L DISAGIO DELLA MAGGIORANZA
Due lezioni in un giorno
Le lezioni offerte dal cortocircuito di ieri fra il governo e i partiti che lo sostengono sono di due tipi. La prima tende a definire, anche troppo, i contorni dell'Esecutivo di Mario Monti. E conferma che quando l'agenda del presidente del Consiglio spazia sui temi economici e sulla politica estera è non solo appoggiata ma esaltata. Quando invece tocca argomenti che lambiscono il cuore dei rapporti fra partiti, rischia di essere percepita come un'intrusione e dà la stura a ogni diffidenza: tanto più se uno degli alleati subodora, a torto o a ragione, accordi dai quali è escluso. La seconda lezione è che Palazzo Chigi sarà sempre più costretto a fare i conti con forze politiche in ebollizione.
Si tratta di partiti che non promuovono ma subiscono la metamorfosi provocata dalla fine della stagione berlusconiana; e soffrono l'estromissione da un potere governativo monopolizzato dai «tecnici». Più ci si inoltra verso la fine della legislatura, maggiore è la sensazione di uno sgretolamento degli equilibri ereditati dal voto del 2008; e destinati a ricevere un altro colpo alle Amministrative del 6 maggio. Per questo, la tendenza di alcuni esponenti del governo a rimarcare i difetti della classe politica è potenzialmente esplosiva. E rivela una miscela di ingenuità e di ingenerosità perché sottovaluta il sostegno parlamentare che permette loro di fare i ministri.
Il risultato è che Monti rischia, come è accaduto ieri, di vedersi scaricare addosso le tensioni e le frustrazioni dei partiti. D'altronde, il modo in cui Pdl, Pd e Udc misurano quotidianamente le affinità con il premier è indicativo. Evoca lo sforzo di delineare un'identità che non significhi né appiattimento né smarcamento. La disdetta del vertice con Angelino Alfano, Pier Luigi Bersani e Pier Ferdinando Casini, decisa da Monti dopo l'irrigidimento del segretario del Pdl, riflette queste contraddizioni. E drammatizza la difficoltà di accompagnare un governo incline a seguire regole prima sconosciute.
È probabile che Alfano abbia usato un colloquio fra Casini, Bersani e il ministro della Giustizia, Paola Severino, come pretesto per dare una prova di forza: tanto più con un Silvio Berlusconi non rassegnato al notabilato. E la diserzione forzata dell'ex premier dalla trasmissione «Porta a Porta» è scaturita dall'esigenza di non contraddirlo: il Cavaliere non poteva parlare bene del governo in tv nel giorno in cui spuntava la prima crepa tra Monti e un Pdl agitato. Sono tutti episodi rivelatori di un'insofferenza che lievitava da settimane; e che ha incrociato le preoccupazioni per la riforma della giustizia e per il futuro della Rai; e i timori di Alfano per l'isolamento del suo partito.
Per questo le parole sullo «schifo della politica» del ministro della Cooperazione, Andrea Riccardi, sono apparse intollerabili al centrodestra; e imbarazzanti per un premier che si sforza di riconoscere il ruolo del Parlamento. Monti ha rischiato di diventare non lo spettatore delle liti altrui, ma il parafulmine della polemica innescata da un suo ministro. Le scuse di Riccardi ridimensionano l'incidente. Rimane il punto interrogativo dei confini che i partiti cercano di imporre al governo; e che Monti difficilmente potrà, e anzi non dovrà a nostro giudizio, accettare. Peccato che in questo rigurgito di Seconda Repubblica, l'intesa fra Italia e Germania, rilanciata dalla visita di ieri a Roma del ministro delle Finanze, Wolfgang Schauble, forse non abbia avuto il rilievo che invece meritava.
di Massimo Franco, dal corriere
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