Internet non si fermi ad Eboli di Giovanna De Minico , dal sole 24 ore
Dall'immondizia partenopea alla banda larga milanese: qual è il filo rosso che lega l'"inciviltà" dei napoletani con la navigazione super-veloce in internet dei cittadini del Nord? È un esercizio di logica giuridica di un accademico? O il comune denominatore tra due atti: il decreto legge sullo smaltimento dei rifiuti e quello sulla stabilizzazione finanziaria, articolo 30?
L'articolo 30 riconosce a tutti i cittadini, cioè non solo a quelli del Nord, il diritto di navigare a 30 Mb/s, e affida il compito di realizzare l'infrastruttura passiva alle imprese di telecomunicazione.
La precedente stesura della norma completava il diritto alla banda larga col "servizio universale", prestazione imposta agli operatori di telecomunicazione, e resa sostenibile anche grazie ai contributi della Cassa depositi e prestiti.
Non è cosa da poco che con la formulazione definitiva dell'art. 30 siano spariti il sostantivo "servizio" e il suo aggettivo "universale". Ne consegue che gli operatori potranno investire nelle nuove reti, ma non saranno obbligati a coprire l'intero territorio nazionale, né tantomeno a fornire la connessione a un prezzo abbordabile, perché l'operazione, al pari di una qualsiasi attività d'impresa, sarà sottoposta solo alla legge del mercato.
Che cosa rimane dell'affermazione iniziale "diritto dei cittadini" alla connessione veloce? E soprattutto che diritto è, un diritto senza debitore? Escluderei che si tratti di un nuovo diritto sociale, perché è tale la prestazione a contenuto unitario, indivisibile e assicurabile a chiunque indipendentemente dalla sua ubicazione. Propenderei per la sua acquisizione ai diritti di status soli, che, disegnati e poi cancellati dall'ordinamento romano in nome dell'uguaglianza di tutti i cittadini dell'Impero, riaffiorerebbero nel millennio digitale. Al tempo di internet i cittadini delle zone remote o scarsamente popolate navigheranno velocemente solo con la fantasia. Lascio al lettore immaginare quali saranno le Regioni condannate al buio digitale.
Dalla virtualità della banda larga spostiamoci alla realtà dell'immondizia partenopea. Qui il decreto parla di accordi tra la Campania e le Regioni più prossime, che dietro pagamento intendano accogliere l'immondizia della prima, poco virtuosa e recidiva nell'incapacità a smaltire i suoi rifiuti.
Ma a che serve un decreto, se già in sua assenza si potevano concludere accordi interregionali? È una disposizione di facciata: tanto utile politicamente al Governo quanto inutile ai cittadini napoletani per smaltire la "munnezza". Un ossimoro giuridico di un decreto con ambizioni di smaltimento urgente!
Che cosa si sarebbe dovuto scrivere? Risposta: «Tutte le Regioni sono obbligate a ricevere i rifiuti fino a un termine indilazionabile», scadenza questa da non omettere per evitare l'adagiarsi del neosindaco e del presidente della Regione sul virtuosismo altrui, rischio sempre insito nei governanti di una parte del Mezzogiorno!
Prevedere invece la facoltà delle Regioni e la preferenza di quelle limitrofe cancella illegittimamente il dovere costituzionale di "solidarietà", declassandolo a facoltà negoziabile in un'impari trattativa fra un contraente debole, la Campania, e uno forte, la regione caritatevole. Ma a cosa serve uno Stato, che si lava le mani dinanzi all'emergenza?
Ecco il filo rosso che sin dall'inizio teneva insieme il decreto sullo sviluppo con quello sull'immondizia: uno Stato evanescente che affida la salute e lo sviluppo infrastrutturale a un malinteso concetto di sussidiarietà verticale e orizzontale, la quale potrebbe al più completare un compito propriamente statale, ma non assolverlo in via esclusiva.
Infine, quale ruolo ai cittadini del Sud? L'alternativa c'è: mendicare dai più generosi quel po' di salute e d'informazione che vorranno concedere loro o pretendere da tutti i diritti fondamentali della persona come Costituzione riconosce. A ciascuno la sua scelta.
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