook.



“L’idea – spiega il regista dell’operazione”, l’Amministratore Delegato dell’ Azienda Promozione Turismo e Servizi Emilia Romagna Andrea Babbi, “è quello di continuare il percorso di innovazione continua che da sempre contraddistingue la Notte Rosa, con iniziative originali in grado di coinvolgere il pubblico e arricchire ulteriormente un format di enorme successo come Notte Rosa anche nelle arene 2.0”.



Per conoscere giorno dopo giorno tutte le sorprese e le iniziative che andranno in scena nel primo weekend di Luglio, non vi resta che iscrivervi al canale Twitter http://backoffice3.titanka.com/about 2 oppure seguire gli aggiornamenti della Pagina Ufficiale Facebook http://www.facebook.com/LaNotteRosa della Provincia di Rimini.



Qui troverete il lungo elenco degli artisti che parteciperanno alla Notte Rosa 2011 con relativi orari e luoghi delle loro esibizioni. E giusto per dare un assaggio di quello che ci sarà ricordiamo alcuni nomi: Francesco De Gregori, Ricky Martin, Noemi, Raphael Gualazzi, Fabrizio Bosso, Tereza Salgueiro, Joan As Police Woman, Alessandra Amoroso, Emma Marrone, Marco Carta e Zero Assoluto. Di più, davvero non si può.





La stangata ad orologeria
di MASSIMO GIANNINI,
 dalla " REPUBBLICA"


UNA LEGGE-TRUFFA per galleggiare fino alla fine di questa legislatura. Poi l'abisso, a spese di quelli che verranno. La manovra che il governo Berlusconi app
roverà domani in Consiglio dei ministri colpisce non per la sua entità (con la quale soddisfa effettivamente i target quantitativi concordati con la Ue) ma per la sua "slealtà" (con la quale scarica colpevolmente gli impegni qualitativi sui prossimi governi). Questa manovra illude gli italiani, inganna l'Europa e imbroglia i mercati.



Il centrodestra, che ha inventato a suo tempo la "finanza creativa", lancia adesso la "finanza tardiva". La perfida ipocrisia del decreto è racchiusa non tanto nella sua nella sua dimensione economica, ma nella sua scansione temporale. Dei 47 miliardi di sacrifici totali che lo compongono, i pannicelli caldi saranno somministrati nel primo biennio (1,8 miliardi nel 2011 e 5,5 nel 2012). Le lacrime e il sangue, invece, saranno concentrate nel secondo biennio (20 miliardi nel 2013 e altri 20 nel 2014). La frode politica contenuta nell'operazione è chiarissima. Nei due anni che restano alla coalizione Pdl-Lega i contribuenti sentiranno le carezze. Dall'anno successivo, cioè in concomitanza con il ciclo elettorale, patiranno le stangate. Stangate a orologeria, dunque.



La responsabilità del doloroso ma doveroso rientro dal deficit e dal debito pubblico, in altri termini, sarà in carico al futuro governo, perché quello in carica non ne vuole sapere. E i costi più dolorosi del risanamento dei conti non lo sosterranno i contribuenti che hanno votato per l'alleanza forzaleghista il 13 aprile 2008. Li pagheranno invece le future generazioni, come da collaudata tradizione dei politicanti della Prima Repubblica, abbracciata senza riserve dai replicanti della Seconda.



Nel metodo, alla vigilia del vertice di Palazzo Grazioli la domanda cruciale era: chi vincerà il duello, tra il rigorista Tremonti e il lassista Berlusconi? Alla luce di ciò che vediamo, non ha vinto nessuno dei due contendenti. Ha perso l'Italia. Lo scontro in atto non era tra due irriducibili forze, ma tra due resistibili debolezze. Tremonti - isolato nel governo, privato del sostegno di Bossi e sostenuto solo dalla sponda indiretta di Bruxelles e delle agenzie di rating - ha dimostrato di non avere la forza per mettere alle corde i suoi troppi nemici interni. Berlusconi - azzoppato dagli scandali, fiaccato dall'epistassi della sua piattaforma politica e gravato dal peso del "vincolo esterno" - ha dimostrato di non avere la forza di mandare al tappeto il suo ministro dell'Economia. Il risultato di questo match non poteva che essere un compromesso al ribasso, in perfetto stile doroteo. Nel merito, è vetero-democristiana l'abitudine a infarcire di ipocrisia le manovre a cui manca la fantasia. Due soli esempi: il ripristino dei ticket sulla sanità e il blocco del turn-over nel pubblico impiego.



Non c'è stato governo Andreotti dei fetenti Anni Ottanta che non abbia inserito misure del genere nella sue Finanziarie balneari. Misure che colpiscono i soliti ceti medio-bassi e preferibilmente del pubblico impiego, per altro già ampiamente bastonati dalla Legge di stabilità da 25 miliardi varata l'anno scorso, e notoriamente schierati nell'area elettorale del centrosinistra. La famosa "Italia peggiore" di Brunetta, da colpire senza pietà e senza equità. Per il resto, le norme buone stingono dentro un quadro di incertezza contabile. L'accelerazione degli interventi sulle pensioni è positiva, ma presupporrebbe un intervento contestuale a vantaggio delle prestazioni minime (ormai da fame) e delle prestazioni integrative (ancora da implementare). Il taglio dei costi della politica sarebbe eccellente, se l'operatività degli interventi non fosse (anche in questo caso) rimandata nel tempo, come nel caso della riduzione degli stipendi dei parlamentari (ma solo a valere dalle prossime elezioni) o della limitazione delle auto blu (ma solo ad esaurimento del parco macchine attualmente in circolazione).



Come si raggiungeranno i 47 miliardi nel quadriennio? Il capitolo della previdenza, quello della sanità, e quello dei ministeri, dovrebbero valere grosso modo 6 miliardi ciascuno. Il totale fa 18. Da dove arriveranno gli altri 29? È un mistero. Dal mistero alla beffa: che dire dell'ulteriore colpo di scure su una scuola già distrutta, con l'accorpamento delle cattedre e il dimezzamento dei docenti di sostegno? E dalla beffa alla farsa: che dire dell'ennesima norma sulle liberalizzazioni? Si prevede un "accesso più facile al settore delle professioni", ma esclusi "i notai, gli architetti, gli ingegneri, i farmacisti e gli avvocati". Non si capisce quali professioni restino, tra quelle da liberalizzare: salvata la rendita delle corporazioni più potenti, il governo aggredirà forse quella dei barbieri, degli idraulici, dei fisioterapisti.



Su queste basi, la legge delega sul fisco non promette niente di buono. E su queste basi, non è affatto certo che le "locuste della speculazione", invece di essere confortate, non si sentano autorizzate ad aggredire questa povera Italia, fragile nell'economia e irresponsabile nella politica. Del resto, a dispetto degli allarmi e dei penultimatum, questa manovra non è che l'ultimo "test", per verificare se la crisi di governo si apre subito e si va a votare in autunno. Il compromesso doroteo implicito in questa legge-truffa consente al Cavaliere di resistere, almeno fino al 2012. Se poi sul Paese si scatena il diluvio, poco male. Saranno problemi del centrosinistra, se vincerà le elezioni. Perché devo fare qualcosa per i posteri? Cosa hanno fatto questi posteri per me? Un tempo era il motto di Groucho Marx. Oggi è la regola di Silvio Berlusconi.

(29 giugno 2011)

venerdì 24 giugno 2011

IL CASO / 1 di ALBERTO CUSTODERO, ENRICO DEL MERCATO.
Per il club dei partiti estinti cinquecento milioni nel 2011. Si chiamano Forza Italia, Alleanza nazionale, Democratici di sinistra, Margherita, Nuova Sicilia... Molti sono stati sciolti, altri bocciati dagli elettori, eppure continuano a incassare nel quinquennio di una legislatura una cifra molto alta soprattutto rispetto alle spese documentate. Per quale meccanismo?

ROMA - Di alcuni non è rimasto che il simbolo, assemblee di ex che vengono convocate di tanto in tanto e, forse, il ricordo di qualche elettore nostalgico. Altri, invece, hanno sedi, strutture, impiegati ma da anni non hanno nessun rappresentante in parlamento. Eppure, i "partiti fantasma" continuano ad incassare soldi dallo Stato. L'ultima rata, relativa ai rimborsi per le elezioni regionali del 2007 in Molise, arriverà prima della fine di quest'anno. E così, la cifra incamerata dai partiti che non ci sono più, toccherà la vertiginosa quota di 500 milioni di euro nell'arco del quinquennio 2006-2011. Spicciolo più, spicciolo meno.



Per intendersi, è una somma pari allo stanziamento annuo del governo per Roma capitale, quella che è finita in questi anni nella pancia di sigle che si supponevano scomparse dalla scena della politica, come Forza Italia, Alleanza nazionale, Democratici di Sinistra, Margherita, oppure di partiti che gli elettori hanno cancellato dal parlamento e che sono stati smontati e rimontati da scissioni e nuove aggregazioni come Rifondazione comunista, i Verdi, perfino l'Udeur di Mastella o un partito personale come "Nuova Sicilia", il cui dominus è Bartolo Pellegrino - un ex deputato dell'assemblea regionale siciliana recentemente assolto dall'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa - che fino allo scorso anno ha percepito circa centomila euro di rimborso elettorale.



Nulla, se confrontato a quanto ha potuto iscrivere nei propri bilanci il più ricco dei "partiti fantasma", Forza Italia. Quella che fu la creatura di Silvio Berlusconi, nata nel 1994 per accompagnare la discesa in campo del Cavaliere e sacrificata nel 2007 sull'altare del bipartitismo per fare posto al Pdl, ha continuato ad incamerare i rimborsi elettorali fino ad arrivare, nel 2010, alla cifra monstre di 96 milioni di euro. Più sotto, in questa classifica, quelli che furono i Democratici di sinistra che hanno potuto iscrivere in bilancio 74 milioni di euro e spiccioli. Soldi che - per ammissione del tesoriere dei Ds, Ugo Sposetti - sono stati rapidamente pignorati dalle banche e adoperati per chiudere la partita dei debiti ereditata dal vecchio Pci.



Alla Margherita, altro partito formalmente cancellato, è andata meglio. I 42 milioni di euro di rimborsi incassati, malgrado la scomparsa dalla scena politica, sono tutti lì. E, anzi, intorno a quella eredità sta per accendersi una disputa alla quale partecipano pure parlamentari che, nel frattempo, hanno preso differenti direzioni, accasandosi in altri partiti o inaugurandone di nuovi. Ma come è stato possibile che partiti scomparsi dalla scena o bocciati dagli elettori abbiano continuato ad incassare soldi pubblici a titolo di rimborso elettorale? Quanto hanno pesato i rimborsi ai "partiti fantasma" sulle tasche dei cittadini? E, soprattutto, che fine hanno fatto quei soldi?

fonte:Repubblica
D'ARMENTO PRENDE ATTO  DEL PROVVEDIMENTO DI REVOCA DELLE DELEGHE E CHIARISCE LA SUA POSIZIONE POLITICA.

Prendo atto formalmente della provvedimento di revoca, da parte del Sindaco, delle mie deleghe. E' il sonno della ragione: vengo addirittura additato di essere di "pregiudizio alla cura degli interessi della comunità locale e alla realizzazione del programma politico-amministrativo". C'è un programma politico-amministrativo che viene onorato? Mi pare di no, e la cosa peggiore è che il peso di una politica fallimentare viene addossato al sottoscritto, quando chi è in capo all'Amministrazione dovrebbe sapere che non esiste un vento favorevole per un marinaio che non sa dove andare. Non è onorevole, per continuare l'allegoria marinaresca, che il Comandante della nave, a tempesta in atto, si rifugi nella stiva dando la colpa a qualche marinaio, non esitando a buttarlo a mare.




Mi duole constatare che prima ancora di ricevere la notifica dal messo comunale, sono stato contattato da un giornalista che ha asserito la notizia essere già da tempo di pubblico dominio. Segno che la propalazione di cui mi si accusa è un'attitudine non certo mia, ma di qualcuno, o alcuni, membri di una maggioranza nella quale, evidentemente, si celano vere "talpe" che scavano cunicoli sottoterra.



Quest' ultima prodezza, revocarmi le deleghe, connota a tinte fosche una maggioranza che ha abbandonato ogni logica di collegialità e partecipazione democratica. Cosa ho fatto se non, sempre con animo teso alla costruzione, sollevare una proposta di dialogo sullo scarso peso decisionale riservato ai consiglieri? Cosa ho fatto se non esprimere un malcontento, legato al "non metodo " amministrativo che vige e grava sulle spalle di tutti i cittadini di Nova Siri? Sono andato sulla stampa perché il Sindaco ormai da tempo ha deciso di non concedere ascolto alla mia voce. I fatti parlano chiaro a proposito del clima che si respira nel gruppo di governo: è forse menzogna che un consigliere ha rinunciato alla sua delega parlando di "risposte non avute dal Sindaco"? E' una menzogna che un assessore, seppur non formalmente, ha espresso al Sindaco senso di lontananza e disagio? E' una menzogna che un altro consigliere ha rinunciato di fatto alla nomina a Vice-presidente del C.C. ? Il malessere di questa maggioranza leviathana senza un cuore è inopinabile: troppo facile, fin troppo comodo cercare di "far passare" per una mia personale intemperanza caratteriale il tentativo di affrontare in radice problemi che sono evidenti agli occhi di tutti.



Avevo chiesto un incontro di confronto costruttivo, ma tale incontro è stato a tutti gli effetti uno "scontro", una premeditata rappresaglia in cui alcuni assessori hanno coordinato una malsana opera di accerchiamento di carattere giacobino: addirittura un assessore, già militante in altra area politica, si è sovente lamentato che nella sua precedente appartenenza partitica, a lui, voce "fuori dal coro" sono state inviate "Le truppe cammellate" ad accerchiarlo; ora cosa fa? E’ lui che invia a me le truppe cammellate? Mi ha nientemeno minacciato di denuncia penale per aver utilizzato, in un articolo, il termine "oligarchia". Episodio miserevole. Questa è, poi, la risposta del Sindaco al mio appello ad un rilancio dell'azione politica: la defenestrazione, metodo da purga staliniana evidentemente molto caro a qualcuno, considerata la disinvoltura con cui lo si usa.



Sin dall’inizio si è assistito nel "gruppo" ad una serie di battaglie mirate ad ottenere poltrone e postazioni di visibilità, battaglie a cui io, lo dico con fierezza, non ho mai preso parte, in spregio ad azioni biasimevoli di sciacallaggio politico. Non ho mai promosso né aderito a gruppi di spaccatura interna, anzi ho anche rinunciato alla carica di Assessore per permettere al gruppo di andare avanti superando le frizioni generatesi. Quando ho polemizzato con l'opposizione, membri della maggioranza hanno addirittura solidarizzato pubblicamente con essa.



Chi è andato sulla stampa per "lanciare" gruppi di contrapposizione interna alla maggioranza, chi ha ordito trabocchetti per i compagni di squadra e li ha affossati prendendone il posto è stato addirittura premiato, pur macchiandosi di azioni ben più riprovevoli del mio dire a mezzo stampa "diamoci una mossa o si va alla deriva" (avvenuto, tra l'altro, dopo reiterati e vani tentativi di parlare col Sindaco che non ha risposto alle mie innumerevoli telefonate, né mi ha richiamato, né mi ha degnato dell'opportuna attenzione quando mi recavo al Comune). E' chiaro che nella maggioranza vige la legge della giungla, dove prevale il prepotente, dove si va avanti cedendo alla violenza di chi si fa spazio a spintoni, dove l'unica logica meritoria è quella del ricatto politico, cui, pur di stare a galla e assicurarsi una poltrona, si è ceduto spesso e volentieri. Chi ha seguito recentemente la stampa locale si renderà conto che le motivazioni addotte sono faziose e il tutto ha il sapore di un'azione deliberata e ben concertata contro di me..



Prendo atto con amarezza della decisione del Sindaco, augurandogli, estirpato il "male D'Armento", di dare risposte concrete ed illuminanti al popolo di Nova Siri, che, se ci saranno, io stesso applaudirò (in tema di risposte illuminanti è stato penoso vedere l'altra sera, dopo la festa patronale, interi gruppi di turisti brancolare sul lungomare di Nova Siri nel buio più pesto armati di torce, unico modo per rientrare ai campeggi. Roba da terzo mondo. Tutta colpa di D'Armento, chiaramente.). Sono stato a più riprese mortificato e continuo ad essere ancora mortificato: è da tempo che non sono stato messo in condizione di lavorare e costruire, quindi da ora in poi sarò, nei confronti di questa Amministrazione, la coscienza critica della gente che mi ha votato e di tutta la popolazione di Nova Siri che è stanca della inettitudine di questa maggioranza.



Per opportuna coerenza mi vedo costretto a passare dall'essere un consigliere di maggioranza del PDL all'essere un consigliere autonomo del PDL. Di volta in volta, esaminate le istanze di voto consiliare, mi delibererò secondo coscienza, continuando, nel modo in cui mi sarà possibile, ad onorare il mio mandato negli interessi della collettività novasirese.



FONTE: IL METAPONTINO.IT

giovedì 23 giugno 2011

A sinistra è l'ora di decidere!
di     FEDERICO GEREMICCA , dalla "Stampa"




Magari, come a volte gli capita, Antonio Di Pietro l’ha detto male, sbagliando toni, tempi e luogo: ma intorno al fatto che per le opposizioni stia arrivando il tempo di definire itinerario e profilo dell’alleanza che sfiderà il centrodestra alle prossime elezioni, i dubbi sono davvero pochi. Il leader dell’Idv poteva naturalmente scegliere un luogo diverso dall’aula di Montecitorio per porre a Pierluigi Bersani il problema dell’urgenza della costruzione dell’alternativa all’attuale maggioranza; e avrebbe certo fatto meglio a utilizzare toni meno aggressivi nei confronti di quello che lui stesso ha definito «il partito di maggioranza relativa», cioè il Pd.



Ma resta la sostanza della richiesta: ed è una sostanza che, sfrondata da inutili polemiche, è forse condivisa dallo stesso leader del Partito democratico.



La crisi lenta ma inesorabile dell’attuale maggioranza - e il conseguente calo di consensi nel Paese - è infatti solo uno degli «ingredienti» necessari affinché la coalizione di centrosinistra possa puntare a vincere le prossime elezioni: l’altro, in tutta evidenza, sta nella credibilità dell’alternativa proposta. E su questo, la strada da fare pare ancora lunga. Un paio di giorni fa, un sondaggio Ipsos ha confermato con evidenza come le cose stiano precisamente così: giudizio negativo sul governo, fiducia in Berlusconi ai minimi, il Pd che supera il Pdl ma ben il 60% degli interpellati che giudica «non credibile» l’alternativa di governo rappresentata dalle opposizioni.



Come fare, allora, a convincere gli elettori che il «nuovo» centrosinistra non pensa minimamente di riproporre l’indimenticata esperienza dell’Unione, che tanto condizionò (e poi affondò) l’ultimo governo di Romano Prodi? Intanto, evidentemente, fissando paletti che limitino l’alleanza a partiti realmente omogenei tra loro; quindi - e di conseguenza - lavorando a un programma che non ricordi nemmeno da lontano le 280 pagine di bizantinismi che in campagna elettorale costarono non pochi consensi al Professore; e infine individuando e proponendo agli italiani un candidato premier credibile per esperienza, consensi e autorevolezza. Il percorso non è certo facile, ma è sufficientemente obbligato perché si possa pensare di cominciare a muovere i primi passi. E il compito di indicare la rotta, oggi, non può che toccare al Pd. Pierluigi Bersani - leader dal passo lento ma sicuro, come hanno dimostrato i risultati delle amministrative e dei referendum - non pare smaniare dalla voglia di cominciare: e a parte l’annotazione che non si ha nemmeno un’idea vaga di quando si andrà alle urne, e la considerazione che il lavoro iniziale sarà certo il più aspro, c’è un’altra circostanza che può forse spiegare la prudenza del leader democratico. E riguarda la possibilità che alle elezioni ci si vada con una legge elettorale diversa dall’attuale. Come è chiaro, si tratterebbe di una novità non da poco: capace essa stessa, per altro, di risolvere almeno un paio dei problemi che sono di fronte al Partito democratico.



Il primo riguarda la qualità (e l’eterogeneità) delle alleanze da fare: una legge che non prevedesse più premi di maggioranza per la coalizione, renderebbe più semplice scegliere e selezionare gli eventuali compagni d’avventura. Il secondo riguarda senz’altro la premiership: un sistema elettorale che non rendesse vincolante e obbligatoria (nemmeno in maniera fittizia, come quello attuale) l’indicazione del premier, probabilmente svelenirebbe non poco l’intricata - e discussa - faccenda delle primarie. Si tratta di novità sulle quali anche altre forze politiche (dalla Lega al Terzo polo) stanno cominciando a riflettere: tanto che il problema di una riforma della legge elettorale probabilmente sarà - assieme allo stato dell’economia - il tema centrale del prossimo autunno.



I tempi, però, potrebbero comunque non esser lunghi: soprattutto se la crisi del centrodestra rendesse inevitabili elezioni nella prossima primavera. Per il Pd, dunque, il tempo delle decisioni potrebbe arrivare in fretta: e si tratterà di scegliere se praticare fino in fondo il tentativo di varare una nuova legge oppure fare quanto necessario per affrontare al meglio le urne con questo sistema elettorale. Sarebbe bene cominciare a pensarci, perché conta poco il fatto che oggi il vento sembri soffiare nelle vele delle opposizioni. Il Pd, infatti, non può aver dimenticato come si concluse la campagna elettorale della primavera 2006: sembrava vinta a mani basse, alla fine Prodi la spuntò per ventimila voti (con tutto quello che ne seguì). Errare è umano, insomma: perseverare, per di più alla luce di un’esperienza così recente, sarebbe invece imperdonabilmente diabolico...





mercoledì 22 giugno 2011

A Strasburgo i banchi italiani sono vuoti


Altro che assenteismo in fabbrica e nel pubblico: eurodeputati campioni. Tre i "cattivi" De Mita, Bonsignore e Magdi Allam. Sempre in aula solo due leghisti e un Pdl


Bruxelles – Prendi i voti, e i soldi, e poi scappa; o, almeno, non farti vedere in giro spesso, tra Strasburgo e Bruxelles. È la politica dell’assenteismo di molti eurodeputati italiani: la politica del seggio vuoto. A due anni dall’elezione a suffragio universale della settima legislatura del Parlamento europeo, Andrea D’Ambra, giornalista e attivista con un occhio a Beppe Grillo, si ripete: stila le pagelle degli europarlamentari italiani, chi c’è (quasi) sempre e chi non c’è (proprio) mai, nelle aule delle plenarie e delle commissioni.



L’esercizio ha il pregio della chiarezza, della semplicità e dell’oggettività, anche se il criterio delle presenze non può essere l’unico per valutare l’operato di un parlamentare, nazionale o europeo che sia: bisognerebbe pure prendere in considerazione i rapporti stilati, gli emendamenti presentati, le interrogazioni fatte, gli interventi in aula e in commissione, le partecipazioni a missioni. D’Ambra, 28 anni, presidente di Generazione Attiva, un’associazione in difesa dei consumatori da lui stesso creata, non è però d’accordo: “Quegli elementi non sono un indice corretto quanto la presenza, perchè interrogazioni ed emendamenti sono sovente fatti da altri, specie dagli assistenti parlamentari”.



Quello che D’Ambra stigmatizza, nel commento alla classifica pubblicata sul suo blog, è che le assenze degli eurodeputati “non sono penalizzate in sede retributiva”, a parte l’incidenza su indennità come quella di soggiorno o i rimborsi spese. Le assenze, per quanto ingiustificate esse siano, non decurtano il compenso di base, che è variabile, ma che si situa intorno ai 7 mila euro al mese. L’assenteismo parlamentare non è uno scandalo solo italiano, ma non è certo il caso di dire “mal comune mezzo gaudio”. Anche perchè chi non c’è non puo’ poi lamentarsi dello strapotere tedesco nell’emiciclo di Strasburgo, dove gli eurodeputati d’oltre-Reno sono teutonicamente presenti sempre in massa: vero che sono “vicini”, ma lo sono pure, e anzi di più, francesi e beneluxiani.



I criteri di giudizio di D’Ambra sono molto severi: dà ottimo solo agli “stakanovisti” del Parlamento europeo, quelli che sono sempre presenti. Il percorso netto è riuscito, per il secondo anno consecutivo, a Giovanni La Via, Pdl, e ad Oreste Rossi, Lega, cui s’è aggiunto Francesco Speroni, leader della pattuglia leghista nell’Assemblea Ue: tre su 71.



Prendono “buono” 11 eurodeputati, le cui presenze superano il 95%. In questa pattuglia di punta, troviamo qualche “tenore” della rappresentanza italiana in Europa, come il vice-presidente vicario dell’Assemblea Gianni Pittella (Pd), il capo della delegazione del Pdl Mario Mauro, l’ex leader della Cgil e sindaco di Bologna Sergio Cofferati (Pd) e l’efficiente e apprezzato Roberto Gualtieri (Pd).



I “sufficienti” sono, sempre per D’Ambra, quelli le cui presenze superano il 90%: 16 eurodeputati, fra cui Roberta Angelilli, Pdl, vice-presidente dell’Assemblea, David Sassoli, capogruppo del Pd, Carlo Casini, Udc, Gabriele Albertini, Pdl, e Vittorio Prodi, Pd, il professore fratello dell’ex premier pure professore Romano.



Al di sotto del 90% di presenze, che comunque vuol dire un assenteismo del 10%, nettamente superiore a quello medio nelle fabbriche e negli uffici, persino nelle scuole e nelle pubbliche amministrazioni, restano 41 eurodeputati italiani, quasi il 60% della rappresentanza italiana al Parlemento europeo. D’Ambra li boccia tutti, ma, con scelta personale e arbitraria, ne classifica una pattuglia di cinque come mediocri – fra essi, Iva Zanicchi, berlusconiana in scena e sul seggio –, mentre tutti gli altri li “bolla” come insufficienti, scarsi e scarsissimi. Sono così “marchiati” nomi eccellenti, come Pino Arlacchi (Pd), Elisabetta Gardini (Pdl), Silvia Costa (Pd), Paolo De Castro (Pd, ex ministro, presidente della Commissione Agricoltura), Mario Borghezio (Lega, uno che, dalla quantità di dichiarazioni che produce, si direbbe che c’è sempre), Sonia Alfano (Idv), Debora Serracchiani (Pd) e Gianni Vattimo (Idv). Sotto l’80%, ci sono Patrizia Toia (Pd, un ex ministro), Clemente Mastella (ex un po’ di tutto: ma che mai avrà da fare di meglio che guadagnarsi almeno questo stipendio?) e Rita Borsellino (Pd).



La lista degli “scarsi” è aperta da Luigi Berlinguer (Pd) e Luigi de Magistris (Idv, neo-sindaco di Napoli e certo penalizzato in classifica dalla campagna elettorale che l’ha visto protagonista e vincitore). Gli “scarsissimi” sono sei e stanno sotto il 70%: in pratica, una volta su tre non ci sono. Nomi poco noti, come Vincenzo Iovine (Api) e Crescenzio Rivellini (Pdl), ma anche, e proprio agli ultimi quattro posti, nomi che fanno sussultare, come il convertito Magdi Cristiano Allam, che sta nel Ppe, l’ex premier dc Cristiano De Mita, che sta pure nel Ppe ma come Udc, e i pdl Vito Bonsignore e Alfredo Antoniozzi, l’unico sotto il 60%. Antoniozzi ha un doppio lavoro, perché è assessore alla casa al Comune di Roma, ma così, dividendosi a metà, dovrebbe prendere due mezzi stipendi (e non due stipendi interi).



da Il Fatto Quotidiano del 22 giugno 2011





 

GIORGIO CREMASCHI – La rivoluzione in Europa: non pagare

gcremaschi
Perché i lavoratori, i cittadini, il popolo greco dovrebbero impiccarsi alla corda degli strozzini di tutta Europa? Perché la Grecia dovrebbe rinunciare a stato sociale, diritti, regole, sicurezza; vendere all’incanto i propri beni comuni, a partire proprio dall’acqua, per far quadrare i conti delle grandi banche europee e americane? Questa è la domanda di fondo che si pone oggi in quel paese e, a breve, in tutta Europa.
Si dice che i debiti devono essere sempre pagati, e così quello pubblico della Grecia. Tuttavia quando due anni e mezzo fa le principali banche occidentali rischiavano il fallimento, i governi stanziarono da 3.000 a 5.000 miliardi di euro, secondo le diverse stime, per salvare le banche private ed i loro profitti. Oggi si nega alla Grecia da un trentesimo a un cinquantesimo di quella cifra, se non vende tutto, comprese le sue belle isole come sostengono alcuni quotidiani economici tedeschi.
I banchieri e i grandi manager occidentali hanno visto, grazie al colossale intervento pubblico, aumentare del 36% in un anno i propri già lauti guadagni, mentre il reddito medio dei lavoratori greci è calato del 25%. Questa è la realtà su cui sproloquiano gli innamorati dell’Europa delle banche e del rigore. Quei falsi profeti che con l’euro sono riusciti nella magica operazione di svalutare tutte le retribuzioni dei lavoratori europei e di rivalutare tutti i profitti dei loro padroni.
Sì, certo, nelle buone intenzioni l’euro doveva servire ad unificare l’Europa. Nella pratica concreta dei patti di stabilità, di Maastricht, delle politiche liberiste dei governi – di tutti i governi di destra e di sinistra – ha però in realtà distrutto l’unità sociale e persino quella democratica del Continente.
Oggi i governi eletti dai cittadini non decidono nulla sull’economia. Sono i tiranni di Francoforte e di Bruxelles che decretano quello che si deve o non si deve fare. Questo è a tal punto vero che il Belgio sta sperimentando l’assenza di un governo democratico da quasi due anni. Ormai quel paese è direttamente amministrato dai commessi, dai funzionari, dai manager dei poteri europei.
Abbiamo già scritto che questa Europa fa schifo. Essa è in grado di fare la guerra in Libia, e su questo ha solo torto il Presidente della Repubblica a voler andare avanti, ma non di varare una politica sociale comune, né per i migranti né per i suoi più antichi cittadini. La più importante conquista civile e democratica dopo la sconfitta del fascismo, il patrimonio che l’Europa oggi potrebbe consegnare all’umanità – lo stato sociale, i diritti di cittadinanza, la partecipazione democratica – viene sacrificato sull’altare delle banche e della finanza.
Questa Europa va rovesciata. Non in nome delle piccole patrie razziste e xenofobe, delle ridicole padanie capaci solo di rivendicare targhette per i ministeri e spietatezza con i poveri, soprattutto se vengono da fuori. L’Italia ha cominciato a liberarsi di Berlusconi e di Bossi, ed è forse più avanti nel capire che non è il populismo razzista l’alternativa al potere liberista europeo, anzi, è semplicemente la faccia più sporca di quella stessa medaglia. L’Italia ha cominciato a liberarsi, ma questa liberazione sarà vera quando verrà rovesciato il potere degli usurai che in tutta Europa stanno imponendo il massacro sociale, con il ricatto del mercato selvaggio e della globalizzazione.
Occorre una rivoluzione democratica e sociale dei popoli europei che rovesci l’Europa delle banche, della finanza, dei ricchi. Bisogna non pagare questo debito e far invece cadere, finalmente, i costi della crisi su chi l’ha provocata. Il piccolo popolo islandese ha già votato in un referendum il mandato ai propri governi di non pagare il debito per salvare la speculazione mondiale. Questo chiedono gli indignados spagnoli, così come i cittadini greci davanti al loro parlamento totalmente esautorato di ogni reale potere. Dalla Grecia, che ha inventato la parola democrazia, deve partire la riscossa democratica di tutti i popoli d’Europa.
Giorgio Cremaschi – da Liberazione
(22 giugno 2011)
L'Italia sono anch'io": due leggi per la cittadinanza agli immigrati.
Sono 5 milioni i non italiani che vivono, lavorano e studiano nel nostro paese: ora due leggi di iniziativa popolare, sostenute da 19 organizzazioni impegnate sul fronte migratorio, vogliono garantirgli più diritti. Ecco come
di VLADIMIRO POLCHI, da " Repubblica"

Una manifestazione di immigrati a Milano

ROMA – Chi nasce in Italia, è italiano. Chi paga le tasse, ha diritto di voto. Sono questi i pilastri su cui poggiano due leggi di iniziativa popolare che promettono di rivoluzionare la vita dei 5 milioni di immigrati che lavorano e studiano nel nostro Paese. La raccolta di firme partirà ad autunno. La campagna nazionale si intitola "L’Italia sono anch’io".



La campagna. "L’Italia sono anch’io" è promossa, nel 150° anniversario dell’unità d’Italia, da diciannove organizzazioni della società civile (Acli, Arci, Asgi-Associazione studi giuridici sull’immigrazione, Caritas Italiana, Centro Astalli, Cgil, Cnca-Coordinamento nazionale delle comunità d’accoglienza, Comitato 1° Marzo, Coordinamento nazionale degli enti locali per la pace e i diritti umani, Emmaus Italia, Fcei – Federazione Chiese Evangeliche In Italia, Fondazione Migrantes, Libera, Lunaria, Il Razzismo Brutta Storia, Rete G2 - Seconde Generazioni, Sei Ugl, Tavola della Pace, Terra del Fuoco) e dall’editore Carlo Feltrinelli. Insomma, in campo scendono praticamente tutte le associazioni impegnate sul fronte migratorio. Presidente del comitato promotore è il sindaco di Reggio Emilia, Graziano Delrio.



Le due leggi. "Le due proposte di legge di iniziativa popolare – si legge nel comunicato dei promotori – da un lato assegnano allo ius soli, cioè il diritto di essere cittadini

del Paese nel quale si nasce, un ruolo di primario rilievo; dall’altro, attraverso il riconoscimento del diritto di voto amministrativo per chi risiede per un periodo congruo (5 anni), mirano a eliminare una ingiustizia che rischia di minare il principio del suffragio universale a livello territoriale, impedendo a milioni di persone di partecipare pienamente alla vita della comunità dove vivono".



La cittadinanza. La prima proposta di legge introduce dunque lo ius soli: sono cittadini italiani i nati in Italia che abbiano almeno un genitore legalmente soggiornante che ne faccia richiesta (oggi vale lo ius sanguinis: si è italiani solo se si nasce da genitori italiani).



Non solo. La proposta riconosce un diritto per i tantissimi minori che crescono e vivono nel nostro Paese: i bambini e le bambine che, nati in Italia da genitori privi di titolo di soggiorno, o entrati in Italia entro il 10° anno di età vi abbiano soggiornato legalmente, possono diventare italiani con la maggiore età, se ne fanno richiesta entro due anni.



Infine per gli adulti la domanda di cittadinanza potrà essere presentata da uno straniero legalmente soggiornante in Italia da 5 anni (e non più da 10 anni, come ora).



Il voto amministrativo. La proposta dell’Anci, che fa sua la nuova campagna, afferma che «il diritto di elettorato attivo e passivo nelle elezioni comunali, provinciali, concernenti le città metropolitane e le Regioni è garantito anche a chi non sia cittadino italiano, quando abbia maturato cinque anni di regolare soggiorno in Italia».



(22 giugno 2011)

martedì 21 giugno 2011

la storia


Il milionario che viveva in una baracca

Muore e lascia quattro milioni alla Asl

La sorpresa è arrivata dalla lettura del testamento di Giuseppe Pizza, deceduto a 94 anni. Ha lasciato 4 milioni alla Società della salute della Valdinievole

MONTECATINI TERME - Viveva ai limiti dell’indigenza ma in realtà era milionario. La sorpresa è arrivata dalla lettura del testamento di Giuseppe Pizza, deceduto a 94 anni il dicembre scorso in una casa di riposo. Quando è morto ha lasciato un patrimonio di 4 milioni alla Società della salute della Valdinievole, consorzio pubblico tra Asl e Comuni per l’assistenza sociosanitaria, con obbligo di usarlo per accudire gli anziani.



Pizza era stato un imprenditore di successo ma poi ha trascorso l’ultimo periodo della sua vita in solitudine a Collodi. Non si era sposato, nè aveva parenti. Abitava in una villa malridotta con il tetto pericolante e l’impianto di riscaldamento fuori uso ma solo dal 2009 aveva accettato di trasferirsi in una residenza per anziani a Lamporecchio, gestita dalla Società della salute. Visto come viveva nessuno in Valdinievole pensava che disponesse di un patrimonio milionario: case e terreni per circa tre milioni di euro, e un conto corrente con oltre un milione.
Fonte :"Il corriere"




21 giugno 2011

Metà DEI PENSIONATI SOTTO I MILLE EURO
Il 14,7% dei pensionati ha redditi addirittura inferiori a M500 euro. Uno su 3 è fra i 500 e i mille

Fonte : la stampa



ROMA

Quasi la metà dei pensionati italiani ha un reddito da pensione bassissimo: inferiore ai 1.000 euro. È quanto emerge dall’indagine Istat sui trattamenti pensionistici e beneficiari sul 2009 secondo il quale il 46,5% dei 16,2 milioni di pensionati italiani (7,7 milioni di persone) ha redditi da pensione complessivi (uno o più trattamenti) per meno di 1.000 euro. Il 14,7% (2,4 milioni) dei pensionati ha redditi addirittura inferiori a 500 euro mentre il 31,8% (5,3 milioni) ha redditi tra i 500 e i 1.000 euro.



Nonostante il fatto che gli assegni siano di ammontare così basso, l'Istat registra l'incidenza record per la spesa pensionistica sul Pil. Nel 2009, anche a causa del calo del Pil sul 2008 per la crisi economica, la spesa pensionistica ha pesato sul Pil per il 16,68% a fronte del 15,38% del 2008. Nel 2007 la spesa complessiva per pensioni previdenziali e assistenziali era stata del 15,07%, circa allo stesso livello del 2006 (15,06%). Il dato 2009, anche a causa della crisi, è il più alto da sempre e, ovviamente, dall’inizio della serie storiche sul casellario pensionistico, cioè dal 2002 quando l’incidenza sul Pil era al 15,02%.



Nel 2009 il numero dei titolari di prestazioni pensionistiche e' stato di poco superiore ai 16,7 milioni, valore in lieve diminuzione rispetto al 2008 (-0,27%), con un numero di pensioni procapite pari a 1,4. Sebbene la quota di donne sia pari al 53%, gli uomini percepiscono il 55,9% dei redditi pensionistici, a causa del maggiore importo medio dei trattamenti percepiti (18.029 euro rispetto ai 12.597 euro medi delle donne).



La distribuzione dei pensionati per numero di prestazioni ricevute mostra che il 67,2% percepisce una sola pensione e che la quota dei beneficiari che cumulano due o piu' pensioni e' del 32,8% (il 24,8% ne cumula due e l'8,0% e' titolare di almeno tre pensioni). Tale valore scende al 30,7% nel caso dei titolari di pensioni di vecchiaia e raggiunge l'89% per i percettori di pensioni di guerra.



Tra coloro che ricevono piu' pensioni, valori elevati si riscontrano anche per i beneficiari di rendite indennitarie e di pensioni di invalidita' civili (rispettivamente 75,1% e 78,8%), prestazioni, queste ultime, che si caratterizzano per la forte presenza di indennita' di accompagnamento ad esse associate.

Il sindaco gli ha revocato le deleghe a Cultura, Agricoltura e Centro storico. Dissapori già noti da tempo sono sfociati nel provvedimento del primo cittadino.


di PIERANTONIO LUTRELLI

NOVA SIRI – Doppia retrocessione nel giro di soli quattro mesi per il consigliere del Comune di Nova Siri, Giuseppe D’Armento che è passato dal vestire i panni di assessore, dal giugno 2009 al 10 febbraio 2011, data in cui è stato “dimissionato” per vestire l’abito del consigliere delegato (un mezzo assessorato nella sostanza), fino a ieri mattina, quando il messo comunale gli ha bussato alla porta per notificargli il provvedimento del sindaco Giuseppe Santarcangelo (un decreto sindacale), con il quale gli sono state revocate le deleghe alla Cultura (e Spettacolo), Agricoltura e Centro Storico. Per il momento il primo cittadino non ha riassegnato gli assessorati anche se pare che la delega alla Cultura ed allo Spettacolo sarà gestita da un tandem di assessori: Giuseppe Mitidieri e Cosimo Pancaro, seppur senza formalizzazione, che ricordiamolo per la legge non è necessaria, in quanto un assessore è per definizione “collaboratore del sindaco”. La cosa si rende necessaria e urgente, visto che il cartellone estivo deve essere varato entro i primi di luglio. Tornando a D’Armento, la notizia circolava già da una settimana, anche se, solo sotto forma di indiscrezione, esattamente da martedì scorso quando la maggioranza eletta, al completo (tranne l’ex vice sindaco Michele Laddomata), si è riunita per affrontare una serie di questioni interne. Una sorta di “lavaggio di panni sporchi in casa”. Dall’esito del confronto, in cui in più di un intervento i componenti della maggioranza hanno fatto notare a D’Armento che le sue uscite sulla stampa erano da ritenersi “nocive” per la tenuta e per la coesione politica, nonché per l’immagine della maggioranza, è emersa la decisione da parte del sindaco coadiuvato dagli altri esponenti del gruppo, assessori in primis, di revocare formalmente il “rapporto di fiducia” che lega un sindaco ad un suo delegato, non importa se solo consigliere o assessore. Ma da quello che risulta al Quotidiano, il sindaco la fiducia nei confronti di D’Armento l’aveva persa da un pezzo, e solo questioni legate ai soliti equilibri, che in politica sono tanto invocati, ha fatto sì che la decisione di non avvalersi della sua collaborazione amministrativa giungesse solo ieri. Il diretto interessato ieri mattina, interpellato telefonicamente, aveva di non esserne ancora a conoscenza. Il provvedimento, il primo cittadino lo aveva protocollato venerdì nella tarda mattinata prima della chiusura degli uffici comunali per il week end, per cui l’iter della notifica è partito soltanto ieri. Di certo la seconda retrocessione di D’Armento non è stata un atto facile, visto quello che il suo cognome e la sua famiglia rappresentano un qualcosa nella storia politica di Nova Siri, suo padre Carmine, “il professore” fu vice sindaco della Democrazia Cristiana, negli anni ’80, con sindaco l’attuale senatore del Pdl Cosimo Latronico, riferimento politico principale di questa maggioranza. Intanto per un delegato che va, c’è un delegato che viene. Pare infatti che il consigliere Antonio Toscani sia in procinto di riottenere la delega alla Manutenzione che aveva rimesso “per protesta” nelle mani del sindaco tre settimane fa. Ora resta da capire, cosa farà D’Armento? Passerà all’opposizione? Ma una cosa è certa non se ne resterà in silenzio.



(Da Il Quotidiano della Basilicata)
SANTARCANGELO  HA  RITIRATO LE DELEGHE A D'ARMENTO.

 Una notizia in parte attesa, considerati gli accesi contrasti degli ultimi tempi, quella del defenestramento da parte del primo cittadino di Nova Siri, Giuseppe Santarcangelo (foto 1), del consigliere delegato alla Cultura Giuseppe D’Armento (foto 2). Stamane, infatti, a distanza di quasi quattro mesi dalla rinuncia dell’incarico assessorile, necessaria per tenere in piedi la maggioranza, il giovane ufficiale dell’Esercito italiano si è visto recapitare a casa l’insolita missiva, come ha confermato al telefono il diretto interessato, che ha preferito non rispondere alle altre domande. Abbiamo più volte cercato di contattare anche Santarcangelo ma senza successo, nessuno al momento vuole commentare l’accaduto. Stando ad alcune indiscrezioni, la delega alla Cultura dovrebbe rimanere nelle mani del sindaco. Scontata, a questo punto, la fuoriuscita dai banchi della maggioranza del consigliere comunale.
FONTE : IL METAPONTINO.IT




lunedì 20 giugno 2011

La giornata dei rifugiati in fuga verso salvezza e libertà


di Riccardo Noury, dal "Corriere".


Oggi, 20 giugno, è la Giornata internazionale dei rifugiati. Una giornata nella quale la comunità internazionale dovrebbe riaffermare un impegno verso i diritti di persone che sono costrette a lasciare le loro case per fuggire dalla persecuzione e dai conflitti e rischiano la loro vita in cerca di salvezza e libertà.



Ershidin Israil, questa giornata, la trascorre in carcere. Il 30 maggio questo insegnante uiguro, che si era rifugiato in Kazakistan dopo aver denunciato la morte a seguito di tortura di un detenuto, è stato riconsegnato alle autorità cinesi, che l’hanno immediatamente arrestato per “terrorismo”. E questo non è un caso isolato, visto che la Cina, negli ultimi 10 anni, ha esercitato pressioni costanti sugli stati dell’ex spazio sovietico in Asia centrale per farsi riconsegnare oppositori e attivisti dello Xinjiang.



Le autorità del Kazakistan hanno fatto carta straccia di un principio fondamentale, quello di “non refoulement” o non respingimento, che è l’architrave del sistema di protezione internazionale: non si rimpatria chi, al rientro nel paese di origine, rischierebbe di subire violazioni dei diritti umani.



Il disprezzo nei confronti del diritto internazionale dei rifugiati, nei rapporti tra gli “stan” centroasiatici e la Cina, è palese e non è neanche mascherato da qualche giustificazione. Del resto, a parte le organizzazioni per i diritti umani, nessuno protesta.



Percorriamo la carta geografica e avviciniamoci dalle nostre parti. Il 15 giugno un richiedente asilo tamil ha tentato il suicidio dopo aver ricevuto una telefonata minatoria dal suo paese di origine, lo Sri Lanka. Si trovava a Londra, in attesa di venir rimpatriato, insieme ad altri connazionali in maggioranza della medesima etnia. Venerdì 17, nonostante tre giorni prima Channel 4 avesse trasmesso un agghiacciante documentario sui crimini di guerra commessi nella fase conclusiva della guerra civile nell’isola, da London Gatwick è partito un aereo con 26 richiedenti asilo respinti, destinazione probabile il carcere e la tortura. Come accaduto in passato in casi del genere, appena atterrati all’aeroporto internazionale di Colombo, la polizia dello Sri Lanka li ha portati via per interrogatori.



La scelta di Londra è in linea con quella di un continente, l’Europa, che dopo aver vissuto la crisi dei rifugiati della Seconda guerra mondiale e aver dato vita al sistema di protezione internazionale dei rifugiati, ha scelto nell’ultimo decennio di eroderlo progressivamente. Le politiche di sicurezza adottate all’indomani dell’11 settembre 2011 sono state utilizzate come una clava per mettere in un angolo politiche sensibili. La fabbrica della paura ha prodotto linguaggi ansiogeni, atteggiamenti di rifiuto, slogan apodittici (“Aiutiamoli a casa loro”) o semplicemente urla (“Li ospiti a casa sua, allora!”). Mostrarsi duri nei confronti dei rifugiati e dei migranti, additarli come responsabili dell’aumento del crimine, degli allarmi sanitari o della crisi economica, è diventato una strategia di ricerca del consenso.



In nome del “non possiamo accoglierli tutti”, ne è derivato un modello di cooperazione mediterranea il cui obiettivo è, in sintesi, non accoglierne nessuno. Spagna e Marocco, Francia e Tunisia, Italia e Libia: ognuno ha individuato il partner più idoneo per sottoscrivere accordi in tema di controllo dei flussi di migranti, richiedenti asilo e rifugiati. A monte di questo, l’Unione europea ha sostenuto e finanziato politiche di controllo sull’immigrazione contrarie ai diritti umani.



Era appena lo scorso ottobre quando la Commissione europea sottoscriveva con la Libia un’agenda di cooperazione sulla “gestione dei flussi migratori” e il “controllo della frontiera”, dando in cambio a Tripoli 50 milioni di euro fino al 2013. La Libia di Gheddafi, dove per anni i rifugiati e i migranti sono stati detenuti in condizioni disumane, spesso sottoposti a torture e lasciati in balia del rischio di essere rinviati nei paesi di origine, incontro a nuove persecuzioni, era ancora un partner affidabile e strategico.



Qualche mese dopo, ecco i governi europei esprimere oltraggio per le violazioni dei diritti umani e gli attacchi contro i civili da parte del regime libico e prodursi in una piroetta armata. A piroetta in corso, si cercano autorità con cui firmare i nuovi accordi sul contrasto dell’immigrazione. A quanto pare, a Tunisi e a Bengasi, sono state già trovate, nuove e immacolate. Sono state chieste loro garanzie sui diritti umani? Saranno in grado di darle?



Nel mentre, quest’anno già 1400 persone sono morte nel Mediterraneo, mai così pattugliato dal mare e dal cielo come in questo inizio d’anno. Erano persone minacciose, avide, venivano a “rubarci le donne e il lavoro”? No. Quegli “annegati ignoti”, uomini, quelle donne e quei bambini erano stati costretti a lasciare le loro case per fuggire dalla persecuzione e dai conflitti. Hanno rischiato la vita, e l’hanno persa per cercare libertà. Le braccia dei lampedusani che si sono protese in mare per salvare e accogliere, sanno qual è la loro vera storia. Lampedusa, un’isola che non ha mai cessato di credere nei diritti umani anche mentre viveva sulla sua pelle una “crisi umanitaria”.



In questo 20 giugno, oltre a ribadire che l’Unione europea e i suoi stati membri non devono abdicare alla responsabilità di proteggere i diritti dei rifugiati e dei migranti e di soccorrerli quando le loro vite sono in pericolo, non dimentichiamo quelle persone che, dall’Africa del Nord al Medio Oriente, chiedono libertà, diritti, dignità e futuro e non perdono coraggio e ostinazione anche quando l’amico o l’amica accanto, con cui stanno reggendo lo striscione che apre l’ennesima manifestazione, viene freddato da un cecchino.


Non ci stiamo ma ci siamo!
SCANZANO JONICO – “Non ci stiamo…ma ci siamo”. E’ lo slogan della fiaccolata silenziosa, ma “eloquente”, organizzata per domani sera a partire dalle ore 20 a Scanzano Jonico, sul sagrato della chiesa di Maria S.S. Annunziata, organizzata dal trentaseienne parroco, don Antonio Polidoro, nativo di Grottole, ma ministro di Dio nella cittadina jonica dal 2006, per dire “basta” agli attentati delittuosi che hanno colpito ripetutamente la comunità di Scanzano negli ultimi mesi. Don Antonio ha immediatamente coinvolto l’altro sacerdote di Scanzano, don Mark Antony Stanislaus, di origini indiane, ma da anni nella popolosa frazione di Terzo Cavone, alla guida della parrocchia di San Giulio I Papa. La Chiesa dunque è scesa in campo. Non è cosa da poco se si considera che dn Antonio, così come ha raccontato al Quotidiano, ha già fatto incetta di adesioni e testimonianze di vicinanza. Un prete è anche questo. Non è solo colui che dice la messa la domenica, ma è colui che si compenetra e vive una comunità nella gioia e nel dolore.


“Ho preso atto di questi episodi ripetuti – ha spiegato il giovane sacerdote - ed abbiamo con questa azione, voluto dire no a questi atti di criminalità e di intimidazione che hanno colpito il tessuto produttivo della comunità di Scanzano.

Vogliamo esprimere una totale solidarietà alle vittime. La fiaccolata si innesta in un percorso educativo che come comunità cristiana, in quanto operatori di pace, facciamo sul territorio. Vogliamo portare la nostra testimonianza cristiana che ci invita ad essere operatori di giustizia e impegnarci per la legalità. Sto avendo molti riscontri ed incoraggiamenti da parte della gente che vuole manifestare il desiderio della comunità di creare una terra libera e onesta.

Non appena ho avuto l’idea – ha continuato don Antonio - ho comunicato la cosa al vescovo di Matera, monsignor Salvatore Ligorio, il quale ha incoraggiato questa iniziativa ed ha espresso la sua paterna vicinanza alla nostra comunità. Ho deciso di coinvolgere oltre i fedeli della mia parrocchia, (Madonna Santissima Annunziata, ndr), anche il parroco della parrocchia San Giulio I papa, di Terzo Cavone, don Mark Antony Stanislaus, nonché tutti i parroci dei comuni limitrofi, i quali mi hanno dato piena solidarietà e garantito la loro partecipazione. Ho inoltre coinvolto le istituzioni e le associazioni culturali e sociali presenti sul territorio. Ogni volta che sono venuto a conoscenza di questi atti delittuosi – ha concluso - ho sempre pregato ed agito affinché la cultura del male non prendesse il sopravvento in questa comunità. Scanzano è anche altro, la comunità è fatta di gente onesta e laboriosa. Ci sono dei giovani che si distinguono lavorando per il bene e per fare bella questa comunità. L’auspicio è che dopo questa fiaccolata, ci possa essere un “silenzio eloquente” che non è frutto di paura, ma che è impegno nella vita concreta e che incida nel vissuto quotidiano per il bene comune”.




di Lutrelli(Da Il Quotidiano della Basilicata)





giovedì 16 giugno 2011

Guardia Perticara è Bandiera Arancione del Touring Club


16/06/2011 15:49
da Basilicatanet
Il paese, già iscritto tra i Borghi più belli d’Italia dall’Anci, punta sul turismo di qualità.




Guardia Perticara è l’unico comune lucano che oltre ad essere inserito nell’elenco dei “Borghi più belli d’Italia” dell’Anci, può fregiarsi anche della Bandiera Arancione come “Località eccellente dell’entroterra”.

Il prestigioso riconoscimento, assegnato dal Touring Club Italiano, è un marchio di qualità turistico ambientale rivolto a quei paesini che si distinguono per un’offerta di eccellenza e un’accoglienza di qualità. L’ottenimento della Bandiera arancione avviene in base a diversi criteri tra i quali la valorizzazione del patrimonio culturale, la tutela dell'ambiente, la cultura dell'ospitalità, l'accesso e la fruibilità delle risorse, la qualità della ricettività, della ristorazione e dei prodotti tipici.


«Per una comunità che sta puntando da tempo sul turismo di qualità si tratta di un’opportunità straordinaria – sottolinea il sindaco di Guardia Perticara, Massimo Caporeale –. E’ un premio al lungo e puntuale lavoro di promozione basato sulle risorse ambientali, naturalistiche e urbanistiche che il nostro borgo può vantare. L’inserimento in questo grande circuito è un’altra importantissima conquista che potrà certamente amplificare la notorietà di Guardia in Italia e all’estero, con auspicabili ritorni in termini di immagine ma anche di tipo sociale ed economico, a partire dalla stagione estiva ormai alle porte. Proporremo ancora una volta appuntamenti di alto profilo, per rispondere alle esigenze sempre più qualificate dei visitatori. Stiamo inoltre studiando modalità di fruizione innovative del borgo sia in termini di contenuti che tecnologici».





In dieci anni di attività il Touring ha analizzato oltre 2000 Comuni distribuiti in tutta Italia assegnando la Bandiera arancione a 184 località poco conosciute ma di grande pregio; uno stimolo per il viaggiatore a visitare questi luoghi assaporandoli, ma al tempo stesso avendone cura proprio perché preziosi. Il marchio ha validità biennale e richiede il mantenimento dei requisiti nel tempo.







Referendum: una vittoria che viene da lontano.

di Stefano Rodotà, da Repubblica, 16 giugno 2011




Tutto è cominciato poco più di un anno fa, quando la raccolta delle sottoscrizioni per i referendum sull'acqua come bene comune s'impennò fino a raggiungere il picco di un milione e quattrocentomila firme, record nella storia referendaria. Pochi si accorsero di quel che stava accadendo. Molti liquidarono quel fatto come una bizzarria di qualche professore e di uno di quei gruppi di "agitatori" che periodicamente compaiono sulla scena pubblica. O lo considerarono come un inciampo, un fastidio di cui bisognava liberarsi. Basta dare un'occhiata ai giornali di quei mesi.



E invece stava succedendo qualcosa di nuovo. Il travolgente successo nella raccolta delle firme era certamente il frutto di un lavoro da tempo cominciato da alcuni gruppi. In quel momento, però, incontrava una società che cambiava nel profondo, dove l'antipolitica cominciava a rovesciarsi in una rinnovata attenzione per la politica, per un'altra politica. Ai referendum sull'acqua si affiancarono quelli sul nucleare e sul legittimo impedimento. Nasceva così un'altra agenda politica, alla quale, di nuovo, non veniva riservata l'attenzione necessaria.



Mentre i referendari lavoravano per blindare giuridicamente i quesiti e farli dichiarare ammissibili dalla Corte costituzionale, le dinamiche sociali trovavano le loro strade, anzi le loro piazze. Sì, le piazze, perché tra l'autunno e l'inverno questi sono stati i luoghi dove i cittadini hanno ritrovato la loro voce e la loro presenza collettiva. Le donne, le ragazze e i ragazzi, i precari, i lavoratori, il mondo della scuola e della cultura hanno creato una lunga catena che univa luoghi diversi, che si distendeva nel tempo, che faceva crescere consenso sociale intorno a temi veri, nei quali si riconosceva un numero sempre maggiore di persone - il lavoro, la conoscenza, i beni comuni, i diritti fondamentali, la dignità di tutti, il rifiuto del mondo ridotto a merce.



Le piazze italiane prima di quelle che simboleggiano il cambiamento nel nord dell'Africa? Le reti sociali, Facebook e Twitter come motori delle mobilitazioni anche in Italia? Proprio questo è avvenuto, segno evidente di un rinnovamento dei modi della politica che non può essere inteso con le categorie tradizionali, che sfida le oligarchie, che rende inservibile la discussione da talk show televisivo. Forse è frettoloso parlare di un nuovo soggetto politico per una realtà frastagliata e mobile. Ma siamo sicuramente al di là di quei "ceti medi riflessivi" che segnarono un'altra stagione della società civile. Di fronte a noi sta un movimento che si dirama in tutta la società, prensile, capace di costruire una agenda politica e di imporla.



Mentre tutto questo avveniva, le incomprensioni rimanevano tenaci. Patetici ci appaiono oggi i virtuosi appelli contro il "movimentismo", provenienti anche da persone e ambienti dell'opposizione, che oggi dovrebbe riflettere seriamente sulla realtà rivelata dalle elezioni amministrative e dai referendum invece di insistere nella ricerca di categorie astratte - il centro, i moderati. E se la maggioranza vuol cercare le radici della sua sconfitta, deve cercarle proprio nell'incapacità totale d'intendere il cambiamento, con un Presidente del consiglio che ci parlava di piazze piene di fannulloni, una ministra dell'Istruzione che non ha incontrato neppure uno studente, una maggioranza che pensava di domare il nuovo con la prepotente disinformazione del sistema televisivo.



Guardiamo alle novità, allora, e alle prospettive e ai problemi che abbiamo di fronte. Il voto di domenica e lunedì ha restituito agli italiani un istituto fondamentale della democrazia - il referendum, appunto. Ma ci dice anche che bisogna eliminare due anomalie che continuano a inquinarne il funzionamento. È indispensabile riscrivere la demagogica legge sul voto degli italiani all'estero, fonte di distorsioni, se non di vere e proprie manipolazione. È indispensabile ridurre almeno il quorum per la validità dei referendum. Pensato come strumento per evitare che l'abrogazione delle leggi finisse nelle mani di minoranze non rappresentative, il quorum ha finito con il divenire il mezzo attraverso il quale si cerca di utilizzare l'astensione per negare il diritto dei cittadini di agire come "legislatore negativo". Si svilisce così anche la virtù del referendum come promotore di discussione democratica su grandi questioni di interesse comune.



Ma il punto cruciale è rappresentato dal fatto che ai cittadini è stato chiesto di esprimersi su temi veri, che liberano la politica dallo sguardo corto, dal brevissimo periodo, e la obbligano finalmente a fare i conti con il futuro, con una idea di società, con il rinnovamento delle stesse categorie culturali. Un'altra agenda politica, dunque, che dà evidenza all'importanza dei principi, al rapporto nuovo e diverso tra le persone e il mondo che le circonda, all'uso dei beni necessari a garantire i diritti fondamentali di ognuno. La regressione culturale sembra arrestata, il risultati delle amministrative e dei referendum ci dicono che un'altra cultura politica è possibile.



Il voto sul nucleare non ipoteca negativamente il futuro dell'Italia. Al contrario, impone finalmente una seria discussione sul piano energetico, fino a ieri elusa proprio attraverso la cortina fumogena del ritorno alla costruzione di centrali nucleari. Il voto sul legittimo impedimento ci parla di legalità e di eguaglianza, esattamente il contrario della pratica politica di questi anni, fondata sul privilegio e il rifiuto delle regole. Il voto sull'acqua porta anche in Italia un tema che percorre l'intero mondo, quello dei beni comuni, e così parla di un'altra idea di "pubblico". Proprio intorno a quest'ultimo referendum si è registrato il massimo di disinformazione e di malafede. Si è ignorato quel che da decenni la cultura giuridica e quella economica mettono in evidenza, e cioè che la qualificazione di un bene come pubblico o privato non dipende dall'etichetta che gli viene appiccicata, ma da chi esercita il vero potere di gestione. Si sono imbrogliate le carte per quanto riguarda la gestione economica del bene, identificandola con il profitto. Si sono ignorate le dinamiche del controllo diffuso, garanzia contro pratiche clientelari, che possono essere sventate proprio dalla presenza dei nuovi soggetti collettivi emersi in questa fase.



Quell'agenda politica deve ora essere attuata ed integrata. È tempo di mettere mano ad una radicale riforma dei beni pubblici, per la quale già esistono in Parlamento proposte di legge. E bisogna guardare ad altre piazze. Quelle che affrontano il tema del lavoro partendo dal reddito universale di base. Quelle che ricordano che le persone omosessuale attendono almeno il riconoscimento delle loro unioni: un diritto fondamentale affermato nel 2009 dalla Corte costituzionale e che un Parlamento distratto e inadempiente non ha ancora tradotto in legge, com'è suo dovere.

La fuga dai referendum non è riuscita. Guai se, dopo un risultato così straordinario, qualcuno pensasse ad una fuga dai compiti e dalle responsabilità che milioni di elettori hanno indicato con assoluta chiarezza.



(16 giugno 2011)




 Il governo dei morti che parlano.
di Michele Martelli, da " Micromega"


Nei 4 referendum, approvati dall’enorme maggioranza dei votanti con un “battiquorum” da sogno, ha stravinto il SI. L’Italia si è risvegliata dal letargo. Lo provano anche i SI della metà degli elettori leghisti e pidiellini. B. è caduto dal predellino; l’altro B., quello di rincalzo, sta annaspando nelle divine acque padane. Dunque, un governo sfiduciato dal popolo. E peraltro in fibrillazione (persino qualche ministro ha votato per il SI, smarcandosi da Berlusconi e Bossi). Hanno vinto i cittadini (San di Pietro dixit, anzi l’hanno gridato nelle piazze festose i quasi 600 comitati referendari). Ha perso la cricca di governo, gli yesmen di Bossi alla Trota e i “liberi servi” del Cav. A proposito, si può essere “liberi servi”? La logica dell’intelligente mutandiere di regime è simile a quella dell’Astolfo ariostesco, che almeno il cervello perduto del paladino Orlando va a cercarlo sulla luna.



Perché dunque il governo non molla?



Perché, si risponde, i referendum hanno bocciato quattro leggi, non il governo. Ma chi le ha proposte e approvate, quelle leggi? È lapalissiano: il governo. Dunque i referendum hanno bocciato il governo. Non a caso B., la sua cricca e i suoi “liberi servi” (indegni di chiamarsi “liberi”) hanno tentato prima di annullare (furbesca e apparente modifica del testo legislativo, ricorso alla Consulta), poi di screditare i referendum con ogni mezzo (“voto inutile”, “andate al mare”). Volevano impedire al popolo di esprimersi, prevedendo la mazzata. Se quasi 27 milioni di italiani sono andati al seggio, e non al mare, magari in Sardegna, o nei negozi di collanine della capitale, come ha fatto l’ineffabile B. in dispregio degli elettori, e se ha stravinto il SI, qualcosa vuol dire. Non è solo un “segnale” anodino, un sommesso avvertimento al governo, come timidamente ha sussurrato all’orecchio amico di B. la Cei di Bagnasco. È una valanga, uno tsunami civile che si abbatte sul governo del malaffare.



Immaginiamo la malaugurata ipotesi che il quorum non fosse stato raggiunto, o avesse vinto il NO. Che cosa avrebbero fatto il ricchissimo ometto del predellino, il celtico sacerdote del Po, e il misero gruppetto degli (Ir)responsabili, ovvero la ditta B&B and Scilipoti? Avrebbero stappato bottiglie di champagne e brindato all’acclamazione plebiscitaria del governo e del suo operato. Si va avanti, si fa strame della Costituzione. Evviva il regime del bungabunga e del magna magna! “L’uomo che ha fottuto un intero paese” avrebbe definitivamente fottuto anche la democrazia di quel paese. Ma allora, se il fallimento del referendum, o il NO sulle schede sarebbe stato un SI al governo, la vittoria dei referendum e i 26.857.452 SI sono stati un sonoro NO al governo. La maggioranza dei cittadini ha bocciato 4 leggi del governo. Dunque ha detto che il governo non sa governare, o, meglio, non governa per il popolo, in pro dei cittadini, per la difesa del bene pubblico. Dunque, niente imbrogli e raggiri: si dimetta!



I quesiti referendari vertevano su tre beni essenziali, primari della vita e della convivenza civile: l’acqua, la salute e le risorse energetiche, la legge uguale per tutti. Il governo, che voleva privatizzare l’acqua, affidando la sua gestione ai profitti rapaci delle imprese private; che per lo stesso motivo voleva costruire le centrali nucleari, compromettendo oggi e in futuro la salute e la sopravvivenza nostra e dei nostri figli; che infine voleva continuare a fare leggi ad personam, o ad criccam, distruggendo l’uguaglianza della legge per tutti, caposaldo della democrazia, – un tale governo non era, non è un governo di tutti e per tutti, ma di pochi e per pochi. Un servitore non del popolo, ma di una ristretta cerchia di profittatori, indagati e corrotti. Un governo passato, trapassato. Di statue di cera. Di morti che parlano.



Dunque, fuori, ad Hammamet o altrove, nei Caraibi! Tolga il disturbo!



Michele Martelli



(15 giugno 2011)




Che cos'è l'inchiesta sulla P4 ?
Così i pm Curcio e Woodcock hanno acceso i riflettori sulla rete segreta, tra dossier e indagati vip.


Un’attività di dossieraggio clandestino con l’obiettivo di gestire e manipolare informazioni segrete o coperte da segreto istruttorio. Una vera e propria associazione a delinquere finalizzata anche a controllare appalti e nomine. Questo l’obiettivo con il quale sarebbe sorta la cosiddetta P4, che avrebbe anche interferito sulle funzioni di organi costituzionali, condizionandone le scelte Ad accendere i riflettori sui partecipanti e le modalità dell’associazione segreta la Procura della Repubblica di Napoli con un’indagine avviata dai pm Francesco Curcio ed Henry John Woodcock. Le ordinanze di custodia cautelare agli arresti domiciliari per l’uomo d’affari Luigi Bisignani e per il parlamentare del Pdl Alfonso Papa sono l’epilogo di un’attività indagine caratterizzata anche da numerose perquisizioni e dall’ascolto di testimoni eccellenti.



I provvedimenti emessi oggi rappresentano una svolta sul fronte dell’inchiesta, nella quale finora risulterebbero almeno quattro indagati: oltre a Papa e all’ex giornalista Luigi Bisignani (definito nell’imputazione un «soggetto più che inserito in tutti gli ambienti istituzionali e con forti collegamenti con i servizi di sicurezza»); il sottufficiale dei carabinieri di Napoli Enrico La Monica e l’assistente della Polizia di Stato Giuseppe Nuzzo, in servizio al commissariato di Vasto Arenaccia.



Tutti e quattro, insieme ad altri appartenenti alle forze di polizia in corso di identificazione, avrebbero dato vita ad una organizzazione a delinquere finalizzata a compiere un numero indeterminato di reati contro la pubblica amministrazione e contro l’amministrazione della giustizia. In due modi: da un lato, acquisendo in ambienti giudiziari napoletani informazioni riservate e secretate relative a delicati procedimenti penali in corso e, dall’altro, notizie riguardanti ’dati sensibilì e personali su esponenti di vertice delle istituzioni ed alte cariche dello Stato. Informazioni e notizie che sarebbero state gestite ed utilizzate in modo «illecito» con lo scopo ultimo di ottenere «indebiti vantaggi ed utilità».



Gli indagati, sempre secondo l’ipotesi accusatoria, avrebbero poi dato vita ad una associazione segreta, vietata dall’articolo 18 della Costituzione, nell’ambito della quale avrebbero svolto «attività dirette ad interferire sull’esercizio delle funzioni di organi costituzionali, di amministrazioni pubbliche, anche ad ordinamento autonomo, di enti pubblici anche economici, nonchè di servizi pubblici essenziali di interesse nazionale».



Il sottufficiale dell’Arma La Monica, in particolare, avrebbe rivelato in più occasioni notizie coperte da segreto (raccolte anche presso altri appartenenti alle forze dell’ordine) in cambio della promessa di essere sponsorizzato per l’assunzione all’Aise, i servizi segreti militari.



Ad avviso degli inquirenti il quadro indiziario è già «nitido» - grazie alle intercettazioni e all’attività investigativa svolta - ed avrebbe portato alla luce un «sistema criminale» ben congegnato e co-gestito «sia da soggetti formalmente estranei alle Istituzioni pubbliche e alla pubblica amministrazione sia, invece, da soggetti espressione delle Istituzioni dello Stato», tra i quali vengono indicati «parlamentari della Repubblica, appartenenti alle forze dell’ordine» ed anche «faccendieri».



Tra i testimoni eccellenti ascoltati anche il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Gianni Letta, il ministro Mara Carfagna, il presidente del Copasir, Massimo D’Alema, il vice presidente di Fli, Italo Bocchino, l’ex dg della Rai, Mauro Masi, il direttore centrale delle Relazioni esterne di Finmeccanica, Lorenzo Borgogni.

Fonte : "La Stampa"



LEGGE ELETORALE
"Io firmo. Riprendiamoci il voto"



Al via il referendum anti-PorcellumPresentata questa mattina a Roma una nuova campagna referendaria per cancellare i punti più controversi della legge Calderoli. Dalla prossima settimana via alla raccolta delle firme. Obiettivo: 500mila entro la fine di settembre
di CARMINE SAVIANO, da " Repubblica"





Il manifesto della campagna

ROMA - Liste bloccate, premio di maggioranza, deroghe alla soglia di sbarramento, obbligo di indicazione del candidato premier. Quattro punti. Quattro disposizioni che fanno del Porcellum, una legge elettorale "da cancellare al più presto". Dando, attraverso un referendum abrogativo, la parola ai cittadini.



È "Io Firmo. Riprendiamoci il voto" 1, iniziativa del Comitato per il Referendum sulla Legge Elettorale, che stamattina a Roma, ha lanciato una nuova campagna referendaria. Si parte la prossima settimana con la raccolta delle firme per eliminare una delle distorsioni più nocive del sistema politico italiano.



Una mobilitazione trasversale, che nasce nella società civile, per mettere un freno ai danni prodotti dal Porcellum: trasformismo, frammentazione, coalizioni disomogenee e ingovernabili. Per questo, secondo Stefano Passigli, "ogni tentativo di modifica della legge è destinato a fallire", e l'unico modo per eliminarne i difetti è "tagliare i quattro punti più discussi". E il ricorso ai cittadini è il modo per superare l'impasse parlamentare: "Se il Parlamento riuscirà a trovare un accordo, tanto meglio. Altrimenti il referendum è inevitabile".



Numerosi gli interventi. Tutti tesi a sottolineare gli orrori del Porcellum. Per Giovanni Sartori, "il premio di maggioranza dato a una minoranza è il vizio maggiore della legge". Perché "questo falsa tutto il sistema politico: le leggi elettorali trasformano i voti in seggi e questa legge li trasforma male". Poi l'indicazione dei modelli che potrebbero essere importati in Italia: "il doppio turno alla francese o quello tedesco sarebbero i due sistemi che andrebbero bene". E sulle motivazioni del referendum: "È il rimedio contro l'inerzia dei partiti in materia di legge elettorale".



Per Enzo Cheli, "dopo la legge Acerbo, è la peggiore legge elettorale della storia italiana". E ancora: "Al di là delle conseguenze, come le intere aree sociali buttate fuori dal Parlamento, il premio di maggioranza dato ad una coalizione al di là di una soglia minima è a rischio di costituzionalità". Non solo: con il Porcellum, sono saltate tutte le "soglie di ragionevolezza". Da qui l'esigenza di intervenire sulla legge "per ragioni di manutenzione costituzionale". Non manca la preoccupazione per il tipo di legge che verrebbe fuori se il referendum riuscisse ad ottenere il quorum: "Se passa, resta in piedi una legge proporzionale. E, soprattutto, una legge funzionante".



L'obiettivo è raggiungere, entro settembre, le 500mila firme valide necessarie a presentare il referendum alla Corte di Cassazione. Tra le prime adesioni nomi molto noti della cultura italiana: Claudio Abbado, Salvatore Accardo, Umberto Ambrosoli, Alberto Asor Rosa, Corrado Augias, Gae Aulenti, Andrea Carandini, Luigi Brioschi, Tullio De Mauro, Umberto Eco, Carlo Feltrinelli, Inge Feltrinelli, Ernesto Ferrero. Vittorio Gregotti, Carlo Federico Grosso, Rosetta Loy, Dacia Maraini, Renzo Piano, Mario Pirani, Maurizio Pollini, Giovanni Sartori, Corrado Stajano, Massimo Teodori, Giovanni Valentini, Paolo Mauri, Gustavo Visentini, Innocenzo Cipolletta, Domenico Fisichella, Stefano Mauri, Benedetta Tobagi, Franco Cardini, Luciano Canfora, Irene Bignardi e Margherita Hack.

(16 giugno 2011)

mercoledì 15 giugno 2011

IL SONDAGGIO IPR
Berlusconi, fiducia ai minimi


il centrosinistra è maggioranzaSecondo le rilevazioni la coalizione composta da Pd, Sel, Verdi, Idv, Psi e radicali è al 42,5%. Pdl e Lega si fermano al 39%. Terzo Polo al 13%. Malissimo il gradimento del premier che scende al 29%

di MATTEO TONELLI, da Repubblica



ROMA - Una brutta aria che trova nel voto referendario un'ulteriore conferma di un vento nuovo che spazza l'elettorato. Perchè, leggendo il sondaggio Ipr Marketing per Repubblica.it, il crollo di fiducia in Silvio Berlusconi e il suo governo è costante. Al punto che, adesso, il gradimento di una ipotetica coalizione di centrosinistra, formata da Pd, Idv e Sel, supera il blocco leghista e pidiellino di 3,5%. Crolla la fiducia nel Cavaliere che sembra pagare le carenze dell'agire (o del non agire) economico dell'esecutivo, le mancate promesse (liberalizzazioni, meno burocrazia e via dicendo), il passaggio dal "miracolo italiano" alla scialuppa di salvataggio parlamentare guidata dal "reponsabile" Scilipoti. Ma se Berlusconi piange, il centrosinistra non deve cullarsi sugli allori. Perché l'ultima ondata di successi non può far dimenticare che, ad oggi, la costruzione di una coalizione che sia un'alternativa chiara al berlusconismo è ancora da definire.



Tabelle: fiducia nel premier e nel governo 1 - Intenzioni di voto 2



Intenzioni di voto. Il sorpasso è nelle cifre. Il centrosinistra (Pd, Idv, Sel, Verdi, Psi e radicali) si attesta al 42,5%, il centrodestra (Pd, Lega e satelliti vari) si ferma al 39%. Il terzo Polo si ferma al 13% (con l'Udc al 7% e Fini al 3,5%). Fuori dai tre blocchi si piazzano Rifondazione e i Comunisti italiani (1,5%) e il movimento Cinque stelle (2,5%). Significativa la questione Lega. Mentre in passato il Carroccio e il Pdl funzionavano come vasi comunicanti (al calo di uno corrispondeva l'incremento dell'altro), stavolta le cose sono andate diversamente. In particolare per gran parte dell'elettorato leghista sempre più insofferente alla deriva presa dal Pdl, stretto tra leggi ad personam e festini ad Arcore.



Se queste sono le cifre, però, non bisogna immaginare una partita dall'esito certo. Se da una parte il "disamoramento" dell'elettorato di centrodestra è evidente, se l'appeal del centrosinistra cresce, questo non basta per dichiarare chiusa la partita. Perché da una parte un centrodestra "di nuovo conio" e senza Berlusconi potrebbe tornare ad attirare l'elettorato moderato, dall'altra il centrosinistra sembra ancora carente dal punto di vista della leadership e dei programmi. Ed è bene ricordare il 2006 quando la coalizione guidata da Romano Prodi fece i conti con una rimonta berlusconiana che nessuno aveva previsto.



Fiducia in Berlusconi? Poca. 29%. E basterebbe questo dato per capire quanto l'appeal del Cavaliere sia in caduta libera. Anche solo rispetto al gennaio di quest'anno (40%) a pochi giorni dalla fiducia conquistata con l'arrivo dei Responsabili. Paga, Berlusconi, lo sgretolamenbto dell'icona dell'efficenza. Quel "ghe pensi mì" suona ormai stonato. Soffocato da scandali privati, dall'attivismo a senso unico sulla giustizia e dalla consunzione della leadership. In crescita, all'opposto, il numero di coloro che non hanno più fiducia nel presidente del Consiglio. Per la prima volta si arriva a quota 60%. Tetto mai toccato fino ad oggi. Male anche il governo: solo il 23% dichiara fiducia a fronte di un robusto 62%.



Ministri, Alfano in testa. Al top c'è l'uomo a cui il Cavaliere ha affidato il compito di mettere ordine nel Pdl. Quell'Angelino Alfano, attuale ministro di Giustizia,nominato segretario del partito del Cavaliere. Compito improbo il suo, ma che gli fa guadagnare due punti che lo piazzono in testa alla lista dei ministri. Alle sue spalle il ministro dell'Interno Roberto Maroni. Il leghista, che in questi giorni ha più volte suonato la sveglia all'esecutivo, arriva al 58%, superando di un punto il titolare del Welfare Maurizio Sacconi. Da notare il calo secco (-3%) di Giulio Tremonti che, in questi giorni è finito più volte nel mirino della sua stessa maggioranza per le sue politiche "eccessivamente rigoriste" in tema di spesa.

(15 giugno 2011)

martedì 14 giugno 2011

Affluenza boom, quesiti validi.


Se si votasse per le politiche, Berlusconi


perderebbe di qualche lunghezza

UGO MAGRI, dalla "Stampa"



ROMA

L’Italia sbatte la porta alle tecnologie rischiose, intima «giù le mani» dai beni pubblici, grida «mai più» alle leggi «ad personam». Un decreto a firma presidenziale dichiarerà, tempo qualche giorno, che tutte le norme sottoposte al referendum sono state giustiziate dalla rabbia popolare. La «Gazzetta ufficiale» pubblicherà un necrologio senza lacrime. Nel frattempo la Suprema corte avrà accertato l’esito che già sappiamo: il 57 per cento degli elettori si sono recati alle urne, ben il 95 ha votato «sì».



Tromba d’aria

E’ la seconda, in un mese, che si abbatte sulla politica. Il vuoto d’aria risucchia Berlusconi, che non più tardi di giovedì s’era lasciato andare in tono bisbetico, quasi incapricciato: «C’è pure il diritto di non votare...». Ora il premier finge disinvoltura. Su consiglio di Letta e Bonaiuti proclama: «La volontà di partecipazione non può essere ignorata, governo e Parlamento hanno ora il dovere di accogliere pienamente il responso dei referendum» che pure «non è lo strumento più idoneo per affrontare questioni complesse...». Già, perché al Cavaliere è riuscito il miracolo involontario di resuscitare Lazzaro, l’istituto referendario morto e sepolto dal 1995. Si sta cucendo addosso l’abito del perdente. Dicono i sondaggi (compresi quelli che Silvio legge con più attenzione): se si votasse domani la sinistra sfonderebbe e il Pd sarebbe il primo partito. Guarda che combinazione, Bersani cavalca il referendum che altri (Grillo, Di Pietro) hanno innescato, chiede elezioni subito quale effetto del «divorzio tra governo e Paese». Sempre se si votasse domani, sarebbe ineluttabilmente lui il candidato premier, senza nemmeno bisogno delle primarie.



I vincitori

Grillo sostiene: è un trionfo di tutti noi, «i cittadini hanno mandato affan... i partiti». Idem Di Pietro. L’ex pm ci vede una scelta corale né di sinistra né di destra perché «sono andati a votare sì anche molti del Pdl». E in effetti, secondo una rilevazione Emg per «La 7», ha contribuito all’esito quasi la metà degli elettori berlusconiani. Per Veltroni stavolta «vince la società civile», secondo Vendola si fa largo «l’Italia dei beni comuni». Emergono gli umori profondi, la «pancia» del Paese, grandi questioni su cui riflettere. Dunque s’inalbera Di Pietro quando il Pd (Bersani, ma pure Franceschini, D’Alema, la stessa Bindi) «strumentalizza i risultati referendari». Qui c’è un ciclone che spazza via tutto, altro che intestarsi il fenomeno. «Non chiederemo le dimissioni del Cavaliere», insiste polemico Tonino, il quale lancia se stesso «come alternativa al premier». Ormai tutti trattano Berlusconi come un pugile suonato, se lo litigano per farci a cazzotti. Un vecchio combattente di sinistra come Angius arriva a canticchiare «menomale che Silvio c’è», con lui sul ring la vittoria dei nipotini di Stalin sarebbe certissima. Anche per questo i terzopolisti uniti (dichiarazione a firma Fini-Casini-Rutelli) mandano messaggi a Pdl e Lega, il referendum «è un no grande come una casa a questo governo», prima quello lo levate di lì e meglio sarà per tutti. Anziché votare subito, Rutelli vedrebbe bene un governo-cuscinetto, una fase di decantazione. Casini invece non si fa illusioni: «Conoscendo Berlusconi, tutto farà tranne che un passo indietro».



I vinti

Alcuni come Scajola ammettono «il segnale di forte disagio verso il governo», altri ancora (Cicchitto e il quasi-segretario Pdl Alfano) applaudono Di Pietro che manda a farsi un giro Bersani, altri ancora si domandano se ora Napolitano controfirmerà la «prescrizione breve» sotto esame al Senato. Tutti tengono d’occhi la Lega che domenica celebra Pontida. Brutti presagi per il premier. Calderoli: «Gli indicheremo cosa portare in Aula per la verifica il 22 giugno... Prendere sberle sta diventando un’abitudine». Pare però che Silvio voglia ricominciare la campagna acquisti, per rimpolpare le fila dei Responsabili, e della Lega dica spavaldo: «Tanto quelli non vanno da nessuna parte...».





 IL CASO   Decreto sviluppo, sulle spiagge si cambia


il governo rinuncia al diritto di superficieDopo la riduzione da 90 a 20 anni, marcia indietro completa della maggioranza sulla norma che assegnava ai privati la proprietà delle strutture realizzate sugli arenili. Esulta il Pd

ROMA - Salta dal decreto sviluppo 1 la norma sui diritti di superficie delle spiagge. Alla Camera governo e relatori hanno infatti accolto alcuni emendamenti soppressivi della norma che portava a 20 anni il diritto di superficie sugli arenili (in un primo momento il termine era stato fissato in 90 anni 2). La materia potrebbe essere affrontata in un altro provvedimento, con molta probabilità nell'articolo 21 della Legge comunitaria. Rimangono invece intatte le norme sui distretti turistici che, anche in questo caso, subiscono una modifica voluta dal Pd che ha richiesto che il provvedimento non riguardasse solamente le strutture turistico-alberghiere.



Lo stop è stato accolto con soddisfazione dall'opposizione. "Abbiamo ottenuto la soppressione dei commi 1, 2 e 3 dell'articolo 3 del decreto sviluppo, quelli relativi alle spiagge. Come richiesto dal Pd, quindi, le norme vengono eliminate: dopo aver generato un'enorme confusione, governo e maggioranza sono state costrette ad un passo indietro. Ora si dovrà lavorare a una legge per affrontare la questione", commenta Alberto Fluvi, capogruppo pd nella commissione Finanze di Montecitorio.



Secondo l'opposizione e le associazioni ambientaliste 3,

con l'introduzione del "diritto di superficie" se lo Stato avesse voluto le spiagge libere da infrastrutture una volta scaduto il termine dei vent'anni, avrebbe dovuto pagare ai privati il valore degli immobili realizzati in quanto questi sarebbero stati da considerare a tutti gli effetti di loro proprietà e quindi potevano essere venduti o ereditati. La norma allo stesso tempo avrebbe ridotto il potere che lo Stato può esercitare sulle coste perché con la concessione - a differenza che con il diritto di superficie - lo Stato aveva la possibilità di revoca in caso di violazione dei termini del contratto, visto che la concessione stabiliva anche le dimensioni delle strutture che potevano essere edificate.

(14 giugno 2011
Fonte : Repubblica
SCANZANO JONICO
-Ancora incendi e danneggiamenti a magazzini ortofrutticoli.
 Aumenta di settimana in settimana il numero delle aziende agricole o dei magazzini ortofrutticoli dati alle fiamme e danneggiati in episodi ancora in fase di verifica. Questa notte, intorno alle ore 1.50, in via Piemonte, a poche centinaia di metri dal bivio per terzo Cavone, è toccato all'azienda agricola dedita anche alla commercializzazione in fase di espansione proprio negli ultimi mesi gestita da Antonio Gallicchio. Due camion sono stati completamente distrutti ed un altro è stato gravemente danneggiato, carbonizzate attrezzature, teloni e bins. Sul posto sono intervenuti gli uomini del Commissariato di Polizia di Scanzano, i carabinieri e le squadre dei vigili del fuoco di Policoro che stanno ricostruendo l'esatta dinamica di questo ennesimo episodio incendiario che tanta preoccupazione sta destando nella comunità scanzanese.




"Non ho ricevuto minacce nè richieste particolari da alcuno", ha detto Gallicchio, che davvero non si spiega le ragioni di tale atto.


Fonte: il metapontino.it
Il trionfo della passione civile
di GIUSEPPE GIULIETTI, da "Micromega"

Ognuno festeggi come crede, dove vuole e con chi preferisce, ma si ricordi che questa è anche una vittoria della passione civile, della unità tra diversi, dei tanti che hanno contribuito a costruire la vittoria del SÌ.


Questa giornata non ci sarebbe stata se alcuni non avessero deciso di contrastare radicalmente Berlusconi e non avessero avviato la raccolta di firme tra il fastidio e le critiche di quelli che: “Così si fa un favore al piccolo Cesare… questo è il modo migliore per rafforzarlo… il nucleare ci serve… il quorum non ci sarà mai…”, basterebbe una buona rassegna stampa per ridare memoria delle scemenze sparate e degli opportunismi di sempre.



Del resto lo stesso campionario lo avevamo dovuto ascoltare per le candidature di De Magistris a Napoli e di Pisapia a Milano; sarà bene non dimenticare quanto è stato detto e scritto, se non altro per il piacere di replicare quando i soliti noti verranno a spiegarci che: “non avete capito nulla siete solo dei velleitari, degli antiberlusconiani di professione”.



Si, questa è anche una vittoria degli antiberlusconiani di professione, anzi lo rivendichiamo con un certo malcelato piacere!



Eppure sarebbe un errore, proprio ora, abbandonarsi alle polemiche, alle divisioni, alle feste separate, alla lettura settaria dei risultati di queste settimane.



Quello che sta accadendo indica che ormai è in atto un sommovimento profondo, una rivolta etica e civile e questa rivolta ha bisogno di essere accompagnata da un coordinamento di tutte le energie, dalla definizione immediata di un programma comune fondato sulle primarie sulla tutela dei beni comuni, intesi nel senso più ampio.



Del resto i risultati raggiunti non sarebbero stati possibili se nelle urne delle amministrative e dei referendum, non si fossero sommati i voti dei comitati, delle associazioni dei partiti, dei sindacati, dei gruppi di democrazia civica, di tante cittadine e cittadini, anche di destra che non ne possono più e attendono di essere messi in condizione di poter scegliere una alternativa chiara, credibile, distante nei modi, nelle forme, nei comportamenti, nelle politiche non solo da Berlusconi, ma anche dal berlusconismo.



Nelle prossime ore Berlusconi reagirà alzando i toni e tentando di imbavagliare quello che non gli piace, guai ad abbassare la guardia, anzi forse è giunto il momento di rilanciare e di dar vita ad un movimento di popolo, ampio, unitario, di lunga durata, che chiede, con voce crescente, le dimissioni del piccolo Cesare e della sua corte.



La vittoria del SÌ, clamorosa nelle qualità e nella quantità, ha segnato il trionfo dell’interesse generale e dei beni comuni contro l’egoismo ed il conflitto di interessi, adesso sarà il caso di accompagnare alla porta l’amico italiano del colonnello Gheddafi.



Giuseppe Giulietti



(13 giugno 2011)