di WALTER PASSERINI, dalla Stampa
La ricreazione è finita, siamo in piena emergenza. Insieme ai temporali che annunciano la fine dell’estate, i dati dell’Istat ci riportano alla realtà del lavoro. Mentre l’agenzia di rating Moody’s preannuncia un calo del Pil italiano del 2% nel 2012 e un dato negativo anche nel 2013, i numeri Istat sulla disoccupazione rivelano una crisi senza ritorno e l’impietosa distanza tra la situazione reale e le proposte della politica.
Mentre i partiti guerreggiano sulla riforma elettorale, la realtà scatta una fotografia che ricorda i reportage del grande Sebastiao Salgado: oltre 2,7 milioni di disoccupati con un tasso che sconfinerà presto oltre l’11%; quasi 800mila posti persi in un anno; un tasso di disoccupazione dei giovani oltre il 35%; 2,5 milioni di lavoratori a termine; oltre 500mila part timer involontari. Se a questi aggiungiamo i lavoratori attualmente coinvolti nelle crisi e in cassa integrazione (500mila), i collaboratori (500mila) e gli scoraggiati e rassegnati, arriviamo a un esercito di 8 milioni di persone tra senza lavoro e precari, un popolo a forte e drammatico disagio occupazionale.
Mentre la politica autoreferenziata si trastulla per sopravvivere, i giornali e le televisioni ci offrono le metafore della crisi di un sistema economico: gli operai dell’acciaio, quelli del carbone e dell’alluminio. Metallurgici e minatori in carne ed ossa ci riportano ogni giorno alla realtà. Per la politica l’occupazione non è una priorità, mentre i cittadini sanno che è la vera emergenza, che sta frantumando la coesione sociale e psicologica e alimentando un disastro antropologico i cui costi sono tutti da quantificare. I costi della disoccupazione sull’economia sono invece chiari: per ogni punto di senza lavoro calano la ricchezza e il prodotto interno lordo e aumenta il debito pubblico. La disoccupazione crea povertà ai singoli ma anche a tutto il sistema. Ogni senza lavoro è un consumatore mancato, con un effetto domino pesante nel ciclo dell’economia. La stessa riforma del lavoro entrata in vigore il 18 luglio, di fronte a un quadro in rapido peggioramento, non riesce ancora a dispiegare i suoi effetti e a contrastare una situazione fuori controllo. Ci vorrebbe un patto per la produttività, per lo sviluppo, ma soprattutto per il lavoro, con una doppia strategia, una per il medio e lungo termine e una per l’immediato, qui ed ora. E’ sbagliato, come politici e classi dirigenti spesso fanno, aspettarsi la soluzione dalla realtà.
Molti pensano che la domanda riprenderà quando l’economia si rimetterà in moto, in un gioco tautologico ed illogico che non frena la crisi. Non è il caso di dividersi tra keynesiani e liberisti, un dibattito vecchio e stucchevole, ma oggi, qui ed ora, è urgente varare una strategia per l’emergenza occupazionale, che coinvolga governo, imprese e parti sociali, sul breve e non solo sul lungo termine (quando, come diceva Keynes, saremo tutti morti). E’ necessario iniziare a ricostruire il capitale umano necessario al nuovo sviluppo e a un nuovo modello economico e sociale. Si tratta di investimenti che hanno efficacia nel tempo. Le divisioni sull’articolo 18 diventano risibili di fronte alla catastrofe, così come la guerra tra precarietà e flessibilità acquista contorni più concreti.
Urge una riforma immediata degli ammortizzatori sociali, un suo avvio anticipato, e soprattutto serve una riforma dei servizi all’impiego, pubblici e privati, che assistono impotenti alla valanga dei senza lavoro. I media devono cercare più di costruire che solo denunciare, devono favorire un clima di cooperazione solidale. La priorità in questo momento è creare nuovi posti di lavoro, anche a costo di un nuovo intervento statale, su progetti e opere pubbliche, oltre che private. E vanno offerti in misura massiccia incentivi e contributi alle imprese che assumono personale. Senza un po’ di ossigeno alle imprese, un volano ai consumi e la riduzione dei senza lavoro l’economia non riparte. Così moriremo liberisti, ma con il dubbio di troppi rimpianti keynesiani.
da www.lastampa.it/lavoriincorso
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