La dottrina del Presidente ricalca l'intervento del 1999. L'America non vuole rovesciare Gheddafi | |
![]() | |
![]() | |
INVIATO A RIO DE JANEIRO | |
![]() | |
Ecco quali sono. Primo: l’ordine dato al Pentagono è di condurre un’«operazione limitata» con l’impiego di forze aeronavali ma senza il ricorso a truppe terrestri, richiamandosi così ai precedenti degli interventi militari di Bill Clinton in Bosnia e Kosovo negli Anni Novanta. Secondo: gli Usa «partecipano» a una coalizione «che non guidano» e quindi il distacco netto è da quanto fatto da tutti i predecessori dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, a conferma che la sua idea di leadership americana nel mondo è quella che declinò nel corso del primo viaggio in Europa nel 2009, quando parlò di «impegno per aiutare il mondo a trovare le soluzioni migliori ai problemi comuni». Terzo: l’intervento militare punta a «proteggere civili» e non a «rovesciare un regime», dunque più in sintonia con le guerre di Clinton in Bosnia e Kosovo che non con quelle di George W. Bush in Afghanistan e Iraq. Quarto: «la solida legittimazione internazionale» che proviene dalla risoluzione dell’Onu 1973, più esplicita nel prevedere il ricorso alla forza rispetto a quelle a cui la Nato si richiamò per il Kosovo, per non parlare dell’Iraq di Bush, quando l’Onu si divise. Ciò che tiene assieme questi quattro pilastri è la convinzione del Presidente americano, espressa nel discorso pronunciato ieri nel Teatro Municipale di Rio de Janeiro, che riflettano i «principi comuni delle nostre nazioni», ovvero «credere nel potere e nella promessa della democrazia» come «forma migliore per promuovere la crescita e la prosperità di ogni essere umano». Ma il problema con cui la Casa Bianca si sta scontrando in queste ore è che la dottrina di Obama deve fare i conti con le difficoltà di una coalizione che stenta a nascere. Il caso più evidente è quello della Lega Araba che dopo aver appoggiato la no fly zone nel vertice di sabato scorso, nelle ultime 24 ore con il segretario Amr Moussa ha fatto marcia indietro affermando che «l’attacco è andato oltre i nostri obiettivi perché noi volevamo proteggere i civili, non ucciderli». E tale capovolgimento di posizione spiega come fra i 22 Stati membri solo il Qatar abbia accettato di partecipare all’attacco. Sebbene Obama abbia chiamato lo sceicco degli Emirati Arabi e Joe Biden abbia fatto lo stesso con i leader di Algeria e Kuwait, non sono arrivati altri assensi. L’Unione Africana è ancora più ostile alla guerra e con un comunicato diramato da Nouakchott, in Mauritania, chiede «l’immediata fine di tutti gli attacchi alla Libia» limitandosi a domandare a Gheddafi di far arrivare «aiuti umanitari a chi ne ha bisogno». Senza un consistente numero di alleati arabi e africani la coalizione rischia di assomigliare troppo alla Nato, anche perché le potenze economiche emergenti - Brasile, India, Indonesia e Turchia - hanno fatto capire che preferiscono restare alla finestra. La Russia fra l’altro chiede la «fine degli attacchi contro gli obiettivi non militari», mentre la Cina con il proprio ministro degli Esteri Yang Jiechi esprime un «rammarico» che punta a raccogliere consensi in Africa e Sud America, dove i suoi investimenti già rivaleggiano a testa alta con quelli americani. Fonte : la stampa | |
![]() | |
.."quando dò da mangiare a un povero, tutti mi chiamano santo. Ma quando chiedo perché i poveri non hanno cibo, allora tutti mi chiamano comunista…”.Helder Camara
lunedì 21 marzo 2011
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento