venerdì 14 settembre 2012

La lunga notte di una riforma


LEGGE ELETTORALE, IL TEMPO SCADE
La lunga notte di una riforma
La tela di Penelope si cuce di giorno, si disfa nottetempo. Ora è di nuovo notte, e nulla ci assicura che la legge elettorale vedrà mai le luci del mattino. I partiti di maggioranza ne avevano promesso il battesimo entro giugno, poi a luglio, poi a settembre; però anche questo mese sta volando via, come una rondine davanti ai primi freddi. E allora meglio prepararci al peggio, meglio attrezzarci per resistere all'inverno della democrazia italiana.

Perché è questa la stagione che ci attende, se i partiti ci costringeranno a votare per la terza volta col Porcellum . In assenza del popolo, ne prenderà le veci il populismo. Avremo due Camere amputate (nell'autorità, non nei posti a sedere: la riduzione dei parlamentari è l'ennesima promessa tradita dai politici). Questo Parlamento dimezzato ospiterà tuttavia un partito raddoppiato, grazie al superpremio di maggioranza: 55% dei seggi, quando attualmente nessuna forza politica supera il 25% dei consensi. Infine verrà delegittimato anche il prossimo capo dello Stato, eletto da un Parlamento ormai negletto.

C'è modo di sventare la sciagura? Uno soltanto: che sia il governo Monti, per decreto, a scrivere la nuova legge elettorale. Una soluzione disperata, ma di speranze ormai ne abbiamo poche. Sicché non resta che la dottrina del male minore, teorizzata da Spinoza come da Sant'Agostino. È un male scavalcare le assemblee legislative? Certo che sì, anche se alle Camere spetta pur sempre la conversione del decreto: e a quel punto niente più gioco del cerino, chi vi s'oppone ne risponde agli elettori. Ma è un male minore, giacché il male maggiore rimane la crisi democratica in cui siamo avvitati. Ed è un male evitabile: se gruppi di cittadini e di parlamentari sosterranno questa stessa soluzione; se l'esecutivo ne verrà corroborato per metterla poi nero su bianco; se i partiti, vista la malaparata, riusciranno infine a scongiurare la mossa del governo, siglando un testo condiviso. Talvolta una minaccia serve più di tanti bei sermoni.

Resta però una duplice obiezione: di forma e di sostanza. La prima chiama in causa l'ammissibilità dei decreti in materia elettorale, negata dall'art. 15 della legge n. 400 del 1988. Che tuttavia è una legge ordinaria, e dunque non può vincolare le leggi successive, né i decreti con forza di legge; tant'è che in questo campo non si contano i provvedimenti del governo, dalla disciplina delle campagne elettorali alle modalità di selezione delle candidature. Senza dire che ogni decreto legge si giustifica - Costituzione alla mano - in nome dell'emergenza, della necessità. Necessitas non habet legem , dicevano i latini: quando la società corre un pericolo, l'unica legge è la salvezza collettiva.

Già, ma spetta a un governo tecnico la più politica delle decisioni? Come potranno Monti e i suoi ministri scegliere fra maggioritario e proporzionale, fra collegi e preferenze? Difatti non possono, non devono. Possono soltanto estrarre dai cassetti l'unico modello già incartato: il Mattarellum . Anche perché dal 1994 al 2001 lo abbiamo usato per tre volte, senza eccessivi danni; l'anno scorso un referendum che intendeva riesumarlo raccolse un milione e 200 mila firme in pochi giorni; ed è la prima scelta per vari dirigenti di partito (Parisi, Vendola, Di Pietro). Poi, certo, si può fare di meglio. Anche di peggio, tuttavia. E in questo caso il peggio coincide col non fare.
michele.ainis@uniroma3.it

di Michele Ainis, dal Corriere

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