di Stefano Folli, dal sole24 ore
Di fronte ai passaggi stretti di una storica trattativa sul mercato del lavoro, il Governo Monti poteva scegliere fra una linea dura e una, diciamo così, molto morbida.
La linea dura si sarebbe riassunta così: mettere fine al negoziato con i sindacati presentando un testo del tipo "prendere o lasciare" per poi trasformarlo, con o senza la firma delle forze sociali, in un decreto legge sul quale il Parlamento avrebbe avuto sessanta giorni di tempo per deliberare. Magari sospinto da un voto di fiducia. Questa procedura avrebbe costituito una vera e propria sfida a tutto campo. In particolare nei confronti della Cgil, da un lato, e del Pd, dall'altro. E non occorre molta fantasia per immaginare gli effetti di una simile scelta.
La linea morbida era l'opposto. Voleva dire proseguire nella trattativa fino all'estenuazione. Avere la Cgil come interlocutore privilegiato, subire in qualche caso i suoi veti e accettare via via le sue condizioni per un compromesso che avrebbe creato molti scontenti nel mondo delle imprese. Questa posizione sarebbe stata, è ovvio, gradita ai partiti della sinistra. Ma avrebbe determinato non poche fratture sul versante destro del Parlamento. Anche in questo caso, probabile instabilità nel tripartito della quasi-maggioranza.
Sembra di capire che Monti abbia scelto una terza via. Vediamo in che termini. Si tiene ferma la scadenza prevista per il negoziato, in modo che non si dica che il governo ha menato il can per l'aia. Si presentano le linee di un testo concreto e ambizioso, anche sulla controversa riforma dell'articolo 18. È il testo che costituisce la proposta finale dell'esecutivo alle parti sociali. Con la Cisl di Bonanni che si dichiara d'accordo e la Cigl invece negativa; mentre la Uil è a favore chiedendo correttivi. Si mette l'accento su ciò che ha unito gli interlocutori seduti intorno al tavolo di Palazzo Chigi. E si tende a circoscrivere, pur rispettandolo, il dissenso della Cgil proprio sulle modifiche dell'articolo 18 (nodo peraltro cruciale).
Quel che conta, non si chiedono le firme ai sindacati e alle altre parti sociali in calce a ipotetici «patti». Al contrario, si prende atto dei punti d'intesa e di quelli su cui è rimasto il disaccordo, riunendoli in una sorta di «verbale». E sulla base di questo racconto complessivo della trattativa, il governo Monti si prepara a rivolgersi al Parlamento. Chiamerà in causa le forze politiche, offrendo loro il risultato di una complessa mediazione, non del tutto riuscita. Spetterà al Parlamento recepire o no il lavoro del governo e calarlo nella cornice di una legge equilibrata che segnerà una svolta nelle relazioni di lavoro (in serata peraltro girava ancora l'ipotesi più drastica e perentoria di un decreto).
Dopo le forze sociali, spetta dunque ai partiti rinunciare a qualcosa e contribuire alla soluzione del rebus. Il sentiero rimane stretto. Ma il risultato di ieri deve molto al passo compiuto lunedì da Giorgio Napolitano, con la richiesta a tutti i soggetti coinvolti nel negoziato di guardare soprattutto agli interessi generali del paese.
Sta di fatto che Monti ha dimostrato di non aver paura di decidere. La concertazione c'è stata, ma – in ossequio alle promesse fatte – non si è rivelata paralizzante. Alla Cgil non è stato concesso di esercitare il potere di veto. E ora il coinvolgimento del Parlamento permette alle forze politiche di intervenire con la loro autonomia per correggere e integrare questo o quel punto del progetto governativo. È questa la via che Bersani intravede per togliersi da una difficoltà che senza dubbio esiste e non è trascurabile per un partito di sinistra. La pressione della Cgil, a sua volta incalzata dalla Fiom, non sarà irrilevante nelle prossime settimane. Ma ognuno dovrà fare la sua parte.
La giornata di ieri dice che sulla riforma del lavoro non c'è stata l'intesa, ma nemmeno una frattura senza speranza. Si è verificato un dissidio ampio e profondo, ma suscettibile di essere gestito con senso di responsabilità, attraverso tempi politico-parlamentari che non saranno troppo brevi.
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