La coesione nazionale
dal " sole 24 ore"
Come va inteso il richiamo alla «coesione nazionale», tanto più impellente quanto più drammatica è la condizione dell'Italia sui mercati finanziari? Nell'appello del presidente della Repubblica c'è un senso morale, civile, prima ancora che politico. Tuttavia in concreto la «coesione nazionale» può essere declinata in varie forme, tutte preferibili allo stato di confusione in cui si è svolto il dibattito pubblico fino all'altro giorno, quando già era cominciata la tempesta perfetta sulle Borse.
È bene essere chiari. Nella sua accezione più vera e convincente «coesione nazionale» vuol dire governo di salute pubblica. O di unità repubblicana. Dimissioni dell'esecutivo in carica a mercati chiusi, rapido ricambio dei ministri, nuovi volti rappresentativi di un grande sforzo collettivo, immediato giuramento e presentazione in Parlamento a raccogliere il voto di tutto l'emiciclo, o almeno della sua stragrande maggioranza.
È uno scenario suggestivo, il solo forse che darebbe all'interno e all'estero il segno della riscossa, visto che un governo siffatto avrebbe la missione storica di metter subito mano a misure drastiche, ponendo fine ad anni di rinvii e traccheggiamenti. Ma siamo fuori della realtà. Non c'è alcun governo di unità nazionale all'orizzonte, almeno a breve termine. Al netto della propaganda, le nostre forze politiche non sono in grado oggi di fare questo salto estremo. Coesione diventa allora sinonimo di responsabilità nazionale. L'obiettivo minimo dovrebbe essere a portata di mano: approvare la manovra economica in pochi, pochissimi giorni. Se possibile, correggendone alcune incongruenze, ma senza slittare nemmeno di un'ora. Un patto fra maggioranza e opposizione alla luce del sole, o quasi, in nome dell'interesse generale. Allo stato delle cose, è un passo irrinunciabile.
Eppure, dopo il collasso di ieri, la coesione nazionale avrebbe bisogno di ben altro. Per esempio di parole di verità adeguate alla serietà dell'ora. C'è da domandarsi, a tale proposito, cosa aspetta il presidente del Consiglio a rivolgersi al Paese. Di Berlusconi abbiamo solo un comunicato ottimistico diffuso ieri sera da Arcore, in cui si dichiara d'accordo con Napolitano. Meglio di niente, ma forse non basta. Il premier dovrebbe sentire la necessità di parlare agli italiani con una certa solennità, cogliendo le preoccupazioni diffuse. Spetta a lui e a nessun altro spiegare cosa sta succedendo e indicare una prospettiva. Spetta a lui sollecitare la coesione della sua maggioranza e chiedere all'opposizione una forma di coinvolgimento.
Sono questi i momenti in cui una leadership ha il dovere di mostrarsi, se ancora esiste. E i famosi mercati vogliono proprio questo: una leadership forte che sappia cancellare per un momento l'immagine di un governo indebolito, incrinato anche da incredibili vicende giudiziarie. Una voce abbastanza credibile da interpretare un Paese unito. Invece c'è stato un silenzio durato troppo a lungo, spiegato domenica con l'argomento che «il premier non vuole alimentare polemiche sul Lodo Mondadori». Lodo Mondadori? Ma in questi giorni il presidente del Consiglio aveva e ha un solo tema su cui esprimersi e non è certo il caso Mondadori.
Tanto più dopo la telefonata del cancelliere Angela Merkel. Fatto inusuale che non può essere archiviato solo come un elogio al Governo italiano per il profilo della manovra. La telefonata è anche un monito, un richiamo a fare presto, un invito a mandare segnali tempestivi. È sorprendente, ma non troppo, che finora le parole politicamente più impegnative; le parole che si rivolgono all'esecutivo, sì, ma in fondo all'intero Parlamento, siano venute dal cancelliere della Germania e non da un esponente della nostra classe politica. Sorprendente e inquietante. Da un lato, la Merkel che vigila sulla nostra politica economica. Dall'altro, i nostri impacci e i diversivi. Come Calderoli che annuncia proprio adesso l'apertura a Milano degli uffici di rappresentanza di tre ministeri, compreso quello di Tremonti. O come Bossi che afferma: «La Lega non ha lasciato il Governo per non spaventare i mercati» (e si è visto ieri). Ma l'opposizione non è da meno. Ancora sabato Bersani accennava alla proposta del Pd: trasformare il decreto in disegno di legge e approvarlo «entro settembre». Entro settembre? Per quella data la speculazione avrà finito il pasto, se i segnali forti che la classe politica sa trasmettere sono questi.
A sua volta Casini ha evocato il toccasana delle riforme. Che in questo contesto ha poco senso. Le riforme andavano fatte dieci anni fa. Oggi, contro la destabilizzazione, ci vuol altro che una generica promessa di mettere in cantiere un programma riformatore. Quello dovrebbe essere la normalità dell'agenda politica. Ma adesso siamo siamo nell'emergenza. In altre parole, la «coesione nazionale» può essere intesa in molti modi, ma soprattutto deve essere una cosa seria. Ormai l'Italia non può permettersi più di scherzare.
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