mercoledì 21 marzo 2012

Buste paghe col trucco


di MASSIMO BRANCATI , dalla gazzetta del mezzogiorno

POTENZA - Quasi una sindrome di Stoccolma: la vittima è consapevole del proprio sfruttamento e lo accetta per sopravvivere, al punto da proteggere il suo «carnefice». Più donne, più giovani, più attività manuali che impiegatizie. Sono soprattutto loro le vittime del «lavoro grigio»: lavoratori che firmano una busta paga da 800-1000 euro e ne incassano materialmente la metà, se non di meno. Non lavoro retribuito in nero, non un’occupazione precaria, ma forse a maggiore rischio, perchè può scomparire all’improvviso, appena si spezza la sottile complicità tra datore di lavoro e dipendente.

Sono situazioni, senza generalizzare, presenti ovunque: le commesse dei negozi, le cassiere del supermercato, i banconisti, i baristi, ma anche i braccianti, i muratori. Negli ultimi quattro-cinque anni è cresciuto in maniera impressionante il numero dei lavoratori che percepiscono retribuzioni inferiori a quelle segnate sulla busta paga e che accettano questa situazione come alternativa alla disoccupazione.

Il fenomeno interessa almeno il 25 per cento degli occupati in Basilicata: a chi va bene capita di portare a casa il 70 per cento di ciò che è scritto sulla busta, ma non sempre è così.

«In assenza di lavoro - commenta Carmine Vaccaro, segretario regionale della Uil - è chiaro che la gente si adatta a fare di tutto. Le stime sul sovraindebitamento delle famiglie è il sintomo che le cose non vanno bene ed è terreno fertile per la crescita di forme subdole di occupazione, qual è anche il lavoro a chiamata per un’ora. Ci auguriamo che la riforma del mercato del lavoro di cui si sta discutendo in questi giorni possa mettere ordine e restringere il campo di azione da parte di imprenditori o pseudo tali».

A molti lavoratori viene chiesto di pagarsi da soli i contributi, cosa illecita, se vi fosse ancora bisogno di dirlo, ma c’è anche di peggio. Tante lavoratrici che sono in maternità debbono dividere a metà il proprio stipendio con il datore di lavoro. Quasi che rimanere a casa per il periodo stabilito dalla legge sia una concessione elargita dall’azienda. Le donne, soprattutto se sono alla loro prima occupazione, sono fra le più esposte al rischio-sfruttamento: tra i 20 e i 30 si verifica la maggior parte degli episodi di lavoro grigio.

La media delle vertenze, nell’ultimo quinquennio, è di 120 all’anno ed è un numero assolutamente sottostimato rispetto alla reale situazione, dal momento che si riferisce soltanto ai ricorsi gestiti dai sindacati. A questo dato, insomma, va aggiunto quello relativo a lavoratori che si rivolgono direttamente a un legale.

Di certo i tempi sono lunghi per tutti «perchè aziende e datori di lavoro - chiariscono le organizzazioni sindacali - sono meno propensi ad arrivare ad una transazione di quanto non lo fossero in passato, attendono che il contenzioso legale faccia il proprio corso, fino ai decreti ingiuntivi. Tanto con il daffare che c’è nei tribunali».

Eppure senza i lavoratori in grigio tante attività non andrebbero avanti. Rispetto a dieci anni fa ci sono più denunce e, nel caso dei supermercati, anche più controlli, ma il turnover dei lavoratori sfruttati è diventato anche più veloce.

Pizzerie, ristoranti, pub sono fra gli esercizi commerciali in cui è più frequente la presenza di queste situazioni illegali, ma nonostante le vertenze, via un lavoratore in grigio ce n’è subito un altro pronto ad accettare condizioni anche peggiori. Il ricatto della disoccupazione e del licenziamento l’ha sempre vinta.

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