mercoledì 13 febbraio 2013

Un monarca nelle piazze



I partiti tradizionali sembrano rassegnati al quasi certo exploit elettorale di Beppe Grillo. Anzi, sembra che lavorino per lui. In un anno e passa di inattività, affidata a un governo tecnico la missione di far uscire l'Italia dai guai, non hanno nemmeno cominciato a ridurre sul serio i costi esorbitanti della politica, regalando fertile terreno all'antagonismo polemico del Movimento 5 Stelle. E ora, mentre fanno a gara per conquistare il Premio simpatia e affabilità in tv, lasciano a Grillo la fatica delle piazze, città per città, provincia per provincia, con un tour capillare simile a quello che lo ha già fatto trionfare in Sicilia, nella latitanza distratta degli altri leader nazionali. Perciò non potranno lamentarsi quando, a urne aperte, si scoprirà l'effettiva dimensione del consenso grillino e dovranno sperare, per il dopo, che Grillo commetta molti errori per permettere loro di tirare un po' il fiato.

Il primo errore che Grillo potrebbe commettere, ricambiando così il favore che i partiti gli stanno facendo con la loro inerzia e il loro immobilismo, è di pensare che un semplice umore, per quanto esacerbato, sia capace di durare nel tempo. Non tutte le proteste antisistema sono uguali. E se la Lega delle origini aveva un radicamento territoriale (il Nord), una base sociale (il «popolo delle partite Iva» e delle piccole e piccolissime imprese), una bandiera (il federalismo) per rivelarsi, come è accaduto, un fenomeno duraturo, il movimento di Grillo appare invece più volatile, legato a uno stato d'animo di esasperazione, all'invettiva, alla collera, al «vaffa» gridato ed esibito: una cosa potentissima, quando c'è, ma sfuggente, mutevole, infida. Che farà Grillo, per tenere insieme i suoi presumibili milioni di voti, il numero elevatissimo di parlamentari eletti, una rappresentanza istituzionale tutt'altro che marginale? Imporrà per cinque anni ai suoi di mandare senza tregua tutti a quel paese, di urlare il malcontento, di denunciare le malefatte dei partiti incapaci di autoriformarsi?

Certo, i seguaci di Grillo cavalcheranno in Parlamento la battaglia per la riduzione dei privilegi della politica. Ma saranno capaci di dire qualcosa, per fare degli esempi, sulle politiche del lavoro, sul sistema fiscale, sulle unioni civili, sulla scuola e l'università? Oggi Grillo dice ai suoi di avere una «visione». Basterà la «visione» per non vanificare un consenso che si profila tanto imponente? Grillo ha sin qui guidato in modo dispotico la sua creatura politica, selezionando le candidature con criteri assai discutibili, teorizzando e praticando la defenestrazione dei dissidenti. Potrà esercitare un potere assoluto sull'esercito dei neoparlamentari oppure la smetterà di avere paura di voci autonome, di contributi e contenuti non conformisti da parte dei suoi? È troppo chiedere oggi a Grillo un programma dettagliato (che pure c'è, consultabile su Internet, pasticciato e generico come tutti i programmi elettorali)? Certo, non è questo il carburante che sta spingendo la sua macchina, animata da spirito di protesta, di umori «anti» tutto, di insopportazione per le espressioni meno onorevoli della politica di questi decenni. Non è detto però che i suoi stessi elettori non vogliano chiedere a Grillo qualcosa di meno effimero di un corale «vaffa». Se non un impegno, almeno un'indicazione su come si comporteranno i parlamentari e sulle scelte da compiere. È «vecchia» politica anche questa?

di Pierluigi Battista, dal Corriere

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