giovedì 8 marzo 2012

Il rischio paralisi del governo


di MARCELLO SORGI, dalla Stampa

E’ inutile nasconderlo o tentare di minimizzarlo: la cancellazione del vertice di ieri tra Monti e i segretari di Pdl, Pd e Terzo polo, dopo il rifiuto di Angelino Alfano a prendervi parte, segna la prima aperta rottura della maggioranza che sostiene il governo.

E le rassicurazioni venute un po’ da tutte le parti - a cominciare ovviamente dal presidente del Consiglio, per dire che s’è trattato di un incidente passeggero, già praticamente risolto, e l’incontro a Palazzo Chigi potrà tenersi tranquillamente la prossima settimana -, rischiano di accantonare, senza risolverle, le questioni che hanno generato il corto circuito.

A cominciare dal problema di fondo, affacciatosi ieri da destra come in precedenza era emerso da sinistra: il governo Monti è pienamente titolato ad occuparsi della crisi generale del Paese, affrontando anche temi nevralgici come la giustizia, la sicurezza, le telecomunicazioni, la Rai, o deve prudentemente tenersene lontano per evitare divisioni, limitandosi all’emergenza economica?

Rivolta ieri ad Alfano o ad altri esponenti del Pdl, questa domanda avrebbe avuto molto probabilmente la seconda risposta. Ma l’insofferenza emersa anche con toni sgradevoli da parte di parlamentari della destra nei confronti della ministra Severino, alberga parallelamente in molti ambiti del centrosinistra verso la Fornero e a margine della trattativa sulla riforma del mercato del lavoro, non a caso bloccata da due settimane.

In particolare, i nervi scoperti del partito berlusconiano si erano già elettrizzati nei giorni scorsi, quando la trattativa sulla nuova legge anticorruzione era entrata nel vivo, e in particolare quando la stessa Severino ne aveva parlato con Bersani e Casini, prima del vertice della discordia. Di qui l’irritazione di Alfano, che temeva un accordo tra il ministro e i due partners della maggioranza alle sue spalle, e la conseguente decisione di far saltare l’appuntamento con Monti in attesa di un chiarimento. Il cui onere, va da sé, adesso è destinato a ricadere interamente sul presidente del Consiglio, mentre la Severino ha dovuto incassare, senza neppure reagire, le accuse immotivate di aver tentato un accordo alle spalle del centrodestra.

Che il nervosismo diventi ogni giorno più forte all’interno del Pdl, è evidente. Basta solo considerare l’altro appuntamento saltato ieri all’ultimo momento, di Berlusconi con Bruno Vespa a «Porta a porta»: un ripensamento, si dice, consigliato da molte autorevoli voci del partito, già colpito dall’uscita (poi smentita) della scorsa settimana, in cui il Cavaliere aveva rimesso in discussione la leadership di Alfano. In difficoltà per la rottura dell’alleanza con la Lega e costretto ad affrontare le elezioni amministrative in solitudine, con il concreto rischio di una sconfitta annunciata, il Pdl in quest’ultimo periodo è sottoposto a una continua doccia fredda da parte del suo fondatore. A cosa punti Berlusconi, come sempre nessuno lo sa: ma dopo un paio di mesi di silenzio, digerita l’estromissione dal governo, il Cavaliere un giorno sì e l’altro pure lascia capire di essere insoddisfatto del suo partito, del nome Pdl che vuol cambiare perché gli ricorda il recente infausto passato, e del modo ai suoi occhi burocratico con cui il Pdl si sta avviando al congresso. Un congresso, appunto, classico, alla maniera dei partiti di un tempo, con tessere, delegati, e votazioni: indispensabili, se vuole diventare adulta, per una formazione nata quattro anni fa sul predellino di una Mercedes, ma chiaramente aborrite dal fondatore, che teme un’involuzione della sua creatura.

In un clima come questo, la legge anticorruzione, come l’ipotesi di riformare la governance della Rai, pur necessarie e all’ordine del giorno, in Parlamento o per il maturare di scadenze, sono diventate una sorta di campo minato per il governo, e tra il governo e il partito di Berlusconi. Né più né meno come era accaduto due settimane fa tra Monti, Bersani e i sindacati sull’articolo 18, tema tra l’altro più spinoso perché in nessun caso potrà essere accantonato.

Dopo lo sprint iniziale della riforma delle pensioni e del decreto «Salva-Italia», era abbastanza prevedibile che con l’approssimarsi delle amministrative e man mano che anche le politiche del 2013 si avvicinano, il governo dei tecnici sarebbe andato incontro a una navigazione più incerta. I tempi della politica, si sa, raramente coincidono con la velocità e la necessità delle decisioni e con l’efficacia delle soluzioni. Quando il rinvio serve a trovare un accordo, passi: ma la ricerca di un compromesso non può andare all’infinito. Inaccettabile sarebbe, non solo per l’Italia, ma per l’Europa che ha i suoi occhi puntati su di noi, se Monti - tra l’altro il Monti a cui Berlusconi per primo augura continuamente lunga vita -, a soli quattro mesi dal suo insediamento, dovesse essere ridotto dai veti dei partiti a una condizione di paralisi.


Nessun commento:

Posta un commento