lunedì 14 gennaio 2013

"E' una leggenda del crimine sulla sua vita gireremo un film"



L'idea è dell'attore Sergio Troiano, rimasto affascinato dal personaggio: "Sono stati fatti su Vallanzansca, sulla banda della Magliana. Chiruzzi non ha mai sparato ed è stato una superstar delle rapine"
di MEO PONTE, dalla Stampa

IL TITOLO è ancora provvisorio: "Mirada criminal", sguardo criminale. E' il documentario che Daniele Agostini, registra torinese già autore di "Guerrillas", ricostruzione filmata del comandante Zero, leader della guerriglia sandinista in Nicaragua e Barbara Redini, addetta alla produzione, inizieranno a girare nei prossimi giorni a Torino (ma le location sono sparse in mezza Europa) su vita e imprese di Pancrazio Chiruzzi. L'idea è di Sergio Troiano, l'attore torinese, che dopo aver casualmente conosciuto Chiruzzi ha elaborato il progetto. "Mi sono trovato di fronte ad un personaggio che, sconosciuto al grande pubblico, era in realtà una vera e proprio leggenda per il mondo criminale e per la stessa polizia. Uno che se fosse nato negli Stati Uniti avrebbe da tempo attirato l'attenzione delle Major" spiega Troiano.

Per ora è stato girato un "teaser", una specie di pre-trailer ma bastano alcune suggestive riprese del volto segnato di Chiruzzi e quelle dello sguardo deciso di uno dei poliziotti che per anni gli ha dato la caccia (un ispettore della Squadra Mobile di Torino) per essere catturati dal fascino della storia. "Mi sono sempre chiesto come mai sono stati fatti film e telefilm su personaggi come Vallanzasca o come i gangster della banda della Magliana e nulla su uno come Chiruzzi, torinese come Cavallero, che per gli addetti ai lavori è una star delle rapine in grado di organizzare assalti fantasiosi alle banche svizzere, francesi e tedesche", sottolinea Troiano.

D'altronde basta scorrere la biografia di Pancrazio Chiruzzi per capire che la sua vita criminale segue una trama romanzesca. Originario di Bernalda, un paesino in provincia di Matera, approda sul Po negli anni '70, seguendo il padre autotrasportatore. Bandito lo diventa da ragazzo, dopo il furto di una bicicletta e probabilmente per le cattive compagnie. "E' tutto lì, ruota tutto intorno all'amicizia  -  ricorda ora  -  per questo posso dire che oggi è tutto finito. Avevo già deciso di smettere nel '74. Ricordo bene, era un capodanno. Ormai avevo tutto, ero ricco. Ho continuato per sfida, contro tutto e tutti. In quei momenti ti senti leggero. E' impossibile descrivere quella sensazione. Sai di giocarti la vita ma vivi un'emozione unica...".

Per anni Pancrazio Chiruzzi che gli amici chiamano Pan ha vissuto organizzando assalti a banche e furgoni blindati. Facendo dell'indipendenza uno stile: non si è mai legato a nessuno, né alla mafia né alla malavita organizzata. Ha fatto rapine in Svizzera, Germania, Francia ed Austria. E sempre con un gusto irrefrenabile per la battuta. Negli anni '70 agli agenti che lo arrestavano per i colpi all'estero disse: "Ma se sono l'unico di questi tempi a riportare i soldi in Italia...". Per vendicare l'amico Carlo Sgura, ammazzato, secondo lui, a sangue freddo dalla polizia svizzera, si accanisce contro le banche elvetiche. "Mi hanno detto che ancora oggi aspettano monsieur Chiruzzi", dice. Anche la polizia gli riconosce un'etica "professionale" che lui riassume così: "Non ho mai voluto drogati nella banda, perdono la testa e fanno macelli, né chi aveva un'amante. Ho sempre controllato io il "gruppo di fuoco" perché la prima preoccupazione è quella di evitare di ammazzare qualcuno".

E' stato soprattutto un grande organizzatore di colpi impossibili. "Si parte dalla scelta dell'obiettivo  -  spiega  -  da quel momento ti muovi come un automa, attento anche al minimo passo come se sospettassero di te ancor prima del colpo. E studi, anche tre mesi se necessario: modalità di intervento, spazi di reazioni delle scorte, vie di fuga che devono essere almeno tre. Insomma fare una rapina è come girare un film in cui tu, rapinatore, se il regista che assegna le parti. Un film però che deve essere girato solo se ha in lieto fine. Per organizzare un buon colpo ai miei tempi ci volevano almeno cento milioni di lire, non tutti se lo potevano permettere. Spendevo quaranta, cinquanta milioni al mese solo per le spese. Per i sopralluoghi soprattutto, in un anno ho fatto 200mila chilometri. E per le armi. Le prendevo all'estero, non mi fidavo di quelli che le vendevano qui, spesso erano poliziotti sotto copertura. Infine le auto, macchine rubate anche dieci mesi prima...".
Tutto questo però ormai per Chiruzzi sono solo ricordi. "Ad un certo punto ti prende la nausea appena infili i guanti  -  dice  -  ho vissuto a modo mio ed ho pagato con quasi mezzo secolo di galera. Ora voglio vivere una vita normale da uomo libero".


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