giovedì 1 marzo 2012

In Val di Susa una sfida per il premier


di GIAN ENRICO RUSCONI, dalla stampa

La conflittualità che investe la Valle di Susa ha perso la natura di un normale conflitto sociale in una democrazia. Rischia di diventare una rivolta contro l'autorità stessa dello Stato - una rivolta cui la militarizzazione della valle dà i connotati di un virtuale stato di guerra. E' una umiliazione della democrazia. E' tempo che il presidente del Consiglio esca dal suo riserbo. Lo deve anche alla maggioranza dei cittadini italiani, che magari tardivamente si sono resi conto delle dimensioni reali e complesse del problema, ed ora sono sinceramente sconcertati e turbati.

Le ultime notizie parlano di dichiarazioni di disponibilità da parte di alcuni ministri del governo ad riaprire ancora «il dialogo» senza abbandonare la «fermezza». In concreto questo vorrebbe dire che non si torna indietro dalla decisione di procedere con i lavori per l'alta velocità, ma che ci sono ancora spazi di trattativa sulle condizioni ambientali (ecologiche e socio-economiche), sulle compensazioni per i contraccolpi negativi dell'intera operazione. Pare anche che ci sia una significativa parte di cittadini della Valle disposti a riprendere questa strada, rendendosi conto del clima distruttivo che si è creato.
Ma lo scetticismo è d'obbligo.

La situazione è incerta. Non si può escludere che si aprano forti tensioni all'interno del movimento di protesta con conseguenze imprevedibili. I No Tav radicali che guidano la protesta - e che non sono classificabili automaticamente come «violenti» - non intendono contrattare i termini della esecuzione della Tav, ma la vogliono semplicemente rendere ineseguibile. Impraticabile politicamente, prima ancora che operativamente.

Ma c'è di più, la decisione governativa che è stata vissuta dagli abitanti della Valle di Susa come una prevaricazione, si è dilatata mediaticamente, polarizzando su di sé disagi e conflitti diffusi nel Paese anche quando questi non sono neppure lontanamente paragonabili con quella della valle. La sigla No Tav è diventata un simbolo di disobbedienza civile.
Ma si può ora rendere reversibile o modificabile una decisione che si sta rivelando tanto costosa dal punto di vita politico? Chi ha l'autorità di farlo?

Siamo davanti alla prima seria sfida all'autorevolezza del governo Monti - sfida tutta politica perché tocca il principio di autorità. Le tensioni e i conflitti verificatisi attorno alle iniziative economiche, finanziare e sociali del governo si sono mossi sin qui tutti entro i confini di un confronto/scontro democratico, energico ma controllato. Soltanto la protesta degli autotrasportatori settimane or sono ha pericolosamente sfiorato i limiti. In questa occasione la strategia del governo è stata di una paziente azione moderatrice. Ma disponeva di una risorsa importante: la sostanziale impopolarità dell'oltranzismo degli autotrasportatori. A favore del governo ha giocato quindi l'impatto mediatico negativo delle immagini del blocco dei Tir.

Stiamo imparando a conoscere le ambivalenze della copertura mediatica (e giornalistica) delle forme di protesta. La ricerca a tutti i costi dell'effetto mediatico clamoroso e provocatorio non garantisce automaticamente successo alle ragioni di chi protesta. Anzi, porta i cittadini a valutare con maggiore serietà le ragioni e i torti dei contestatori. E’ quanto potrebbe succedere nelle prossime ore anche in Val di Susa. Anche grazie all'ormai famoso monologo ingiurioso del No Tav rivolto al carabiniere silenzioso.

Ma torniamo al governo. Mi auguro che Monti non si lasci assorbire interamente dai giochi di pressione e ricatto sul decreto legge sulle liberalizzazioni. Che sappia valutare la serietà politica e di civiltà democratica del caso della Val di Susa, che non è riducibile ad una questione di ordine pubblico. E quindi faccia sentire la sua voce. Monti deve trovare le parole giuste che non si limitino a ribadire le buone ragioni della decisione presa dai governi che l'hanno preceduto. Non può certo presentarsi come semplice prosecutore ed esecutore di quella decisione ma neppure azzerarla o alterarla nella sostanza. Non so se lui e i suoi collaboratori abbiano in serbo qualche soluzione innovativa o (di nuovo) mediatrice. Ne dubito, ma certamente il presidente del Consiglio deve saper convincere i cittadini della Val di Susa che i loro ultimi comportamenti (o i comportamenti da loro tollerati e magari strumentalizzati) non solo allontanano da una ulteriore revisione del progetto Tav ma mettono a rischio il buon funzionamento della democrazia.

So benissimo che c'è il rischio che queste parole cadano nel vuoto, anzi creino contraccolpi di segno contrario. Tanto più che Monti non può illudersi di avere il sostegno incondizionato dei partiti, che si esprimeranno certamente con mille distinguo. Ma di fronte ai cittadini italiani è dovere del presidente del Consiglio esprimersi con chiarezza, mettendo in gioco la sua stessa autorevolezza senza eludere o sottovalutare il significato di questa prova per la nostra democrazia.


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