martedì 27 marzo 2012

Il Professore Monti e lo spettro di Andreotti


di MARCELLO SORGI, dalla stampa

L’'ardito paragone fatto ieri da Monti tra se stesso e il suo governo e quelli di Andreotti e della Prima Repubblica, va considerato come un monito del premier.

Il Divo Giulio, infatti, vent’anni or sono, ai tempi della sua ultima esperienza a Palazzo Chigi, a chi lo criticava per il suo immobilismo replicò con uno dei suoi storici aforismi: «Meglio tirare a campare che tirare le cuoia!». E Casini, che da giovane vecchio democristiano per l’uomo-simbolo di tutti i governi dc ha sempre nutrito ammirazione, due settimane fa al vertice di maggioranza, volendo fare un complimento al presidente del Consiglio, gli disse che lo considerava «più furbo di Andreotti».

Ma sono proprio questi precedenti e questi paragoni interessati che Monti ha voluto allontanare da sé, una volta e per tutte, ricordando che i tecnici sono stati chiamati al governo per realizzare appunto ciò che era necessario e i politici non riuscivano a fare. Di qui la necessità di misurarsi sui risultati e di portare a compimento in tempi brevi la riforma del mercato del lavoro, e al suo interno anche quella, assai contestata, dell’articolo 18. Se possibile, ha chiarito Monti - facendo eco a Fornero che aveva espresso il timore di vederla finire «in polpette» -, senza stravolgerla nel passaggio parlamentare che si annuncia lungo e defatigante.

La precisazione del premier è stata accompagnata da un ammorbidimentodella posizione del Pd, finora negativa. Dopo giorni e giorni di critiche per la decisione di chiudere la trattativa con le parti sociali senza accordo, e in aperta rottura con la Cgil, Bersani ha mandato segnali distensivi, allontanando i segnali di crisi, confermando il suo appoggio al governo, e augurandosi che il testo della riforma possa essere corretto in Parlamento e si arrivi a una formulazione condivisa. Il leader del Pd ha voluto anche ringraziare il presidente Napolitano per l’opera di mediazione svolta. Ma alcuni dei presenti hanno notato che, diversamente da altre volte, l’accenno al Capo dello Stato non è stato accompagnato da un applauso: segno che nel partito ancora prevalgono le riserve di chi forse avrebbe voluto dal Presidente una maggiore resistenza all’iniziativa del governo.In realtà Napolitanoè intervenuto sul metodo e sullo strumento più opportuno per dare il via al dibattito nelle Camere. Ma, nel merito, ha condiviso la necessità della riforma, perché è consapevole che era uno dei punti su cui l’Europa premeva sull’Italia e pertanto rientrava nel programma del governo fin dal momento della suaformazione.

Anche Pd e sindacati ne erano avvertiti: per questo, superata la campagna elettorale e il momento della propaganda, quando il confronto entrerà nel vivo, e la riforma dovrà essere trasformata in legge, anche il centrosinistra dovrà chiarire le sue vere intenzioni. Prendendo atto che una resistenza troppo ostinata alla modifica dell’articolo 18, al di là della assicurazioni che Bersani in persona ha voluto dare, alla lunga potrebbe compromettere la stabilità del governo.

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