Lavoro sembra essere la parola chiave della campagna elettorale. Ma può essere declinata in chiavi diverse. Per alcuni, come Bersani e il Pd, la questione è come far ripartire l’economia per combattere occupazione e precariato (La Banca d’Italia ha avvertito che anche il 2013 sarà un anno difficile. È vero che nella seconda metà tornerà la crescita, ma questa sarà lenta, e la disoccupazione aumenterà ancora http://bit.ly/W4kQwH). Per altri invece, come Monti e i centristi, vogliono intervenire sul mercato del lavoro, mettendo di nuovo mano alla riforma Fornero e con il rischio di riaccendere le contese ideologiche sull’articolo 18. È l’idea secondo cui il primo problema della nostra economia sono le rigidità e il potere del sindacato.
Il declino dell’economia italiana ha radici profonde e lontane. Gli studiosi ne trattano da tempo, ben prima che scoppiasse la crisi attuale. Siamo alle prese con problemi strutturali che per troppo tempo sono stati rimossi, e che certo l’ultimo anno non ha contribuito a risolvere. Il governo Monti ha messo in sicurezza i conti pubblici, evitando il disastro, ma tutto il resto è ancora lì, in attesa di essere affrontato.
Negli anni scorsi la retorica politica ha trattato questo tema al solito modo: come oggetto contundente da scagliarsi contro a vicenda tra i vari schieramenti (cercando ognuno di scaricare la “colpa” sull’altro), ignorando di fatto gli studi, moltissimi, sull’argomento che invece hanno messo tutti l’accento su una crisi “di sistema”.
La bibliografia è molto ricca e qui elenchiamo qualche testo, nuovo e vecchio, dove per altro si possono trovare i rimandi all’intera produzione sull’argomento. C’è il recente volume a più mani Il declino dell’economia italiana fra realtà e falsi miti (Carocci, 144 pagine, 17 euro), di qualche anno fa è Miracolo e declino di Giangiacomo Nardozzi (Laterza, 134 pagine 10 euro). Ancora, Il declino economico dell’Italia a cura di Gianni Toniolo e Vincenzo Visco, (Bruno Mondadori, 224 pagine 18 euro).
Bene, raramente gli studiosi individuano nella legislazione sul lavoro il problema numero uno.
Quasi tutti cominciano da un’altra questione: la produttività, in calo da più di un decennio. E questo significa minor competitività delle imprese, menoesportazioni, degrado dell’industria. E proprio tutti, invece, sottolineano come cause i bassi investimenti, la povertà di infrastrutture, la scarsa propensione all’innovazione, la ricerca di mercati “protetti” invece dell’apertura alla concorrenza. Questo se ci si limita agli aspetti economici. Allargando lo sguardo, a frenare gli investimenti (specie esteri) sono l’illegalità diffusa, la lentezza della giustizia, il basso capitale sociale, la condizione depressa della ricerca. È il sistema che non funziona, le cause sono tante e diverse, ma la matassa non si scioglie se si tira per primo il filo della legislazione sul lavoro.
Un sociologo come Carlo Donolo sostiene in Italia sperduta (Donzelli, 76 pagine, 18 euro) che il declino economico è solo uno dei frutti di un declino più generale, della società e soprattutto delle classi dirigenti. Il discorso pubblico, infettato dal populismo, ha negato per anni i problemi veri, e ha taciuto al paese la verità. Innescando una “crisi cognitiva” che impedisce di affrontare la realtà, ormai impossibile da percepire nelle sue forme e dimensioni autentiche. Anche Donolo, come tanti altri sostiene la necessità di spendere nella cultura e nell’innovazione e solo la politica può indirizzare gli investimenti nella direzione giusta.
Dopo anni di sacrifici, speriamo di non dover ricominciare a discutere di licenziamenti e Statuto dei lavoratori.
fonte: Repubblica
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