C’è quel bellissimo quadro di Pellizza da Volpedo che mi insegue praticamente da sempre, che basta guardarlo e subito capisci chi sei e da che parte starai nel corso della tua vita. Perché la politica è una cosa fatta prima di sentimenti e poi di idee.
La sinistra negli ultimi decenni si è scordata di quel quadro e di tutto il carico di cui si faceva portatore. Lo ha preso, lo ha appeso ai muri di una sezione o di una camera del lavoro ed è finita lì. È stato più semplice abbandonarsi ai riti e alle liturgie del passato; altri hanno sostituito quel popolo con altri “popoli”, con altri interessi, bastava dire «ceti emergenti» e ci si sentiva improvvisamente così moderni e spendibili per il futuro.
Andava a finire – esempio facile facile, ma purtroppo vero – che Roma nel 2008 votava così: i quartieri popolari e periferici con Alemanno e le zone ricche del centro con Rutelli. «Dalla parte degli ultimi» – la sinistra nacque apposta – si è lentamente trasformato in un buonista «dalla parte di tutti», e se stai dalla parte di tutti o stai mentendo o alla fine dovrai scegliere chi dovrà pagare cosa, e chi ha di più sarà sempre convincerti meglio.
La sinistra istituzionale negli ultimi venti anni ha fatto molto per andare al governo ma ha fatto pochissimo per non snaturarsi e per non accodarsi al pensiero unico dominante: mercato, mercato, mercato. La vita trasformata in moneta, i conti e l’economia sopra la politica, il lavoro da diritto a mera prestazione da trasformare in stipendio (e la sinistra ha saputo rispondere molto spesso con i cuscinetti assistenziali). La famosa egemonia culturale pensata da Gramsci è stata usata a proprio vantaggio da chi non poteva sopportare l’avanzamento di quel Quarto Stato che fino agli anni ’70 era riuscito a conquistare – conquistare è sinonimo di lotta e sacrifici – diritti impensabili fino a pochi decenni prima.
Davanti alla regressione politica e culturale, davanti all’arrendevolezza di una sinistra che nega ciò che dati economici alla mano risulta evidente – cioè una lenta e costante migrazione della ricchezza dal basso (sempre più basso) verso l’alto (sempre più alto), quella che Luciano Gallino chiama l’altra lotta di classe – occorre fare qualcosa. Occorre cambiare, o almeno provarci.
Per questo con convinzione ho firmato questo appello, che vi invito a leggere, commentare, far girare. Segue una linea di pensiero simile a quella del gruppo di Su la Testa! ma prova a dare uno sbocco strettamente elettorale a quelle idee in vista del 2013. Per cominciare a dire che c’è una via di mezzo tra la mannaia di mister fiscal compact e il vaffanculo planetario di Beppe Grillo. E che forse stavolta si potrà andare a votare senza ripeterci la solfa del meno-peggio.
di Matteo Pucciarelli, da Micromega
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