Luciano Violante nel suo libro recente su Politica e menzogna (Einaudi 2013), dopo avere accompagnato il lettore attraverso un vasto panorama di come l’albero della menzogna non abbia mai smesso di dare frutti politici e di come nell’età dell’informazione sia più robusto che mai, svolge alcune considerazioni su come si possa difendere la democrazia, intesa come la forma politica più di ogni altra fondata sulla trasparenza della verità . E qui emerge la necessità di una opposizione. Non una qualunque: «Tutti gli studiosi dei sistemi politici – scrive Violante – ritengono che una opposizione credibile sia essenziale presupposto per la trasparenza del potere politico». L’opposizione è la parte che in un sistema democratico si prepara ad andare al governo nella legislatura seguente e intanto svolge un compito di controllo su chi sta governando. Dunque è essenziale che opposizione ci sia. Ma dov’è oggi l’opposizione in Italia? Il Pd, che aveva raccolto la maggioranza dei voti su un programma di alternativa, oggi sta governando: ma secondo il programma della forza politica contro cui aveva chiesto voti. Ne nasce un disorientamento e una sfiducia devastanti in mezzo a chi è interessato al cambiamento politico: parliamo dei circa 9 milioni di italiani per i quali il lavoro è un’entità fantomatica, inesistente o inafferrabile. La democrazia italiana era fondata sul lavoro: se il lavoro non c’è non c’è nemmeno la democrazia . Così le forme parlamentari diventano una imitazione della democrazia, un gioco teatrale. Il disordine è arrivato al punto che quello che fu il grande partito di opposizione oggi si astiene per lealtà verso il governo dalla presenza nelle piazze dove i lavoratori manifestano. C’è di che risuscitare la definizione di “cretinismo parlamentare”. Ma non è più tempo di rimpianti: oggi il problema della verità come unica via per tornare a una effettiva democrazia passa attraverso un appuntamento non più rinviabile. Dobbiamo sapere chi e perché ha fatto fallire la candidatura di ben tre uomini del centrosinistra a Presidente della Repubblica. E se questo potesse significare l’espulsione di chi ha puntato nel segreto dell’urna al fallimento di quelle candidature ben sapendo che così si consegnava la vittoria al populismo di destra, tanto meglio. Preoccupa il fatto che a questo chiarimento non si voglia arrivare e che si rinvii il più possibile l’appuntamento facendo di tutto per nascondere le divisioni nelle nebbie di quel gergo politico che, come scrive Violante, è una «lingua di legno».
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