sabato 30 luglio 2011

rapporto sullo stato della rete di akamai


L'Italia su Internet cresce al rallentatore

Aumentano gli indirizzi e le connessioni veloci, ma siamo penultimi in Europa. Ancora troppe connessione lente

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rapporto sullo stato della rete di akamai



L'Italia su Internet cresce al rallentatore



Aumentano gli indirizzi e le connessioni veloci, ma siamo penultimi in Europa. Ancora troppe connessione lente





Le connessioni con fibra ottica sono ancora poco usate in Italia (Fotolia)

MILANO – Altro che locomotiva. Sulle autostrade digitali l’Italia va a passo di lumaca, anche se lentamente migliora. È ancora una volta un bollettino scoraggiante quello disegnato da Akamai nel suo «dossier sullo stato d’Internet» relativo al primo trimestre dell’anno. Migliora la posizione complessiva del nostro Paese, ma c’è ancora tanto da fare per poter garantire a tutti una Rete accessibile e veloce.



ITALIA LENTA A CONNETTERSI – Iniziamo con l’annoso problema della velocità delle connessioni. L’Italia ha un unico primato. E non è lusinghiero. Siamo il Paese europeo con il maggior numero di connessioni lente: lo 0,9% degli italiani si connette ancora a una velocità di 256kbps. In pratica, la vecchia connessione con doppino telefonico, preistoria dell’era digitale. Un dato che pur sembrando basso, è il più alto d’Europa, in una gara per altro ridotta a 7, visto che 16 Paesi del Vecchio continente su 23 hanno già abbandonato questo tipo di connessione. Man mano che accelerano i bit per secondo, l’Italia scivola verso il fondo: se la cava ancora con le velocità standard (2 Mbps) dove siamo 14esimi (l’85% degli utenti italiani ha una connessione a banda larga, ormai considerata necessaria). Iniziamo a perdere colpi sulla media di velocità delle nostre infrastrutture digitali:18esimi su 23 (appena 3,7 Mbps, contro i 7,5 dell’Olanda, in testa alla graduatoria). Mentre raschiamo il fondo sulle cosiddette «high broadband», le autostrade digitali su fibra ottica. L’Italia è penultima (in compagnia della Spagna e solo davanti alla Grecia) per utenze connesse a una velocità superiore ai 5Mbps (appena l’11% della popolazione, contro il 56% degli olandesi, ancora una volta alla guida della classifica europea), ma in aumento rispetto al 6% dell’ultimo trimestre. Se poi parliamo di città «superveloci» e cioè dotate di cablaggi che consentono di navigare ad altissime velocità, nelle prime 200 al mondo, neanche una è italiana. A dir la verità, appena 12 centri sono europei (e nessuno nelle prime 20) e l’Asia è padrona: la città giapponese di Tokai, al top della classifica, «viaggia» a una media di 13.2 Mbps. E tre Paesi asiatici (Corea del Sud, Hong Kong e Giappone) si confermano i Paesi «più veloci». Gli altri sette Paesi della top 10 sono tutti europei (senza Italia): con Romania, Repubblica ceca e Lituania che conducono l’ex «blocco dell’Est». Più indietro gli Stati Uniti («solo» 12esimi). L’Italia è 39esima su 49 Paesi in classifica e recupera solo 3 posizioni rispetto a fine 2010.



MA CRESCE INTERNET (E GLI HACKER) – Se si parla di Internet non si può non parlare di pirati, sul web e sul mobile. In entrambi i casi, l’Italia è tra i Paesi da cui provengono più attacchi: per quanto riguarda i siti Internet, il Belpaese è in top 10. Mentre è addirittura prima sul mobile: il 25% degli hacker che attaccano i telefonini hanno una «base» in Italia. Un dato positivo per il nostro Paese però c’è. Internet cresce: gli indirizzi IP sono aumentati dell’11% rispetto agli ultimi tre mesi del 2010, toccando quota 13.632.661, il nono risultato del mondo.



UNO SGUARDO GLOBALE – In generale il dossier dà uno sguardo generale alla situazione della Rete e alla sua disponibilità nel mondo. Così si scopre che il Giappone, nonostante il cataclisma provocato dal terremoto e dal devastante tsunami dello scorso 11 marzo, non ha subito danni particolari alle proprie fibre ottiche, che si sono mantenute su livelli di altissima efficienza. Per un’infrastruttura che regge, un’altra, al contrario, si mostra molto «precaria». È ciò che è successo in Georgia, dove lo scorso aprile una signora di 75 anni ha tranciato una delle dorsali principali del Paese: «Ero solo in cerca di pezzi di metallo», ha detto l’anziana contadina in lacrime. La sua «svista» ha lasciato offline centinaia di miglia di persone in Georgia e nella vicina Armenia. «Io non so neanche cosa sia questo Internet», si è giustificata la donna.



di Maddalena Montecucco, dal corriere della sera

29 luglio 2011(ultima modifica: 30 luglio 2011 10:38)

Il lato B / Con il 30% dei laureati under 34 inattivo nel Sud d'Italia il talento è in default. ..da brivido anche i dati sulla meglio gioventù dell'Italia meridionale diffusi ieri da Svimez come anticipazione del Rapporto sull'economia del Mezzogiorno in uscita a settembre. Due giovani del Sud su tre non hanno un lavoro. Sulla sponda italiana del Mediterraneo, il tasso di occupazione giovanile (15-34 anni) nel 2010 era 31,7% , in calo dal 33,3% che era il dato medio del 2009. Per le ragazze si sprofonda addirittura al 23,3%.
Fonte : il sole 24 ore

 
Il Sud del lavoro impossibile è lontano 25 punti dal Nord Italia (56,5%). Ma soprattutto preoccupa, e fa parlare Svimez di "spreco generazionale inaccettabile", il dato che vede in crescita nelle Regioni meridionali la quota dei giovani Nè-nè o giovani Neet (Not in education, employment or training) con alto livello di istruzione. Oltre il 30% dei laureati del Mezzogiorno under 34 è inattivo, dice lo studio, e così quasi un terzo dei diplomati . I ragazzi meridionali con un titolo di studio universitario in tasca ma rimasti fuori dal sistema formativo e del mercato del lavoro sono circa 167 mila. Peggio di tutti stanno quelli di loro che vivono in Basilicata e in Calabria. Come dire che il talento, gli investimenti personali e collettivi sulla formazione e il futuro di una generazione, in mezza Italia sono in default. Ma non in solo i loro.

Un paio di mesi orsono, parlando ma dell'Italia under30 in blocco, non soltanto dei giovani del Mezzogiorno, il direttore generale della Banca d’Italia Fabrizio Saccomanni ricordava come, nella fascia di età tra i 15 e i 29 anni, il tasso di disoccupazione nazionale nel 2010 (20,2 % ) fosse quasi 4 punti in più della media europea e addirittura 11 punti in più che in Germania. Risultava occupato, osservava il banchiere, solo il 35 per cento degli italiani in età tra i 15 e i 29 anni, cioè poco meno della metà della media nell’Unione Europea, mentre in Germania lavorava il 57 % dei loro coetanei.

Un mese fa , invece, era stata l 'assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa a lanciare l'allarme Neet. Il livello medio d'istruzione dei giovani europei non è mai stato così alto, eppure uno su cinque non riesce a trovare lavoro e il tasso di disoccupazione è il doppio rispetto a quello del resto della popolazione in età lavorativa. Il principio vale anche per Austria, Germania, Paesi Bassi e Norvegia, dove però il tasso di disoccupazione giovanile si è mantenuto sotto il 10%.

Dove ha origine lo sprofondo che separa le percentuali dei Paesi virtuosi e quel 30% di inattivi del nostro Sud denunciati da Svimez ? Nel divario di sviluppo e ricchezza, certo. Nel gap dell'offerta e della qualità della formazione, è ovvio. Nella difficoltà, puntualmente segnalata, dell' incontro tra i profili disponibili e quelli che le aziende cercano, anche.

Ma lo sbilanciamento aumenta e, come paventa il Rapporto, è a rischio di non ritorno, là dove la pratica della raccomandazione e l'introduzione socio- familiare sono più radicate. E contano di più, o anche tutto, del merito e delle competenze, che invece non pesano niente. I giovani lavorano (e più talenti hanno da spendere, non solo quelli attestati dal pezzo di carta, prima e meglio si inseriscono perchè le aziende li riconoscono e li premiano) dove la legalità non è un argomento rituale e il lavoro sommerso e l'evasione dei contributi scontano lo stigma sociale generalizzato. Il prodotto delle politiche giovanili, infine, non sono sportelli deserti e musica rock. In questo l'Italia ha il suo Sud, ma è a sua volta il Sud d'Europa.



venerdì 29 luglio 2011

Dalla burocrazia alla politica , la lunga lista di barriere che impediscono all'Italia di crescere.

di Elisa Fazzini, dal "Sole 24 Ore"
L’Italia ha bisogno di crescere più in fretta per alleviare la pressione di un debito “strabiliante”, ma “la burocrazia e la politica spesso schiacciano l’economia”. Il New York Times stigmatizza la “lunga lista di barriere” che ostacolano la crescita del Belpaese e lancia l’allarme: se non cresce, l’Italia “ha poche speranze di ridurre un livello di indebitamento che minaccia il futuro finanziario dell’Italia e dell’euro”.




In un articolo intitolato “Uno scoraggiante cammino verso la prosperità”, Liz Alderman parte da un episodio emblematico: la rinuncia di Ikea a costruire un megastore vicino a Pisa, dopo sei anni di inconcludenti trafile.



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Vedi tutti » “Mentre vacilla sull’orlo di una crisi del debito europea, l’Italia non può permettersi altre débacles come questa”, anche se è la settima economia mondiale. Poiché i tassi di interesse più alti rendono ancora più difficile per l’Italia ridurre il suo debito, la principale risorsa appare quella di accelerare la crescita, nota il Nyt. E cita l’economista Francesco Giavazzi: “E’ l’unico grande problema per l’Italia adesso: riprendere la crescita”.



Secondo gli esperti, si legge sul Nyt, l’Italia deve non solo incoraggiare grandi investimenti come quello di Ikea, ma deve anche rimuovere gli impedimenti che soffocano la crescita di migliaia di piccole e medie imprese che sono la “spina dorsale” dell’economia italiana.



C’è il caso di Mauro Pelatti, piccolo imprenditore titolare della Omap, che fabbrica parti per motociclette: dice al Nyt che ha rinunciato a espandere l’impresa a Firenze per colpa della burocrazia e delle tasse. L’imprenditore lamenta, per esempio, di dover fare preparare le buste paga all’esterno dell’azienda (“poiché l’Italia protegge le corporazioni”, puntualizza il Nyt) e di dover pagare 20.000 euro all’anno in scartoffie. E sulle tasse, dice che su un utile di 200.000 euro, deve pagare tasse per 100.000 euro. “Anche se faccio un utile, non ne farò mai abbastanza per ingrandirmi”.



Dopo una crescita striminzita negli anni Novanta, la crisi finanziaria globale del 2007 ha ridotto più del 6% l’economia italiana. Ora la crescita è ripresa, ma il Fondo monetario internazionale prevede “un altro decennio di stagnazione” con una crescita per l’Italia dell’1,4% appena nei prossimi anni.



A ostacolare la crescita dell’Italia – spiega il quotidiano newyorchese - è il debito pubblico, che al 119% del Pil è secondo solo a quello della Grecia. Nonostante la manovra, “il governo italiano ora spende il 16% del suo bilancio per pagare gli interessi – una bolletta che aumenterà se investitori e creditori continueranno a temere che l’Italia non riesca a sfuggire alla crisi del debito”. E se l’Italia incespica, “le conseguenze saranno più dirompenti di qualsiasi altra cosa che l’eurozona abbia provato finora nella crisi”.



Le barriere alla crescita sono una lista “scoraggiante”, scrive il Nyt. Per cominciare, i leader nazionali, a cominciare da Silvio Berlusconi, “tendono a essere presi dalla politica e distratti dai problemi dell’economia”. Inoltre, la produttività è rimasta “piatta” per un decennio. E le tasse sull’impresa si aggirano intorno al 31%, senza contare le tasse locali.



L’Italia – continua il quotidiano - è anche afflitta dalla piaga di un’economia in nero “incorreggibile”, che rappresenta il 20% dell’economia e un’evasione fiscale che toglie all’Erario 100 miliardi di euro di mancati introiti.



“Pochi pensano che il governo possa eliminare alcuni dei problemi più grossi, come la mafia o l’economia sommersa. Ma, secondo molti esperti, i leader italiani hanno i mezzi per stimolare la crescita dell’economia legale”, sottolinea il Nyt. E aggiunge: Roma potrebbe cominciare con lo snellire la burocrazia.



“Solo per avviare un’impresa, ci sono tra 10 e 20 autorità con cui bisogna avere a che fare”, dice Giampaolo Galli, direttore generale di Confindustria. “Poi vai dal governo a chiedere aiuto, ma non ne hai”.



Le lungaggini burocratiche hanno spinto Ikea a desistere dal progetto di un megastore a Vecchiano, in provincia di Pisa. E ora la multinazionale svedese viene corteggiata dalle città di Pisa e Livorno.



Dulcis in fundo, c’è però il caso incoraggiante di Mario Carraro, imprenditore di Padova, uno dei pochi che è riuscito a sfondare. Ha puntato sul miglioramento delle tecnologie e della produttività nella sua fabbrica, che produce sistemi di trasmissione per camion per aziende come John Deere e Caterpillar. Ora la sua impresa è quotata, ha 2.000 dipendenti in Italia e 2.000 tra Cina e India.



L’Italia ha bisogno di altre imprese così. Ma Carraro – conclude il Nyt - vede intorno solo stagnazione. Una volta si diceva che “piccolo è bello”. Ma ora le piccole imprese “stanno morendo”.



Al Sud senza lavoro due giovani su tre.



Persi 281 mila posti in due anni,


è allarme in Campania e Calabria


L'Istat: "Le imprese sono ferme"


Scende la produzione industriale

ROMA

Al Sud è «emergenza giovani: 2 su 3 sono a spasso». A lanciare l’allarme è il rapporto Svimez 2011. Nel Mezzogiorno il tasso di occupazione giovanile (15-34 anni) si attesta nel 2010 ad appena il 31,7% (il dato medio del 2009 era del 33,3%; per le donne nel 2010 non raggiunge che il 23,3%), segnando un divario di 25 punti con il Nord del Paese (56,5%). «La questione generazionale italiana - sottolinea il rapporto - diventa quindi emergenza e allarme sociale nel Mezzogiorno». In generale al Sud, le famiglie meridionali sono «in difficoltà» sul fronte dei consumi, anche alimentari. Insomma, se «dal 2000 al 2010 la spesa delle famiglie al Nord è cresciuta dello 0,5%, al Sud è scesa dello 0,1%. Più elevata nel periodo la spesa della p.a: +1,4% al Sud, +1,6% nel Centro-Nord».



Sempre dal fronte lavoro, anche gli ultimi dati Istat non sono confortanti: l’occupazione nelle grandi imprese - al netto della stagionalità - a maggio su aprile rimane invariata al lordo dei dipendenti in Cig e diminuisce dello 0,1% al netto dei dipendenti in Cig. Ma nel confronto con maggio 2010 scende dello 0,6% al lordo dei dipendenti in cassa integrazione guadagni (Cig) e dello 0,4% al netto di questi ultimi. Infine, dal Centro Studi di Confindustria si segnala un calo della produzione industriale dello 0,4% a luglio su giugno, quando era stato stimato un incremento dello 0,2% sul mese precedente. La variazione di giugno è stata rivista al rialzo rispetto all’indicazione preliminare (-0,1%) in base ai consuntivi comunicati dalle imprese. Il livello di attività risulta del 16,9% inferiore al picco precrisi (aprile 2008) e in recupero del 12,4% dai minimi di marzo 2009. La produzione media giornaliera in luglio è stazionaria sui dodici mesi (+0,1%), contro il +1,4% di giugno. Le aziende che lavorano su commessa segnalano una riduzione del volume degli ordini: -0,2% mensile, -1,9% annuo. In giugno erano cresciuti dello 0,4% su maggio e dell’1,2% annuo.



Per gli esperti di Viale dell’Astronomia, «il dato di luglio conferma l’arresto della debole ripresa industriale italiana, in un contesto di progressivo rallentamento globale, che frena la domanda estera, e di una stagnazione della domanda interna. Il terzo trimestre inizia con un abbrivio negativo: la variazione acquisita, cioè quella che si avrebbe in caso di invarianza della produzione nei successivi due mesi, è di -0,4%».

Il pendolo speculativo

di Mario Pianta, da il manifesto, 28 luglio 2011



Immaginate una pallina che rimbalza: cade rapidamente, rimbalza a due terzi del punto di partenza, poi perde forza e torna a cadere. Le Borse internazionali sembrano arrivate a questo punto, hanno smesso di recuperare sulle irraggiungibili quotazioni del 2007, rallentano e iniziano a scendere. Qualcuna prima delle altre: la Borsa di Milano ha perso ieri quasi il 3%, ma tutte le Borse europee sono in calo. Qualche settore cade più degli altri: è la finanza a scivolare. In Italia ieri sono crollate Unicredit, Intesa, Mediobanca e Generali.



In Europa già martedi le azioni della tedesca Deutsche Bank e della svizzera Ubs – due tra le più grandi e “cattive” – avevano perso quota dopo l’annuncio di profitti ridotti. Sono gli affari della speculazione che sono diventati più difficili: nel secondo trimestre l’Ubs ha avuto 1,1 miliardi di euro di profitti, l’anno scorso erano stati il doppio e a crollare sono stati i profitti dell’ investment banking: 1,5 miliardi di euro l’anno scorso, 440 milioni quest’anno. Il paradosso è che, anche nel mezzo della crisi, le banche puntano a rendimenti stratosferici: l’obiettivo dell’Ubs per il 2014 sono 17 miliardi di euro di profitti, mentre il fondo speculativo di George Soros ha guadagnato per 40 anni rendimenti in media del 20 per cento l’anno. Sono finiti qui i soldi sottratti all’economia reale, ai salari, alla spesa pubblica.



Dopo il collasso del 2008, la finanza – salvata dai governi – da un anno a questa parte ha attaccato il debito degli stati: Grecia, Irlanda, Portogallo, Italia; ora si prepara nientemeno che l’attacco agli Stati Uniti. Ma trasformare per incanto i Bot in carta straccia – come fanno le agenzie di rating – ha lo spiacevole effetto collaterale di trascinare in basso le quotazioni delle banche che li hanno in bilancio. Costringere gli stati a tagliare la spesa pubblica ha lo stesso effetto sulle azioni delle imprese che dipendono dalle commesse pubbliche per i loro profitti. Così il pendolo della speculazione torna a colpire le azioni di banche e imprese private, le Borse crollano, la finanza divora se stessa.



Senza una politica che riprenda il controllo sulla finanza, il pendolo della speculazione continuerà a muoversi tra Borse private e debito pubblico – calpestando nel suo passaggio, monete, materie prime e prodotti agricoli. La pallina delle Borse potrebbe accelerare la sua caduta, trascinando di nuovo in basso l’economia del vecchio occidente.

venerdì 22 luglio 2011

“Mediocracy”, la dura legge della Casta


Uno studio inedito sui meccanismi di selezione dei parlamentari rivela perché abbiamo la peggiore classe politica di sempre: la più ignorante, la più vecchia, la più assente e la più pagata al mondo


La più vecchia, la più assenteista, la più costosa tra i paesi sviluppati. E insieme, la meno istruita e preparata nella storia della Repubblica. In altre parole “la più mediocre classe politica che l’Italia abbia avuto dal 1948”. Niente meno. Questo giudizio, durissimo, non arriva da una poltrona rossa di Ballarò o da uno SpiderTruman della rete ma è la convinzione di un economista italiano di fama mondiale che si è posto un problema: capire perché l’insieme dei parlamentari italiani si trasformi “matematicamente” nella casta. E ce l’ha fatta. Antonio Merlo, direttore del dipartimento di Economia della University of Pennsylvania, ha scoperto la formula della “mediocrazia” (leggi l’intervista a Merlo)”, cioè della propensione tutta italiana a far sedere in Parlamento non i migliori ma gli “unfit to lead”, gli inadatti a governare, per usare una celebre frase usata dall’Economist per definire Berlusconi. Ilfattoquotidiano.it ha potuto leggere in anteprima questo workpaper inedito che farà discutere ben oltre gli ambienti accademici. Si chiama appunto “mediocracy” e termina con un modello di calcolo che potrà diventare un simbolo per chi vuole cambiare le cose:



Guardatela bene, anche senza capirla. La si potrebbe perfino appendere dietro alla scrivania o stampare su t-shirt, come la legge di gravità. Perché questa, signori e signore, è la legge della casta italiana. Dentro c’è tutto: c’è il berlusconismo, ci sono le leggi ad personam, il conflitto di interessi, i privilegi, i faccendieri, la corruzione. Risponde con i numeri alle domande che assillando gli italiani: chi abbiamo mandato in parlamento? Perché lavora per i propri privilegi e non per noi? Perché guadagna tanto e rende poco? Perché tutti votano le leggi utili a uno solo? A cosa servono gli affaristi nella politica?



Ebbene il risultato dei calcoli complessi fatti da Merlo confermano che l’Italia ha bisogno di una rivoluzione istituzionale e non di qualche taglio, di un intervento urgente sulla legge elettorale perché quella attuale (il sistema elettorale proporzionale a liste chiuse) incentiva “in modo perverso” i partiti a selezionare “non i migliori candidati possibili ma i più mediocri, i cosiddetti yesman, utili ad assecondare il partito e il capo e a votare compatti anche quello che un cittadino intellettualmente onesto mai voterebbe”. Ecco perché secondo Merlo “i provvedimenti indicati nella bozza di riforma di Calderoli vanno sicuramente nella direzione giusta ma rischiano di restare un “contentino” senza una riforma istituzionale del sistema politico”.



In ogni caso, da oggi, l’espressione “era meglio la Prima Repubblica” non è più un modo di dire. E’ una certezza matematica. Costruita mettendo nero su bianco una serie di variabili come l’età, il livello di istruzione, il tasso di crescita delle indennità parlamentari, i tassi di assenteismo dei nostri “eletti”.



In pratica un sistema di coordinate che descrive puntualmente quella fuga in avanti della casta rispetto al Paese reale e da quello che avviene in altre nazioni. In Italia c’è una sorta di regno autonomo della mediocrazia, dove in sessant’anni le retribuzioni dei governanti sono cresciute del 1.185% con una media annua del 10%, mentre quelle dei governati solo di qualche punto percentuale. Dove i governati hanno sudato per garantire ai figli un’istruzione universitaria mentre tra i governanti il numero di laureati scendeva drasticamente. Di questo passo, si arriverà presto al paradosso che il corpo degli eletti sarà meno istruito dei suoi stessi elettori, suggellando così il definitivo trionfo della mediocrazia.



I PIU’ VECCHI E MENO ISTRUITI



Chi siede alla Camera e al Senato oggi è più vecchio. Prima del 92-94 si entrava in Parlamento con un’età media di 44,7 anni contro i 48,1 della Seconda. Oggi la media è 50 anni. Decisamente il Paese con la classe politica più vecchia d’Europa e che tende ancora a restare in Parlamento di più sganciandosi dalla tendenza delle altre nazioni a rinnovare la classe dirigente puntando su eletti mediamente più giovani. Il tasso di ricambio in Parlamento, calcolato come la proporzione dei nuovi entranti nel periodo 1953-2008, si è attestato intorno al 40 per cento. Nella II Legislatura (1953-58) era stata del 37,6 per cento, mentre aveva raggiunto la quota minima del 26,3% nella VIII Legislatura (1979- 1983). Nella XII Legislatura (1994-1996), che ha segnato l’inizio della Seconda Repubblica, il tasso di ricambio è balzato al 69,5 per cento e da allora si è mantenuto costante attorno al 45-50 per cento.



Il raffronto tra retribuzioni e tassi di istruzione è scioccante: le indennità parlamentari sono cresciute del 10% l’anno mentre la quota di laureati è scesa dello 0,5% annuo.







* Fonte: The Ruling Class (Edizioni Egea – Università Bocconi 2010) – A. Merlo, V. Galasso, M. Landi, A. Mattozzi



IGNORANTI IN AUTO BLU



Più vecchi e tuttavia meno preparati. La percentuale dei nuovi eletti con una laurea è significativamente diminuita nel corso del tempo con un brusco crollo nel passaggio tra la prima e la seconda Repubblica: dal 91,4% nella I Legislatura, al 64,6% all’inizio della XV Legislatura. In pratica la casta è riuscita ad andare contro la tendenza nazionale che, negli stessi anni, ha visto aumentare sensibilmente la quota di popolazione istruita. Di questo passo, si arriverà al paradosso che il corpo degli eletti sarà meno istruito dei suoi stessi elettori.







ASSENTEISTI SI’, MA STRAPAGATI



Vecchi, impreparati ma meglio pagati di tutti. A dispetto della qualità del ceto politico in picchiata, le indennità parlamentari sono schizzate alle stelle sganciandosi da quanto accadeva nel resto del Paese. In Italia l’indennità parlamentare annua, in termini reali (misurata in euro del 2005), è aumentata da 10.712 euro nel 1948 a 137.691 euro nel 2006, il che significa un aumento medio del 9,9 per cento all’anno e un incremento totale di 1.185,4 per cento (negli Stati Uniti l’incremento annuale è stato dell’1,5 per cento e l’incremento totale del 58 per cento!).



Entrare nel Parlamento Italiano conviene sempre: i redditi totali dei deputati nel primo anno di attività in Parlamento aumentano del 77% rispetto a quelli dell’anno precedente. Dal 1985 al 2004, in Italia il mestiere del Parlamentare è stato particolarmente redditizio. Infatti, il reddito reale annuale di un parlamentare è cresciuto tra 5 e 8 volte più del reddito reale annuale medio di un operaio, tra 3,8 e 6 volte quello di un impiegato, e tra 3 e 4 volte quello di un dirigente. Dalla fine degli anni 90’, il 25% dei parlamentari guadagna un reddito extraparlamentare annuale che e’ superiore al reddito della maggioranza dei dirigenti.







Interessante anche l’effetto deteriore sulla partecipazione derivante dal possibilità di cumulare reddito privato professionale e indennità di carica. Ogni singolo anno trascorso in Parlamento incrementa i redditi addizionali all’indennità parlamentare del 4,2 per cento nel primo anno in Parlamento. Questo spiega anche lo scarso impegno degli eletti in aula: i calcoli dicono che in media ogni 10mila euro di extra reddito riduce la partecipazione in Parlamento dell’1%.



IL BERLUSCONISMO: L’INIZIO DELLA FINE



Ultima riflessione riguarda le date del declino di tutti gli indici che si possono considerare “positivi” nella definizione della classe politica e la crescita costante di quelli che si possono definire “negativi”. L’andamento delle curve relative a età, istruzione, assenteismo e indennità presenta uno snodo netto tra il 92 e il 94. Da allora ogni linea segue una tendenza diversa e contraria rispetto al passato, peggiorativa rispetto ai livelli di qualità della Prima Repubblica. “Allora – ragiona Merlo – sulle ceneri di Tangentopoli nasceva il partito di Silvio Berlusconi che ha reclutato una classe dirigente diversa dal passato proponendo al posto della rappresentanza politica del Paese il modello privatistico dello stato-azienda. Da allora le leggi ad personam si sono moltiplicate, i mali atavici dell’assenteismo e degli alti costi della politica si sono acuiti e il Paese è arretrato economicamente. L’insieme di queste spinte divergenti ha contribuito ad alimentare la mediocracy, la forma di governo che non premia i migliori e non fa cadere i peggiori”.


Fonte : il quotidiano
Occhio alle truffe. Circolano false lettere dell'Agenzia delle Entrate. Porte di casa sbarrate  per qualunque controllo.  
In questi giorni molti cittadini stanno ricevendo lettere-truffa che segnalano un'incongruità rispetto ai redditi 2007, 2008 e 2009 per l'affitto di immobili, invitando a ricevere in casa falsi funzionari per presunte verifiche. È quanto denuncia l'Agenzia delle Entrate in una nota.



«Queste lettere sono un palese tentativo di truffa che potrebbe colpire, in particolare, le persone anziane durante il periodo estivo». L'Agenzia delle Entrate «è totalmente estranea a questo tipo di comunicazioni e invita le potenziali vittime a denunciare ogni tentativo di raggiro rivolgendosi il prima possibile a qualsiasi ufficio delle Entrate e alle forze di Polizia». (ANSA).



martedì 19 luglio 2011

Le principali fonti dei conflitti futuri non saranno gli scontri tra civiltà, bensì le aspettative frustrate delle classi medie, in declino nei Paesi ricchi e in crescita in quelli poveri.




La teoria dello "scontro di civiltà", resa celebre da Samuel Huntington, afferma che – una volta esaurito il confronto ideologico tra comunismo e capitalismo – i principali conflitti internazionali sorgeranno tra Paesi con diverse identità culturali e religiose. «Lo scontro di civiltà dominerà la politica globale. Le faglie tettoniche che dividono le civiltà costituiranno il fronte delle battaglie del futuro», scrisse nel 1993. Per molti, gli attacchi di al Qaida e le guerre in Afghanistan e in Iraq hanno confermato tale visione. In realtà i conflitti si sono verificati più dentro alle civiltà piuttosto che tra esse. I devoti terroristi islamici hanno ucciso più musulmani innocenti che nessun altro. E i contrasti tra sciiti e sunniti continuano a mietere vittime, la maggioranza musulmane.



Secondo me, una fonte molto più importante di conflitti rispetto agli scontri tra culture o religioni sarà costituita dalle variazioni di reddito delle classi medie nei Paesi ricchi – in cui stanno diminuendo – e nei Paesi poveri – dove invece stanno aumentando. Sia l'aumento sia la diminuzione del reddito causano aspettative disattese che alimentano l'instabilità sociale e politica.



I Paesi poveri in rapida crescita economica possiedono oggi la classe media più numerosa della loro storia. È il caso del Brasile e del Botswana, della Cina e del Cile, dell'India e dell'Indonesia, soltanto per citarne alcuni. Queste nuove classi medie non sono così benestanti come quelle dei Paesi industrializzati, ma i loro componenti godono di un tenore di vita senza precedenti. Nel frattempo, in Paesi come Spagna, Francia o Stati Uniti la situazione della classe media sta peggiorando. Tutti i membri in età lavorativa di 1,3 milioni di famiglie spagnole sono disoccupati. Soltanto l'8% dei francesi ritiene che i propri figli avranno una vita migliore della loro. Nel 2007, il 43% degli statunitensi affermava che con lo stipendio riusciva appena ad arrivare a fine mese. Oggi riferisce di trovarsi in tale situazione il 61 per cento.



D'altra parte, le aspirazioni insoddisfatte della classe media cinese o brasiliana sono politicamente incandescenti tanto quanto la nuova insicurezza economica della classe media che sta smettendo di essere tale in Spagna o Italia. I rispettivi governi sono sottoposti a enormi pressioni, sia per rispondere alle crescenti esigenze della nuova classe media sia per contenere la caduta del tenore di vita della classe media esistente.

Inevitabilmente, alcuni politici dei Paesi industrializzati sfrutteranno tale scontento per dare la colpa del deterioramento economico all'auge di altre nazioni. Diranno che i posti di lavoro persi negli Stati Uniti o in Europa, o i salari stagnanti, si devono all'espansione di Cina, India o Brasile. Questo non è vero. Gli studi più rigorosi rivelano che la perdita di posti di lavoro o la diminuzione degli stipendi nei Paesi industrializzati non sono imputabili alla crescita dei Paesi emergenti, bensì al cambiamento tecnologico, a una produttività anemica, alla politica fiscale e ad altri fattori interni.



Nei Paesi poveri, invece, la nuova classe media che ha migliorato il consumo di cibo, vestiti, medicine e case esigerà rapidamente scuole, acqua, ospedali, trasporti e qualsiasi tipo di servizi pubblici. Il Cile è uno dei Paesi che gode del maggiore successo politico e della maggiore stabilità al mondo, e la sua classe media registra una crescita sistematica. Tuttavia, le proteste di strada volte al miglioramento dell'istruzione pubblica sono ricorrenti. I cileni non vogliono più scuole: vogliono scuole migliori. E per qualsiasi governo è molto più facile costruire una scuola che migliorare la qualità dell'insegnamento lì dove lo si impartisce.

In Cina, ogni anno, si tengono migliaia di manifestazioni per richiedere maggiori o migliori servizi pubblici. In Tunisia, la frustrazione della popolazione ha portato alla caduta di Ben Ali, nonostante sia il Paese con il miglior rendimento economico del Nord Africa. Non esiste alcun governo che possa soddisfare le nuove esigenze di una classe politica media in auge alla stessa velocità con cui tali esigenze si presentano. E nemmeno un governo che possa sopravvivere alla furia di una classe media benestante che vede la propria situazione peggiorare giorno dopo giorno.



L'instabilità politica causata da queste frustrazioni è già visibile in molti Paesi. Le sue conseguenze internazionali non sono ancora così ovvie. Ma lo saranno.


di Moises Naim, dal "Sole 24 ore"
Si allarga la frattura politica tra il consigliere  D'Armento e il sindaco Santarcangelo.

Spero sia veramente l'ultima volta che il Sindaco provi a mortificare chi ha a cuore solo gli interessi dei Novasiresi. Di fronte a ben delineate problematiche che ho sollevato, egli si rifugia ancora una volta dietro misteriose e ridicole illazioni, deviando su sofismi e mielose, poco credibili, autodifese.


Sono sempre stato, nello scontro dialettico, chiaro e diretto e non mi abbasserò nemmeno stavolta allo scadente livello di chi non sa mantenere il contraddittorio nell'alveo della civiltà, abbandonandosi ad attacchi personali infondati e di infimo ordine.

Bene farebbe il Sindaco a svolgere la sua mansione amministrativa a tempo pieno, affrontando le annose questioni che assillano da anni Nova Siri ; è questo il vero scandalo che offre ai suoi cittadini: dopo ben 7 anni che è Sindaco, viviamo in un territorio in stato di abbandono, con strade dissestate, immondizia dappertutto, spiagge pubbliche non fruibili, verde pubblico non curato, strutture sportive fatiscenti e inutilizzabili, lavori pubblici in perenne stallo, scuole per anni senza certificazioni di agibilità e collaudo , bandi di gara per l'assunzione del personale per lo meno discutibili. E' scandalo che, pur di rimanere ancorato alla sua poltrona, si è sempre genuflesso ai fautori di zizzanie, premiandoli puntualmente.

Si occupi, il Sindaco, di amministrazione anzichè perder tempo in polemiche di bassa lega dirette alla persona e non risolutive dei problemi, si svegli dal suo ormai proverbiale letargo e cerchi di recuperare un minimo di credibilità e decoro agli occhi della gente, ora che ha già perso mille occasioni per fare e qualcuna anche per tacere.









lunedì 18 luglio 2011

Curare la propria salute diventa anche in Basilicata un lusso. 
Il Tichet adesso si paga.


Benedetto e Nardiello: «Giunta troppo frettolosa»«C’era tutta questa fretta di attivare il ticket?»


18/07/2011 «MENTRE quattro Regioni hanno detto no all’introduzione, da oggi, dei nuovi ticket sanitari, altre hanno preferito congelare la decisione almeno per un approfondimento tecnico e politico, la Basilicata è nel gruppo delle Regioni dove si pagherà tutto e subito. Una fretta che ha bisogno di qualche spiegazione politica tenuto conto che siamo alle prese con l’assestamento di bilancio 2011 nel quale è già prevista, in netto anticipo con i provvedimenti del Governo, l’introduzione del ticket di due euro a ricetta e di 25 euro per il ricorso al codice bianco in ospedale, oltre ad altri tagli per prestazioni e servizi, ma non è stato approvato». Lo rileva il capogruppo di Idv in Consiglio regionale Nicola Benedetto, per il quale «era più giusto congelare i ticket ed attendere le conclusioni del confronto sul ddl di assestamento del bilancio nelle Commissioni competenti prima e in Consiglio dopo». Scettico anche Giacomo Nardiello (Pdci-Fds): «Mentre si fanno ancora i conti sugli effetti della manovra finanziaria del Governo, la Giunta Regionale con una tempestività degna di migliore causa e certamente non dimostrata in altre occasioni dà corso da subito ai nuovi ticket sanitari». Dunque «questo significa l’introduzione del ticket, pari a dieci euro per ogni ricetta per esami e visite specialistiche, oltre al ticket sulla prestazione. Si passa da una ecografia addominale inferiore, dal costo di 32,05 euro, che con il super ticket fisso sulla ricetta schizza a 42,05. E così via: un’ecografia mammella passa da 35,90 a 45,90; un elettrocardiogramma da 11,65 a 21,65; un fundus oculi da 7,75 a 17,75; Rx al torace da 15,50 a 25,50; l’esame allergologico strumentale da 6,04 a 16,04; l’emocultura da 26,45 a 36,45. E - aggiunge Nardiello - non sappiamo ancora come si concluderà la manovra di sacrifici contenuta nel ddl della Giunta Regionale e che il presidente ha già annunciato che non sarà possibile modificare pena il rischio di un commissariamento della sanità lucana».





Il Sindaco Santarcangelo risponde al consigliere D'Armento,
Credo che siano diventate stucchevoli le polemiche in cui il consigliere D’armento tenta di coinvolgere tutto ciò che può garantirgli una visibilità. Sono contento invece che finalmente abbia raggiunto una postazione (di autonomia all’interno del Consiglio Comunale) che gli permetterà di discettare su tutto lo scibile (senza chiedere il permesso ad alcuno), non tralasciando nulla: dalla guerra in Afganistan, alle vendite negli alberghi, alle morosità negli affitti, alla legittimità dei part-time, ai frigoriferi più o meno idonei fino alle ‘raccomandate’ postali e non. Questa attività di vigilanza ‘militare’ ci rende tutti più tranquilli. E comunque – avendo avuto per troppo tempo riguardo – decido che questo intervento sarà l’ultimo, non volendo offrire al Nostro occasioni di ulteriori, inutili e sterili polemiche, che se pure ci saranno non troveranno più udienza e risposta dal sottoscritto. Narciso non è il mio riferimento.




Nella travagliata vita dell’Amministrazione di Nova Siri qualcuno ha pensato di far prevalere protagonismi ad un tentativo di unità – questa sì flebile – immaginando salvezze personali ed addirittura creando casistiche che nell’ambito di un sistema militare difficilmente sarebbero state sopportate e tollerate. Così è successo nel caso dei disservizi del distretto sanitario di Nova Siri. Essere a conoscenza di disguidi da almeno un mese e non informare il Sindaco, alimentando ed amplificando le difficoltà per poi ergersi a paladino mediatico, non appartiene alla nostra cultura politico-amministrativa né vale l’assunto di un trattamento soft e di un tentativo di ‘captatio benevolentiae’ nei confronti dell’ASM. Chi mi conosce sa che non ho mai fatto sconti a nessuno, a parte qualche debolezza nella gestione delle deleghe assessorili… Apprendo invece con piacere che la questione delle Poste Italiane era stata già affrontata dal consigliere D’Armento in maniera para-normale e la cosa mi fa anche piacere. Resta la tristezza di quel che poteva essere e non è stato e dello scandalo che abbiamo offerto ai nostri elettori.



domenica 17 luglio 2011

I segreti della casta di Montecitorio: La poco "onorevole" scorta armata per portare la m...

I segreti della casta di Montecitorio: La poco "onorevole" scorta armata per portare la m...: "Nel mentre il padrone-deputato svolge le sue interminabili recite teatrali (leggasi incontri pubblici), mi capitava a volte di chiacchierare..."
Internet non si fermi ad Eboli di Giovanna De Minico , dal sole 24 ore

Dall'immondizia partenopea alla banda larga milanese: qual è il filo rosso che lega l'"inciviltà" dei napoletani con la navigazione super-veloce in internet dei cittadini del Nord? È un esercizio di logica giuridica di un accademico? O il comune denominatore tra due atti: il decreto legge sullo smaltimento dei rifiuti e quello sulla stabilizzazione finanziaria, articolo 30?




L'articolo 30 riconosce a tutti i cittadini, cioè non solo a quelli del Nord, il diritto di navigare a 30 Mb/s, e affida il compito di realizzare l'infrastruttura passiva alle imprese di telecomunicazione.





La precedente stesura della norma completava il diritto alla banda larga col "servizio universale", prestazione imposta agli operatori di telecomunicazione, e resa sostenibile anche grazie ai contributi della Cassa depositi e prestiti.





Non è cosa da poco che con la formulazione definitiva dell'art. 30 siano spariti il sostantivo "servizio" e il suo aggettivo "universale". Ne consegue che gli operatori potranno investire nelle nuove reti, ma non saranno obbligati a coprire l'intero territorio nazionale, né tantomeno a fornire la connessione a un prezzo abbordabile, perché l'operazione, al pari di una qualsiasi attività d'impresa, sarà sottoposta solo alla legge del mercato.





Che cosa rimane dell'affermazione iniziale "diritto dei cittadini" alla connessione veloce? E soprattutto che diritto è, un diritto senza debitore? Escluderei che si tratti di un nuovo diritto sociale, perché è tale la prestazione a contenuto unitario, indivisibile e assicurabile a chiunque indipendentemente dalla sua ubicazione. Propenderei per la sua acquisizione ai diritti di status soli, che, disegnati e poi cancellati dall'ordinamento romano in nome dell'uguaglianza di tutti i cittadini dell'Impero, riaffiorerebbero nel millennio digitale. Al tempo di internet i cittadini delle zone remote o scarsamente popolate navigheranno velocemente solo con la fantasia. Lascio al lettore immaginare quali saranno le Regioni condannate al buio digitale.





Dalla virtualità della banda larga spostiamoci alla realtà dell'immondizia partenopea. Qui il decreto parla di accordi tra la Campania e le Regioni più prossime, che dietro pagamento intendano accogliere l'immondizia della prima, poco virtuosa e recidiva nell'incapacità a smaltire i suoi rifiuti.





Ma a che serve un decreto, se già in sua assenza si potevano concludere accordi interregionali? È una disposizione di facciata: tanto utile politicamente al Governo quanto inutile ai cittadini napoletani per smaltire la "munnezza". Un ossimoro giuridico di un decreto con ambizioni di smaltimento urgente!





Che cosa si sarebbe dovuto scrivere? Risposta: «Tutte le Regioni sono obbligate a ricevere i rifiuti fino a un termine indilazionabile», scadenza questa da non omettere per evitare l'adagiarsi del neosindaco e del presidente della Regione sul virtuosismo altrui, rischio sempre insito nei governanti di una parte del Mezzogiorno!





Prevedere invece la facoltà delle Regioni e la preferenza di quelle limitrofe cancella illegittimamente il dovere costituzionale di "solidarietà", declassandolo a facoltà negoziabile in un'impari trattativa fra un contraente debole, la Campania, e uno forte, la regione caritatevole. Ma a cosa serve uno Stato, che si lava le mani dinanzi all'emergenza?





Ecco il filo rosso che sin dall'inizio teneva insieme il decreto sullo sviluppo con quello sull'immondizia: uno Stato evanescente che affida la salute e lo sviluppo infrastrutturale a un malinteso concetto di sussidiarietà verticale e orizzontale, la quale potrebbe al più completare un compito propriamente statale, ma non assolverlo in via esclusiva.





Infine, quale ruolo ai cittadini del Sud? L'alternativa c'è: mendicare dai più generosi quel po' di salute e d'informazione che vorranno concedere loro o pretendere da tutti i diritti fondamentali della persona come Costituzione riconosce. A ciascuno la sua scelta.





Dal consigliere comunale D'Armento riceviamo e pubblichiamo il seguente intervento.
L'intervento del Sindaco sulle Poste? A Nova Siri vale il principio dell'incoerenza



E' vivo il mio apprezzamento per l'intervento duro e perentorio, anche se un pò tardivo, del Sindaco in merito all' inadeguatezza dei servizi offerti da Poste Italiane a Nova Siri.

In data 5 Luglio, avendo ravvisato la presenza di una fila interminabile con tempi di attesa di circa 45 minuti anche fuori dagli angusti spazi interni di attesa, con vecchietti ad aspettare sotto il sole cocente , ho chiesto ed ottenuto di parlare con il Direttore; in seguito ho avuto un lungo colloquio telefonico con il Responsabile delle Attività Operative della filiale di Matera, ma non ho reputato soddisfacenti le risposte fornitemi. Ho cosi interessato alla questione il Senatore Cosimo Latronico il quale con gran sollecitudine si è prodigato per la risoluzione del problema, inviandomi, poi, un e-mail in cui mi ha fornito chiara traccia del suo pronto intervento. La questione va affrontata e risolta in tempi brevi, come, giustamente, promette il Sindaco.



Non posso, a questo punto, pur con amarezza, esimermi dal sottolineare come lo stile amministrativo del Sindaco di Nova Siri sia deficitario e lacunoso in termini di coerenza nell' approccio alle questioni del territorio: parlo di una circostanza simile nella quale il Sindaco fece l'esatto contrario di cio' che ha fatto adesso.

Meno di 4 mesi fa (22 Marzo), venuto a conoscenza di un disservizio ancor piu' grave di quello postale (a causa di un frigorifero per farmaci guasto erano state piu' volte rinviate le vaccinazioni ai bambini di Nova Siri), io stesso avevo con forza segnalato la questione a mezzo stampa, proprio come ha fatto il Sindaco in questo caso. In quell'occasione, però, a fronte della mia legittima denuncia, fatta solo ed esclusivamente negli interessi dei cittadini, soprattutto dei bimbi, vittime innocenti del disservizio, il Sindaco condanno' apertamente la mia iniziativa,sollevandomi un polverone contro e arrivando addirittura a dire che lo avevo fatto solo per guadagnare "passaggi giornalistici".... Ha forse lui bisogno ora di "passaggi giornalistici" ? Non credo, rimane tuttavia evidente la contraddizione di chi ,volta per volta, affronta le questioni ora con un metodo, ora con un altro che ne è l'esatto contrario.

Incoerenza di fondo? Flebilità caratteriale o timore di esporsi? Quando si evidenzia un grave problema del territorio, chi rappresenta il proprio popolo deve sempre impugnare con forza le ragioni della propria gente a prescindere dall' interlocutore di turno, che sia l'ASM o che siano le Poste Italiane o chicchessia. Ci vuole coraggio, ci vuole responsabilità, ma soprattutto coerenza. Sempre.

Cons. Comunale dr. Giuseppe D'Armento (PDL)



mercoledì 13 luglio 2011




L'agenzia delle Entrate gioca d'anticipo e, con la risoluzione 72/E dell'11 luglio 2011, istituisce subito il codice tributo da usare entro il 4 ottobre per pagare il forfait di 129 euro dovuto dai contribuenti che si sono "dimenticati" di chiudere la partita Iva.


La definizione in F24

La definizione potrà essere fatta entro il 4 ottobre 2011, pagando il forfait di 129 euro e indicando nel modello F24 il codice 8110 denominato «Sanzione per l'omessa presentazione della dichiarazione di cessazione attività di cui all'articolo 35, comma 3, del Dpr 633/1972 - sanatoria di cui all'articolo 23, comma 23, decreto legge 98/2011». Nel modello F24 si devono indicare:

– nella sezione «contribuente» i dati anagrafici e il codice fiscale del soggetto;

– nella sezione «erario ed altro», il campo «tipo» è valorizzato con la lettera «R»;

– il campo «elementi identificativi» è valorizzato con la partita Iva da cessare;

– il campo «codice» è valorizzato con il codice tributo;

– il campo «anno di riferimento» è valorizzato con l'anno di cessazione dell'attività nel formato AAAA.

La norma

La definizione con il forfait di 129 euro è prevista dall'articolo 23, comma 23 del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98 (la manovra): i titolari di partita Iva, sebbene obbligati, che non hanno tempestivamente comunicato la cessazione dell'attività, possono sanare la violazione versando, entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto (6 luglio), un importo pari alla sanzione indicata nell'articolo 5, comma 6, primo periodo, del decreto legislativo 471/1997, ridotta a un quarto. Il richiamato comma 6 stabilisce che chiunque, essendovi obbligato, non presenta una delle dichiarazioni di inizio, variazione o cessazione di attività, previste nel primo e terzo comma dell'articolo 35 del decreto Iva, Dpr 633/1972, è punito con sanzione da 516 euro a 2.065 euro. In pratica, si potrà sanare l'omessa dichiarazione di cessazione attività, pagando, entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto, 129 euro, cioè un quarto di 516 euro. La norma di favore si applica a condizione che la violazione non sia stata già constatata con atto di contestazione portato a conoscenza del contribuente.

Le partite inattive

Il comma 22 del richiamato articolo 23 del decreto legge 98/2011 prevede anche la cancellazione d'ufficio delle partite Iva inattive da oltre tre anni. La revoca d'ufficio deriva dall'inserimento disposto dal comma 22 del nuovo comma 15-quinquies nell'articolo 35 del decreto Iva, Dpr 633/1972. Esso stabilisce che l'attribuzione del numero di partita Iva è revocata d'ufficio qualora per tre annualità consecutive il titolare non abbia esercitato l'attività d'impresa o di arti e professioni o, se obbligato alla presentazione della dichiarazione annuale Iva, non abbia adempiuto a tale obbligo. La revoca d'ufficio servirà ad alleggerire l'esagerato numero di partite Iva, pari a oltre sette milioni, con qualche milione di partite Iva inattive, che molti contribuenti magari si sono "dimenticati" di possedere. Il provvedimento di revoca è impugnabile davanti alle Commissioni tributarie. Il ricorso contro la cancellazione d'ufficio della partita Iva può riguardare i contribuenti che, ad esempio, si sono dimenticati di presentare le dichiarazioni annuali Iva e che, a seguito della comunicazione di revoca, potranno sistemare la loro situazione. In proposito, va detto che negli ultimi anni è in continuo aumento il numero dei contribuenti che si dimenticano, per colpa loro o per colpa del consulente fiscale, di presentare le dichiarazioni annuali dei redditi, dell'Iva e dell'Irap. Esistono anche casi di contribuenti che, avendo omesso di presentare una dichiarazione con importi a credito, presentano la successiva, riportando i crediti della dichiarazione omessa. In questi casi, il sistema dell'anagrafe tributaria, in sede di controllo automatizzato della dichiarazione presentata, a norma dell'articolo 36-bis del Dpr 600/1973 e dell'articolo 54-bis, del decreto Iva, Dpr 633/1972, non riconosce i crediti riportati in quanto non è stata presentata la dichiarazione dell'anno precedente. La conseguenza è che, con la comunicazione di irregolarità inviata dalle Entrate, sarà chiesto al contribuente di pagare le somme relative ai crediti "sconosciuti" al sistema del fisco, cioè quelli riportati dalla dichiarazione "omessa", con l'aggiunta di sanzioni e interessi. Il rimedio a queste "dimenticanze" può essere sanato presentando le dichiarazioni anche dopo qualche anno, fermi restando i poteri di controllo degli uffici in tema di regolarità dei versamenti, dei crediti e di tutti gli elementi risultanti dalle dichiarazioni presentate in ritardo e considerate omesse per legge, con la conseguente applicazione delle sanzioni dovute per l'omessa presentazione e per gli eventuali versamenti omessi o eseguiti in ritardo.


Le partite inattive

Il comma 22 del richiamato articolo 23 del decreto legge 98/2011 prevede anche la cancellazione d'ufficio delle partite Iva inattive da oltre tre anni. La revoca d'ufficio deriva dall'inserimento disposto dal comma 22 del nuovo comma 15-quinquies nell'articolo 35 del decreto Iva, Dpr 633/1972. Esso stabilisce che l'attribuzione del numero di partita Iva è revocata d'ufficio qualora per tre annualità consecutive il titolare non abbia esercitato l'attività d'impresa o di arti e professioni o, se obbligato alla presentazione della dichiarazione annuale Iva, non abbia adempiuto a tale obbligo. La revoca d'ufficio servirà ad alleggerire l'esagerato numero di partite Iva, pari a oltre sette milioni, con qualche milione di partite Iva inattive, che molti contribuenti magari si sono "dimenticati" di possedere. Il provvedimento di revoca è impugnabile davanti alle Commissioni tributarie. Il ricorso contro la cancellazione d'ufficio della partita Iva può riguardare i contribuenti che, ad esempio, si sono dimenticati di presentare le dichiarazioni annuali Iva e che, a seguito della comunicazione di revoca, potranno sistemare la loro situazione. In proposito, va detto che negli ultimi anni è in continuo aumento il numero dei contribuenti che si dimenticano, per colpa loro o per colpa del consulente fiscale, di presentare le dichiarazioni annuali dei redditi, dell'Iva e dell'Irap. Esistono anche casi di contribuenti che, avendo omesso di presentare una dichiarazione con importi a credito, presentano la successiva, riportando i crediti della dichiarazione omessa. In questi casi, il sistema dell'anagrafe tributaria, in sede di controllo automatizzato della dichiarazione presentata, a norma dell'articolo 36-bis del Dpr 600/1973 e dell'articolo 54-bis, del decreto Iva, Dpr 633/1972, non riconosce i crediti riportati in quanto non è stata presentata la dichiarazione dell'anno precedente. La conseguenza è che, con la comunicazione di irregolarità inviata dalle Entrate, sarà chiesto al contribuente di pagare le somme relative ai crediti "sconosciuti" al sistema del fisco, cioè quelli riportati dalla dichiarazione "omessa", con l'aggiunta di sanzioni e interessi. Il rimedio a queste "dimenticanze" può essere sanato presentando le dichiarazioni anche dopo qualche anno, fermi restando i poteri di controllo degli uffici in tema di regolarità dei versamenti, dei crediti e di tutti gli elementi risultanti dalle dichiarazioni presentate in ritardo e considerate omesse per legge, con la conseguente applicazione delle sanzioni dovute per l'omessa presentazione e per gli eventuali versamenti omessi o eseguiti in ritardo.

Fonte : "il sole 24 ore"
Immobili in vendita: l'abc della prelazione

dal " Sole 24 ore"


Domanda



Sono inquilino in locazione sia dove risiedo stabilmente sia di un locale in cui ho un esercizio commerciale.


So che il padrone della casa in cui abito intende vendere il mio alloggio e gradirei sapere se ho un qualche diritto ad acquistarlo. Quanto al locale commerciale, essendo vicino alla scadenza contrattuale, mi chiedo a che condizioni posso ottenere il rinnovo del contratto e se al vecchio canone o al nuovo corrispettivo che il proprietario concordasse con un eventuale nuovo affittuario.


B.B. – ROMA



Risposta



Il diritto a comprare (o affittare) prima di chiunque altro. E' questo il succo del "diritto di prelazione", concesso dalla legge a chi è inquilino in un contratto di locazione. La prelazione è imposta dalla legge solo in casi ben precisi. Tuttavia, niente vieta che sia concessa contrattualmente, anche in mancanza di obbligo: anzi, nei moduli prescritti per le locazioni a canone concordato, il locatore deve dichiarare espressamente se la concede o meno. Naturalmente, i casi in cui un privato accorda la prelazione volontariamente sono rarissimi. Viceversa, capita il contrario quando a vendere il patrimonio immobiliare sono grandi aziende (per esempio, banche, compagnie di assicurazioni, poste, ferrovie, fondazioni), che puntano più all'incasso in breve tempo che al guadagno nel lungo periodo.

Locazioni commerciali

È la prelazione più diffusa. Vale solo quando l'immobile non abitativo è utilizzato per attività commerciali che prevedano diretti contatti con il pubblico (il caso tipico sono i negozi). Espressamente escluso dalla legge l'uso per l'esercizio di attività professionali (studi di avvocati, notai, architetti, ad esempio). Per le altre eccezioni, si veda la tabella a fianco.

In sostanza, in caso di vendita, l'inquilino ha diritto di continuare comunque il contratto di locazione fino alle scadenze naturali oppure acquistare, se lo vuole, l'immobile al prezzo e alle condizioni stabilite per la vendita dal proprietario, che non potrà alienare ad altri con condizioni diverse.

Meccanismi

Il proprietario deve dare per legge comunicazione della vendita con notifica attraverso l'ufficiale giudiziario all'inquilino (o a tutti gli inquilini, se sono più di uno). La giurisprudenza ha però valutato la raccomandata con ricevuta di ritorno come un mezzo di validità pari alla notifica. Nella comunicazione, va scritto il prezzo, sempre espresso in denaro, e le condizioni a cui avviene la vendita stessa (data, rateizzazione, eccetera): altrimenti la comunicazione è priva di valore. Non occorre allegare il compromesso. Il conduttore ha 60 giorni di tempo per esercitare il diritto all'acquisto, sempre per iscritto e tramite ufficiale giudiziario. Il pagamento, salvo diversi accordi, deve essere effettuato entro 90 giorni dalla prima comunicazione del proprietario, insieme alla stipula del compromesso o del rogito di acquisto.

Il diritto di riscatto

Cosa accade se il proprietario non effettua la comunicazione, ma vende l'immobile ad altri? Oppure se, fatto un prezzo all'inquilino, che rinuncia, ne concede uno inferiore ad un estraneo? L'inquilino ha la possibilità, entro sei mesi dalla trascrizione del rogito, di riscattare l'immobile dall'acquirente e perfino da altre persone a cui sia stato in seguito venduto, con un'apposita azione giudiziaria. Potrà pretendere anche eventuali danni (Cassazione, sentenza n. 9468/1990). Per riscattare, dovrà versare il prezzo denunciato sull'atto di vendita entro trenta giorni. Un periodo di tempo che scatta:

– dalla data della notifica dell'acquirente, che comunica di non opporsi al riscatto;

– oppure dalla prima udienza del giudizio, se l'acquirente stesso non fa opposizione al riscatto;

– o, infine, dalla data della sentenza che riconosce il diritto di riscatto, se vi è opposizione.

Cosa accade se l'inquilino non paga? Il caso è dubbio. Secondo la Cassazione più recente (sentenza n. 8809/1998) non perde il diritto: può solo essere costretto in giudizio a versare il prezzo più i danni conseguenti al ritardo.

Prelazione all'affitto

Il meccanismo è simile a quello della prelazione alla vendita. Scatta quando il locatore intende affittare ad altri. Il diritto dell'inquilino matura alla seconda, definitiva, scadenza del contratto non abitativo, dopo il suo rinnovo automatico (dopo 12 anni dalla stipula in genere e dopo 18 per le locazioni alberghiere), al nuovo canone richiesto dal proprietario (che potrà essere superiore rispetto a quello praticato in passato). Infatti, la compravendita dell'immobile non è elencata per le locazioni commerciali tra i motivi di interruzione del contratto di locazione alla prima scadenza, di sei o di nove anni (come accade per quelle abitative). Si conserva tale diritto anche nel caso in cui il contratto con il nuovo inquilino sia sciolto entro un anno, ovvero quando il locatore abbia ottenuto il rilascio dell'immobile non intendendo locarlo a terzi, e, viceversa, lo abbia concesso in locazione entro i sei mesi successivi, ovviamente sempre in base al nuovo canone.

La prelazione non esiste però se il proprietario o l'inquilino hanno dato regolare disdetta, oppure l'inquilino è moroso.

Locazioni abitativeIl diritto di precedenza all'acquisto è più raro negli affitti abitativi. E' infatti conseguenza di un altro diritto, quello del proprietario a interrompere la locazione alla prima scadenza, quando intende vendere l'appartamento, evitando il rinnovo automatico del contratto previsto dalla legge n. 431/1998. Ricordiamo che tale prima scadenza è di quattro anni, per le locazioni a canone libero, e di tre anni per quelle a canone concordato. All'inquilino è data, come compenso, la possibilità di acquistare per primo i locali messi in vendita. Se, invece, il contratto giunge al termine naturale, per esempio dopo otto anni, la prelazione non c'è. Va ricordato, però, che il proprietario venditore, per poter interrompere alla prima scadenza, non deve possedere altri immobili, oltre a quello in cui abita e a quello dato in locazione. La prelazione all'acquisto e il corrispondente diritto di riscatto vanno esercitati secondo gli stessi meccanismi previsti per le locazioni commerciali (vedi sopra). La legge di riforma pone un principio già noto nelle locazioni commerciali: se il locatore, dopo aver interrotto il contratto alla prima scadenza non vende, oppure è proprietario di più immobili, l'inquilino ha diritto al risarcimento del danno in misura non inferiore a 36 mensilità dell'ultimo canone di locazione versato (spese escluse).



martedì 12 luglio 2011

La coesione nazionale
dal " sole 24 ore"
Come va inteso il richiamo alla «coesione nazionale», tanto più impellente quanto più drammatica è la condizione dell'Italia sui mercati finanziari? Nell'appello del presidente della Repubblica c'è un senso morale, civile, prima ancora che politico. Tuttavia in concreto la «coesione nazionale» può essere declinata in varie forme, tutte preferibili allo stato di confusione in cui si è svolto il dibattito pubblico fino all'altro giorno, quando già era cominciata la tempesta perfetta sulle Borse.




È bene essere chiari. Nella sua accezione più vera e convincente «coesione nazionale» vuol dire governo di salute pubblica. O di unità repubblicana. Dimissioni dell'esecutivo in carica a mercati chiusi, rapido ricambio dei ministri, nuovi volti rappresentativi di un grande sforzo collettivo, immediato giuramento e presentazione in Parlamento a raccogliere il voto di tutto l'emiciclo, o almeno della sua stragrande maggioranza.



È uno scenario suggestivo, il solo forse che darebbe all'interno e all'estero il segno della riscossa, visto che un governo siffatto avrebbe la missione storica di metter subito mano a misure drastiche, ponendo fine ad anni di rinvii e traccheggiamenti. Ma siamo fuori della realtà. Non c'è alcun governo di unità nazionale all'orizzonte, almeno a breve termine. Al netto della propaganda, le nostre forze politiche non sono in grado oggi di fare questo salto estremo. Coesione diventa allora sinonimo di responsabilità nazionale. L'obiettivo minimo dovrebbe essere a portata di mano: approvare la manovra economica in pochi, pochissimi giorni. Se possibile, correggendone alcune incongruenze, ma senza slittare nemmeno di un'ora. Un patto fra maggioranza e opposizione alla luce del sole, o quasi, in nome dell'interesse generale. Allo stato delle cose, è un passo irrinunciabile.



Eppure, dopo il collasso di ieri, la coesione nazionale avrebbe bisogno di ben altro. Per esempio di parole di verità adeguate alla serietà dell'ora. C'è da domandarsi, a tale proposito, cosa aspetta il presidente del Consiglio a rivolgersi al Paese. Di Berlusconi abbiamo solo un comunicato ottimistico diffuso ieri sera da Arcore, in cui si dichiara d'accordo con Napolitano. Meglio di niente, ma forse non basta. Il premier dovrebbe sentire la necessità di parlare agli italiani con una certa solennità, cogliendo le preoccupazioni diffuse. Spetta a lui e a nessun altro spiegare cosa sta succedendo e indicare una prospettiva. Spetta a lui sollecitare la coesione della sua maggioranza e chiedere all'opposizione una forma di coinvolgimento.





Sono questi i momenti in cui una leadership ha il dovere di mostrarsi, se ancora esiste. E i famosi mercati vogliono proprio questo: una leadership forte che sappia cancellare per un momento l'immagine di un governo indebolito, incrinato anche da incredibili vicende giudiziarie. Una voce abbastanza credibile da interpretare un Paese unito. Invece c'è stato un silenzio durato troppo a lungo, spiegato domenica con l'argomento che «il premier non vuole alimentare polemiche sul Lodo Mondadori». Lodo Mondadori? Ma in questi giorni il presidente del Consiglio aveva e ha un solo tema su cui esprimersi e non è certo il caso Mondadori.





Tanto più dopo la telefonata del cancelliere Angela Merkel. Fatto inusuale che non può essere archiviato solo come un elogio al Governo italiano per il profilo della manovra. La telefonata è anche un monito, un richiamo a fare presto, un invito a mandare segnali tempestivi. È sorprendente, ma non troppo, che finora le parole politicamente più impegnative; le parole che si rivolgono all'esecutivo, sì, ma in fondo all'intero Parlamento, siano venute dal cancelliere della Germania e non da un esponente della nostra classe politica. Sorprendente e inquietante. Da un lato, la Merkel che vigila sulla nostra politica economica. Dall'altro, i nostri impacci e i diversivi. Come Calderoli che annuncia proprio adesso l'apertura a Milano degli uffici di rappresentanza di tre ministeri, compreso quello di Tremonti. O come Bossi che afferma: «La Lega non ha lasciato il Governo per non spaventare i mercati» (e si è visto ieri). Ma l'opposizione non è da meno. Ancora sabato Bersani accennava alla proposta del Pd: trasformare il decreto in disegno di legge e approvarlo «entro settembre». Entro settembre? Per quella data la speculazione avrà finito il pasto, se i segnali forti che la classe politica sa trasmettere sono questi.





A sua volta Casini ha evocato il toccasana delle riforme. Che in questo contesto ha poco senso. Le riforme andavano fatte dieci anni fa. Oggi, contro la destabilizzazione, ci vuol altro che una generica promessa di mettere in cantiere un programma riformatore. Quello dovrebbe essere la normalità dell'agenda politica. Ma adesso siamo siamo nell'emergenza. In altre parole, la «coesione nazionale» può essere intesa in molti modi, ma soprattutto deve essere una cosa seria. Ormai l'Italia non può permettersi più di scherzare.





Fiducia e credibilità  : capitale da  ricostituire.
Quando nel 1946 Alcide De Gasperi parlò alla Conferenza di pace di Parigi non aveva dalla sua parte solo la cortesia dei vincitori, ma anche la credibilità di un uomo che aveva conosciuto la galera per la sua opposizione alla tirannide fascista.




Il Paese era prostrato, ma la credibilità di cui gran parte della nostra classe politica di allora godeva permise all'Italia di essere accettata nel consesso delle nazioni occidentali, gettando le basi del miracolo economico. Nonostante il benessere raggiunto, oggi il nostro Paese agli occhi della comunità internazionale manca proprio di credibilità. La scarsità di questa risorsa, consolidatasi nei decenni, è senza dubbio diventata una caratteristica di fondo dell'Italia.



Secondo i dati dell'Eurobarometro, tra i manager dei principali Paesi europei gli italiani sono quelli che godono della minor fiducia da parte dei loro colleghi. Tra i popoli della vecchia Europa gli italiani sono secondi solo ai greci per il grado di sfiducia che generano. Ma questo difetto di credibilità oggi è amplificato drammaticamente dal quadro politico. È un dato che prende corpo nell'opinione pubblica internazionale e riguarda direttamente l'affidabilità della classe politica che, dal presidente del Consiglio in giù, si trova al centro di indagini giudiziarie con ministri e sottosegretari costretti alle dimissioni.



Questa mancanza di credibilità e fiducia non è solo un problema politico, ma anche economico. I Paesi che non generano fiducia sono in grado di esportare meno, attraggono meno investimenti esteri e sono meno capaci di sviluppare grandi imprese.



In un mondo in cui la ricchezza è sempre più composta da beni intangibili (brevetti, segreti industriali, informazioni privilegiate) e dove la complessità accresce la necessità di ricorrere alla delega, la fiducia diventa sempre più una precondizione per fare affari. Nel comprare una valvola per un impianto nucleare, non posso permettermi il rischio che non sia affidabile. Il minimo dubbio sulla controparte mi induce a scegliere un altro fornitore.



Nel condividere i miei segreti industriali con un partner, non posso permettermi un dubbio sulla sua onestà. Appena li nutro, la partnership è finita. Nell'effettuare in tempi brevi grandi transazioni, non posso dubitare dell'onestà del venditore. Nella primavera del 2008 Warren Buffett decise di non investire in Lehman Brothers quando scoprì che Dick Fuld, l'amministratore delegato della società, non era stato completamente trasparente nella trattativa. Buffett giudicò (correttamente) che chi non è onesto nel poco a maggior ragione non è onesto nel molto.



La fiducia è particolarmente importante in tutte quelle situazioni in cui il beneficio derivante dal fidarsi a ragione di una controparte dubbia è limitato, ma la perdita causata dal fidarsi erroneamente è enorme, come nel caso di un impianto nucleare. Per questo la fiducia è particolarmente importante nel mercato del credito. La perdita che posso subire nel prestare a un debitore disonesto è di gran lunga maggiore del beneficio che posso trarre dal prestare ad un prenditore onesto. Per questo il mercato del credito è particolarmente sensibile alle crisi di fiducia. Alcuni lo chiamano panico, ma non c'è nulla di irrazionale nel maturare convinzioni da piccoli segnali, soprattutto quando il costo di non farlo può essere elevatissimo.



Venerdì scorso i titoli di Stato italiani sono stati colpiti da una di queste crisi di fiducia. Ieri la sfiducia è stata confermata ed estesa. Né panico, né tantomeno cospirazione internazionale contro l'Italia, ma solo ordinaria interpretazione delle notizie. Per la consuetudine con cui gli analisti americani guardano i fatti, se l'ex braccio destro del ministro Tremonti è accusato di corruzione e il ministro è ospite a casa sua, l'intero Paese e i suoi conti sono messi in dubbio. L'Italia non è la Grecia, da tutti i punti di vista. Ma il dato politico influenza il giudizio esterno. Perché, si domandano gli osservatori, l'Italia dovrebbe essere diversa? Realisticamente sono questi i pensieri che serpeggiano tra i detentori del nostro debito pubblico. In queste condizioni sorprende solo che il crollo sia stato tutto sommato limitato.



La trasparenza non paga solo in termini di credibilità, ma anche di solidarietà. I tedeschi sono molto più disponibili ad aiutare l'Irlanda di quanto lo siano ad aiutare la Grecia, perché la Grecia ha mentito. L'unica attenuante è che le colpe appartengono al Governo precedente e Papandreou cerca di accreditarsi ai partner europei, come fece De Gasperi, come il volto della nuova Grecia. Abbiamo anche noi bisogno di credibilità, di persone credibili. Non è importante se abbiamo un Governo di destra o di sinistra. L'attuale destra e l'attuale sinistra soffrono, purtroppo, dello stesso deficit di credibilità nei confronti degli italiani e della comunità internazionale. Bisogna ricostruire un capitale di credibilità e fiducia, come fecero i nostri padri costituenti dopo l'esperienza del fascismo. Nuove basi perché il mondo creda che il nostro debito venga ripagato e gli italiani credano che questo verrà fatto in modo equo. Senza questa credibilità e fiducia l'Italia non può sopravvivere in Europa.



Dal " sole 24 ore"

Prodi : «Va lanciato immediatamente il messaggio che c'è un Paese unito, capace di fare sacrifici e di costruire compatto il proprio futuro».


Nel giorno più nero per l'Italia sui mercati finanziari, Romano Prodi sollecita una prova di compattezza per superare questa crisi e respingere l'attacco speculativo internazionale a cui è sottoposta l'Italia. Per l'ex presidente del Consiglio «non ci sono alternative a questo approccio. Deve emergere subito un messaggio di stabilità, di compattezza, di fiducia, condiviso da maggioranza e opposizione, assieme a tutte le istituzioni. Questo fa un Paese che festeggia i 150 anni di unità e continua insieme a costruirsi il domani».



Professor Prodi la situazione è davvero difficile.

Sono fortemente preoccupato per quello che sta accadendo. E lo sono a maggior ragione alla luce di quanto avviene negli Stati Uniti, dove i conti pubblici sono peggiori dei nostri e la situazione politica interna non è certo più coesa della nostra. Eppure non si pensa altro che ad attaccare l'Europa.





L'Italia è il Paese nel mirino più di altri?

Dopo Irlanda, Grecia, Portogallo e Spagna adesso tocca a noi subire gli attacchi, anche se ora il fenomeno sta interessando pure la Francia, come dimostra lo scossone avuto dal loro spread. Ma questo non può certo consolarci.





audioProdi a Radio 24: "Non vedo una reazione politica concertata per difendere il Paese"









Prodi a Radio 24: "Essenziale prendere decisioni immediate sulla finanziaria"

Che cosa sta innescando questo fortissimo e pare inarrestabile movimento speculativo?

L'Italia non brilla per il proprio rigore, ma la nostra economia non è certo al collasso, anzi, le strutture produttive sono generalmente sane e le banche sono relativamente più solide che negli altri Paesi. Eppure assistiamo a un attacco feroce, sia in Borsa che sui titoli di Stato, con lo spread verso i titoli tedeschi tornato addirittura sopra 300 punti base. Parliamoci chiaro: se non si pone rimedio si va diritti verso un baratro. Occorre una risposta coesa, ripeto, coesa, di tutto il Paese.





La manovra varata dal Governo pare sia passata inosservata.Serve una strategia di uscita. Da un lato vanno rafforzati i contenuti della legge finanziaria: è certamente un punto debole il rinvio del cuore dei provvedimenti al 2013-2014, e dall'altro va seguita una precisa strategia che possa influire sui mercati finanziari.





Che guardano ai segnali, ai messaggi, alle aspettative…

È anche e soprattutto per quello che ritengo sia necessario rendere la manovra accettabile all'opposizione.





Sembra facile. Ma come si può fare, visto il contesto della politica italiana che lei conosce molto bene?

Vista l'urgenza, è possibile attraverso l'intesa rapida su alcuni emendamenti. Così si può portare subito la manovra in Parlamento e approvarla in tempi stretti, come giustamente sollecitato anche dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Questo fa una politica seria.





Che cosa dovrebbe cambiare l'impianto approvato dal Governo?

La situazione è grave, lo sappiamo tutti. E quindi serve uno sforzo straordinario da parte delle classi a reddito più elevato.





A cui si pensa di ridurre gradualmente l'aliquota massima…

A me pare un follia. Su questo punto bisogna essere chiari.





Concorderà che è difficile trovare risorse in questo momento.Certo. Proprio per questo va varata una vera lotta all'evasione fiscale, che è enorme. Eppoi bisogna agire sulla spesa pubblica.





Anche questo sembra sia al centro dell'impianto della manovra, almeno in alcune sue parti.

Io penso a un politica strutturale di spending review, un po' sulla falsariga di quello che fece la Commissione Giarda. La spesa pubblica nell'ultimo decennio è scappata di mano, e bisogna metterci sul serio rimedio. È noto a pochi che in dieci anni la spesa pubblica complessiva al netto degli interessi è cresciuta di oltre il 50%, passando da 479 miliardi del 2000 a 723 del 2010! La questione centrale è che i mercati finanziari internazionali devono avere la rassicurazione che questi fenomeni in futuro non accadano più.





Una misura a lungo termine, tuttavia…

Sì, ma con un messaggio che ha presa nell'immediato. E che avrebbe un forte impatto emotivo. Come lo avrebbe una seria riorganizzazione delle tasse locali dopo lo smantellamento dell'Ici. Ovunque il federalismo fiscale si basa sulla tassazione degli immobili. È chiaro che parte delle risorse liberate dovrebbero essere indirizzate alla riduzione dei costi indiretti delle ore lavorate, in modo da aiutare il rilancio dell'economia.





Sempre manovre strutturali.

Da attuare attraverso un'immediata riunione tra Governo, opposizione e Banca d'Italia in modo da dare la garanzia che tutto il Paese è pronto a fare sacrifici, affrettare il risanamento e sostenere l'economia.


Fonte: "il sole 24 ore"


Alta politica a Nova Siri da parte del PD!
Quando non si ha più niente da dire , da proporre, non resta che far ricorso alla spazzatura e servirla  come il più raffinato dei piatti politici della cucina politica locale. Complimenti allo chef!
 


A voi l'articolo di
di PIERANTONIO LUTRELLI, dal quotidiano della Basilicata





NOVA SIRI – “A distanza di quindici giorni ci troviamo nuovamente a dover denunciare la mancanza di pulizia del paese e di una raccolta inefficiente dei rifiuti solidi urbani. Così non si può andare avanti visto che la nostra località è, nonostante tutto, tra le più apprezzate stazioni balneari e località turistico-ricettive della costa jonica”. A dichiararlo al Quotidiano è il capogruppo consiliare del Partito democratico al Comune di Nova Siri, l’avvocato Pasquale Favale, il quale, ieri pomeriggio, ha voluto mostrare al cronista alcuni punti critici del sistema di smaltimento della nettezza urbana, e della mancanza di pulizia e manutenzione di alcune strade interne nonché la “totale assenza” del decoro urbano. Un vero e proprio “spazza tour” quello dell’esponente di punta dell’opposizione che ha riguardato sia la frazione di Nova Siri Marina che il centro storico con le adiacenti contrade. “Spero – ha detto Favale – che l’amministrazione comunale provveda al più presto a rimuovere questi numerosi e sgradevoli “biglietti da visita”. Non è bello infatti vedere e far “ammirare” ai turisti ed ai tanti residenti, i punti raccolta dei rifiuti ove si trovano i cassonetti, letteralmente invasi da scarti di ogni genere e in molti casi da tante gomme. Al di là del fatto che chi amministra possa prendersela con l’inciviltà di chi si rende responsabile di gesti insani dal punto di vista del senso civico, chi ha ricevuto un mandato popolare ad amministrare, deve trovare il modo e la maniera per far sì che Nova Siri sia pulita. Perché pulita purtroppo non è. Non voglio essere additato come colui che strumentalizza politicamente la vicenda, ma, in qualità di eletto del popolo, sento forte la pressione della mia coscienza, di fare qualcosa per il mio paese per risolvere i problemi che tanti cittadini mi sottopongono ogni giorno, proprio come la vicenda della pulizia delle aree comunali, la mancanza di manutenzione delle strade interne, soprattutto nelle campagne, nonché il taglio delle erbacce che in periodi come questo sono ricettacolo di vipere e potenzialmente a rischio incendi”. Il nostro “spazza tour” prosegue partendo da Nova Siri Marina per arrivare fino al centro storico passando per le campagne. “Gomme in quantità industriale – denuncia Favale - sono all’ordine del giorno. Cassonetti esausti, erbacce a volontà. Qui ci vorrebbe un intervento straordinario (aumento del monte ore ai dipendenti attuali) che il Comune dovrebbe sollecitare alla società che gestisce il servizio, soprattutto nel periodo estivo in cui la popolazione triplica. Si fa ancora in tempo – ha concluso - a salvare la stagione (che di qui a pochi giorni entrerà nel vivo) ed accogliere finalmente i turisti come meritano”.

lunedì 11 luglio 2011

DOSSIER ALIMENTAZIONE


Come proteggere anche i cibi dal caldo


Serve massima attenzione dentro e fuori casa

MILANO - Vari fattori contribuiscono a far sì che in estate aumenti il rischio di tossinfezioni alimentari: l’alta temperatura ( favorevole alla moltiplicazione dei batteri), il maggior numero di occasioni per consumare fuori cibi portati da casa (un picnic, o in spiaggia, per esempio), il più frequente ricorso a piatti freddi come insalate di pasta e di riso, che non subiscono l’azione di bonifica del calore quando il piatto viene ben riscaldato prima del consumo.



Allora, quali precauzioni adottare in particolare per i cibi da portare fuori casa? «È chiaro che bisogna rispettare le abituali norme igieniche, come lavarsi bene le mani con acqua calda saponata prima e dopo la preparazione degli alimenti, igienizzare periodicamente il piano di lavoro e gli utensili, tenere separati alimenti crudi e cotti — risponde Paolo Aureli, dirigente di ricerca all’Istituto Superiore di Sanità —, ma in più è importante preparare gli alimenti non troppo in anticipo, mettendoli rapidamente in frigorifero e dando loro il tempo di raffreddarsi bene prima di riporli nella borsa termica». E, in generale, per piatti freddi, come l’insalata di riso? «In questi casi, — riprende Aureli — le fasi da sottoporre a maggiore attenzione sono più d’una. Innanzitutto, la refrigerazione degli alimenti deperibili nel più breve tempo possibile: il riso, una volta scolato, deve essere risciacquato con acqua fredda, girandolo spesso nel contenitore per favorirne il raffreddamento e aggiungendo solo dopo gli altri ingredienti. Poi, la conservazione appropriata: mettere l’insalata di riso in frigo, in un contenitore coperto, non appena preparata, avendo cura di rimescolare più volte fino al momento del consumo, per assicurare una refrigerazione uniforme. Il frigorifero deve essere mantenuto a non più di 4-5° e non deve essere troppo stipato.



Infine, bisogna evitare tempi di conservazione troppo lunghi, perché ci sono alcuni microrganismi deterioranti e patogeni che si sviluppano anche a temperature di frigorifero. La presenza in questo piatto di vari ingredienti (riso, prosciutto cotto, formaggi, sott’oli), in grado di favorire la moltiplicazione dei microrganismi, e la debole acidità data dai sott’oli o dai sott’aceto, non garantiscono l’arresto della proliferazione microbica». C’è un criterio semplice per capire quali sono gli alimenti più "a rischio"? «Un criterio semplice —spiega Paolo Simonetti, docente di Nutrizione delle collettività al DiSTAM, Università di Milano — può essere quello di considerare il luogo e le modalità di preparazione e di confezionamento dell’alimento. Per intenderci: un alimento "sfuso" è più a rischio rispetto allo stesso alimento riposto, anche per tempi brevi e durante il trasporto, in un apposito contenitore chiuso. Contano, inoltre, il contenuto di acqua, l'acidità (che stabilizza) e gli ingredienti: i biscotti secchi possono essere considerati cibi "sicuri" perché il basso contenuto di acqua non permette ai batteri di replicarsi; mentre creme, salse a base di uova crude, piatti elaborati come il vitello tonnato, al contrario, sono molto più delicati per il tipo di matrice alimentare, il numero di manipolazioni e per la mancanza di acidità stabilizzatrice».



di Carla Favaro, dalla "Stampa"

nutrizionista



sabato 9 luglio 2011

Un vademecum per scoprire cosa c'è nelle pieghe del decreto Sviluppo,
convertito definitivamente in legge il 7 luglio 2010.
Tutte le novità, dalla riscossione degli accertamenti esecutivi alle pensioni per le vittime del terrorismo, passando per la carta d'identità elettronica, la rinegoziazione dei mutui, le novità per il mondo della scuola. Fra le novità si allentano le ganasce fiscali per i debiti fino a 2mila euro. Ecco il contenuto in 79 voci.




Accertamenti esecutivi, riscossione (articolo 7, comma 2). Intervento sulla disciplina della riscossione delle somme dovute in base ai cosiddetti "accertamenti esecutivi". Essa dispone, tra l'altro, l'applicazione dell'accertamento esecutivo agli avvisi emessi a partire dal 1° luglio 2011 e relativi ai periodi d'imposta in corso alla data del 31 dicembre 2007 e successivi. Per gli atti successivi all'accertamento, si precisa che l'intimazione ad adempiere deve essere limitata ai specifici casi. Disposta la sospensione dell'esecuzione forzata conseguente agli atti di cosiddetto "accertamento esecutivo" per centottanta giorni decorrenti dall'affidamento in carico agli agenti della riscossione. La sospensione non si applica con riguardo alle azioni cautelari e conservative, nonché a ogni altra azione prevista dalle norme ordinarie a tutela del creditore. La suddetta sospensione non opera, tra l'altro, nel caso in cui gli agenti della riscossione vengano a conoscenza di elementi idonei a dimostrare il fondato pericolo di pregiudicare la riscossione.



Accisa e Iva gas naturale (articolo 7, comma 2). Norma interpretativa per precisare l'ambito applicativo di alcune disposizioni che incidono sulle aliquote Iva e sulla misura dell'accisa applicate al gas naturale per combustione per usi civili (articolo 2 del Dlgs 26/2007), specificando che esse operano con riguardo al singolo contratto di somministrazione, indipendentemente dal numero di unità immobiliari riconducibili allo stesso.



Accise, applicazione sanzioni amministrative all'Agenzia delle dogane (articolo 7, comma 2-novies). All'Ufficio delle dogane - al posto della Direzione regionale della medesima amministrazione - è attribuita la competenza ad applicare le sanzioni amministrative relative alle violazioni accertate nel rispettivo ambito territoriale.



Adempimenti dei contribuenti (articolo 7, comma 2). I termini per i versamenti e gli adempimenti, anche se solo telematici, da effettuare nei confronti di articolazioni del Ministero dell'Economia e delle Finanze, comprese le Agenzie fiscali, che scadono di sabato o di giorno festivo sono prorogati al primo giorno lavorativo successivo.



Agenzia nazionale per la regolazione e la vigilanza in materia di acque (articolo 10, commi da 11 a 27). Istituzione dell'Agenzia nazionale per la regolazione e la vigilanza in materia di acque. Sostituisce la Commissione nazionale per la vigilanza sulle risorse idriche istituita dal Codice dell'ambiente (Dlgs 152/2006). Autonomia organizzativa, tecnico-operativa e gestionale, trasparenza ed economicità sono i principi base dell'attività dell'Agenzia. Fra le funzioni che dovranno essere svolte dall'Agenzia la definizione delle componenti di costo per la determinazione della tariffa relativa ai servizi idrici per i vari settori di impiego dell'acqua. A decorrere dalla sua istituzione sono trasferite all'Agenzia le funzioni già attribuite alla Co.N.Vi.R.I. (Commissione nazionale per la vigilanza sulle risorse idriche) dall'articolo 161 del Dlgs 152/2006 (Codice dell'ambiente) e dalle altre disposizioni vigenti. Soppressione, a decorrere dall'entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, della Co.N.Vi.R.I. L'Agenzia è organo collegiale costituito da tre componenti, di cui uno con funzioni di presidente, nominati con Dpr previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del ministro dell'Ambiente. Dei tre componenti due sono proposti dal ministro dell'Ambiente e uno dalla Conferenza Stato- Regioni. Le designazioni effettuate dal Governo sono previamente sottoposte al parere obbligatorio e vincolante delle competenti Commissioni parlamentari. Tale parere deve essere reso, a maggioranza dei due terzi dei componenti, entro 20 giorni dalla richiesta. I componenti dell'Agenzia, scelti tra persone dotate di indiscussa moralità e indipendenza, alta e riconosciuta professionalità e competenza nel settore, durano in carica tre anni e possono essere confermati una sola volta. Il direttore generale è nominato dall'Agenzia stessa per un periodo di tre anni, non rinnovabili. Disciplinata l'organizzazione e le risorse finanziarie dell'Agenzia. Con apposito Dpr si può provvedere allo scioglimento dell'Agenzia per gravi e motivate ragioni, inerenti al suo corretto funzionamento e al perseguimento dei suoi fini istituzionali. Giurisdizione esclusiva inderogabile del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, per i ricorsi avverso gli atti e i provvedimenti dell'Agenzia, competenza di primo grado comprendente anche l'eventuale adozione di misure cautelari. Impossibilità di attribuire incarichi di consulente tecnico d'ufficio a dipendenti dell'Agenzia cessati dal servizio da meno di cinque anni. Applicazione ai giudizi del rito abbreviato già previsto davanti alle autorità amministrative indipendenti.



Agevolazioni Irap per le Aziende pubbliche di servizi alla persona (articolo 7, comma 2). Estesa a tutte le Aziende pubbliche di servizi alla persona (Asp) - in luogo delle sole Asp succedute alle Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza (Ipab) - la possibilità di usufruire delle agevolazioni Irap eventualmente deliberate dalle regioni nei confronti delle Onlus.



Danneggiare la natura protetta in Italia è reato penale.

Non più solo contravvenzioni, quindi, per chi colpisce orsi, cicogne, linci e altri animali tutelati dalle leggi, ma anche piante rare inserite nelle liste rosse o habitat particolarmente vulnerabili ma sanzioni penali e responsabilità delle persone giuridiche. È arrivato infatti il via libera definitivo da parte del Consiglio dei Ministri di due decreti di recepimento di due direttive Europee, 2008/99 e 2009/123, che danno seguito all’obbligo imposto dall’Unione europea di «incriminare comportamenti fortemente pericolosi per l’ambiente».



Le associazioni ambientaliste, però, avanzano alcune critiche. Secondo Legambiente sono solo due le fattispecie incriminatorie introdotte, quindi (lo afferma il presidente Vittorio Cogliati Dezza) «si è persa l’occasione di intervenire adeguatamente e fornire una legge penale efficace a tutela dell’ambiente e della salute dei cittadini». Per il Wwf Italia (Massimiliano Rocco, responsabile specie), «spesso l’Italia ha ratificato norme nella sua completezza ma poi il tutto è stato vanificato nella loro applicazione».


Le norme approvate prevedono due nuove fattispecie di reato introdotte nel codice penale per sanzionare la condotta di chi uccide, distrugge, preleva o possiede, fuori dai casi consentiti, esemplari di specie animali o vegetali selvatiche protette e di chi distrugge o comunque deteriora in modo significativo un habitat all’interno di un sito protetto.



Nel mirino possono finire le escursioni «pericolose» per i nidi dell’Aquila del Bonelli in Sicilia o per l’Aquila reale, per fare solo un esempio. Per difendere il patrimonio naturale nel nostro Paese sono state create le "zone di protezione" (tra protocolli e convenzioni): 2.564 siti che ricoprono una superficie di 6.194.451 ettari, pari al 20,6% del territorio nazionale. Inoltre ci sono le 871 aree protette che occupano una superficie a terra di oltre 3 milioni di ettari (10,5% del territorio nazionale), quelle a mare sono 27 e coprono complessivamente 296.000 ettari. Le zone umide sono invece 53 e coprono oltre 59.000 ettari. Le specie protette sono oltre 58 mila per gli animali e 5.600 per le piante. Sono 266 le specie italiane che rischiano di sparire, riferisce il Wwf. Al top squali, razze, cetacei, uccelli palustri, pesci di fiume, tartarughe marine e fiori rarissimi.









Inchiesta P4


Tremonti, discussione con Berlusconi:


«Non sarà vittima del metodo Boffo»

Il ministro nell'interrogatorio del 17 giugno ai pm di Napoli


La csa che Milanese pagava a Tremonti Rcd NAPOLI - Ci fu una discussione animata ai primi di giugno con il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi sulla «politica in generale e sulla manovra di pareggio economico da fare», nel corso della quale «manifestai la mia refrattarietà ad essere oggetto di campagne stampa tipo quella Boffo». È quanto riferito dal ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, ai pm di Napoli che lo hanno ascoltato lo scorso 17 giugno nell'ambito dell'inchiesta sulla P4. L'Ansa ha potuto prendere visione del verbale dell'interrogatorio, durante il quale i magistrati hanno fatto ascoltare a Tremonti la registrazione di una telefonata avvenuta il 7 giugno scorso tra il presidente del Consiglio e il capo di stato maggiore della Guardia di Finanza, generale Michele Adinolfi. «Avevo già voci del rapporto di amicizia o comunque di conoscenza di Adinolfi con il presidente Berlusconi, attesa la comune passione per il Milan». E ai pm che gli chiedono se rientra nella «fisiologia istituzionale» un rapporto diretto tra il premier ed il capo di stato maggiore della Gdf, Tremonti risponde: «Mi attengo a criteri istituzionali diversi e cioè mi relaziono solo con il comandante generale del corpo che, sia detto per inciso, è persona che stimo particolarmente».



LA DISCUSSIONE - Con Berlusconi, spiega Tremonti ai magistrati, «ebbi una discussione (...), seguito di precedenti discorsi sulla politica in generale, sulla manovra di pareggio economica da fare, eccetera», nella quale «io e il presidente del Consiglio manifestammo posizioni diverse sulla politica di bilancio». Ad un certo punto della discussione, prosegue il ministro, Berlusconi espresse «posizioni fortemente critiche in ordine alla mia attività di ministro. Per inciso e in parallelo su alcuni settori della stampa si manifestava una tendenza, una spinta, alle mie dimissioni se non avessi modificato le mie posizioni. A questo punto, se non ricordo male, manifestai la mia refrattarietà ad essere oggetto di campagne stampa tipo quella «Boffo». Ciò trovava riscontro in voci di Parlamento che mi sono permesso di segnalare al presidente». «Quando parlo di metodo Boffo - precisa poi Tremonti - mi riferisco alla propalazione sui mass-media di notizie riservate e/o infondate atte a screditare chi viene preso di mira. Non alludevo dunque, come voi mi chiedete, all'utilizzazione di notizie di carattere giudiziarie e riservate per fini strumentali. Con riferimento alla vostra indagine, ne ho appreso dell'esistenza solo dai giornali».



ALLA FINANZA - Capitolo Guardia di Finanza. Il ministro dell'Economia Giulio Tremonti disse al comandante generale della Guardia di Finanza «meno salotti, meno palazzi, consegne in caserme». Anche questa espressione è contenuta nel verbale di interrogatorio in qualità di persona informata dei fatti che Tremonti ha reso il 17 giugno scorso ai pm di Napoli Curcio e Woodcock nell'ambito dell'inchiesta sulla P4 e che è stato allegato all'indagine su tangenti in cui è coinvolto l'ex consulente di Tremonti, Marco Milanese.



LE CORDATE - I pm chiedono a Tremonti delle eventuale esistenza di cordate contrapposte all'interno della Guardia di Finanza. «A distanza di qualche tempo mi vado più sempre convincendo - risponde il ministro, nel verbale di interrogatorio come persona informata dei fatti di cui l'Ansa conosce il contenuto - del fatto che la rimozione dell'impedimento di legge a che gli alti ufficiali della Gdf potessero ricoprire l'incarico di comandante generale è stata, per un verso, positiva, perché al vertice del Corpo viene nominata persona che conosce le problematiche dello stesso e ha le necessarie competenze, ma ha portato anche conseguenze negative, nel senso che si sono creati meccanismi di competizione tra possibili candidati, meccanismi potenzialmente negativi».



INDIRIZZO - «Voglio essere chiaro - ha spiegato il ministro - gli alti ufficiali nella prospettiva di diventare comandanti generali hanno preso a coltivare relazioni esterne al Corpo che non trovo opportune: più esattamente c'è il rischio, la tendenza di eccesso di competizione». «Mi sono permesso nella mia qualità di ministro, qualche tempo dopo la nomina del primo comandante generale appartenente al Corpo, avendo verificato o avendo avuto voce di un certo attivismo relazionale di alcuni generali in servizio a Roma di suggerire al Comandante generale di dare alcune direttive nel senso di avere un tipo di vita più sobria. Gli dissi: «meno salotti, meno palazzi, consegne in caserma». «Ribadisco che nella mia funzione, anche memore di alcune polemiche passate, ho sempre evitato di avere rapporti diretti di tipo operativo con alti ufficiali della Gdf. Applicando correttamente la legge ho ritenuto giusto limitare la mia funzione a quella di indirizzo esercitando la stessa direttamente ed esclusivamente verso il comandante generale».



«MAI AVUTO DA LUI OROLOGI IN REGALO» - «Per quanto riguarda il dono di un orologio da parte di Milanese alla mia persona, escludo di aver mai ricevuto il dono in oggetto» dice il ministro dell'Economia Giulio Tremonti al pm di Napoli Vincenzo Piscitelli. Nell'interrogatorio, di una pagina, il ministro sottolinea che Milanese, in qualità di consigliere politico del ministero, «svolge un ruolo di raccordo con il Parlamento, essendo egli stesso parlamentare». Tremonti racconta inoltre di aver conosciuto Milanese «intorno al 2001, in occasione della sua applicazione quale aiutante di campo presso il ministero dell'Economia». E infine risponde ad una domanda degli inquirenti: «non c'è mai stata una collaborazione professionale del Milanese nello studio professionale di cui sono stato socio». (fonte Ansa)





08 luglio 2011 22:16