sabato 28 settembre 2013

Gli ultimi regali di Pittella e De Filippo

Gli ultimi 10 mesi di delibere sono una storia lucana tutta da raccontare. Oltre che dalle primarie, giudichiamo gli uomini non dalle loro promesse ma dalle loro azioni, nel caso di governanti, dai loro atti.
È risaputo che in quanto ad open-data la Regione Basilicata è tra le ultime d’Italia, per questo consultare le delibere regionali non è prerogativa di molti, perché diritto disatteso. Bene, vi propongo un viaggio tra delibere e strategie nazionali, un grand-tour che dovrebbe rinfrancare, invece siamo in Basilicata.
La Cyber Security a Maratea. Partiamo dalla delibera regionale n. 1032 del 28 agosto 2013: Accordo di Programma Quadro per contratti di reindustrializzazione. Una somma importante, 91 meuro di provenienza MiSE, per finanziare la ripresa economica di siti dichiarati inattivi, in realtà alcuni falliti o abbandonati ( che è ben altro dire ), che dovrebbero creare oltre 600 posti di lavoro. Tra le iniziativa spicca su tutti il Centro Interdisciplinare per la Cyber Security, che stando alla descrizione dovrebbe essere un centro per la guerra elettronica posto, stupendo paradosso, in località Fiumicello – Maratea, in uno stabile di proprietà regionale: il tutto nella regione meno digitale d’Italia e dopo aver sottratto questi fondi allo scorrimento graduatorie per le PMI materane. Importo 10 meuro ( fondi CIPE ) per creare un nuovo parco scientifico plasmato sulle medesime direttive da Prima Repubblica che hanno riempito la Basilicata di “carrozzoni alchemici” ove il 10% della dotazione finanziaria andava in ricerca ed il resto in personale. A questo importo è doveroso aggiungere i 10 meuro stanziati in conto capitale per la ex-Mister-Day di Atella ed i 3,4 meuro per le acque di Viggianello o fonti Zoppas, perché stranamente gli imprenditori lucani non sono più in grado di imbottigliare l’acqua della terra natia.
Milioni su milioni. La delibera n. 890 del 16 luglio ci illustra la destinazione dei fondi del Piot/Metapontino-Basso Sinni ove il soggetto beneficiario è l’APT che riceve 30mila euro per la partecipazione alla “Borsa del Turismo Lucano – Scanzano Jonico” quindi in loco; ed altri 30mila euro per il Piano di Comunicazione di “Basilicata Coast to Coast” più specificatamente per l’acquisto dei diritti di distribuzione del film in Francia e per il lancio dello stesso a Parigi. La n.1035 del 28 agosto assegna ad acquedotto lucano ulteriori 7milioni di euro, per: costi energetici per manovre di sollevamento, potabilizzazioni e rendimento idrico delle sorgenti. L’anno 2012 non è stato particolarmente piovoso, le interruzioni del servizio idrico sono state multiple e senza preavvisi, la bolletta lucana non è la più bassa d’Italia ed è pagata solo da alcuni lucani, perché gli altri non pagano analogamente alla Puglia ed alla Calabria che non brillano per puntualità nei pagamenti, figuriamoci l’Eni. Poi ennesimo paradosso: l’ente pubblico, la Regione, storna ulteriori erogazioni economiche ad una sua società partecipata, l’AL, storno motivato dalla bolletta energetica di AL. Come è possibile, in Basilicata, l’El Dorado italiano: AL deve chiedere ulteriori 7 meuro pubblici per il sollevamento delle acque? Ma la Società Energetica Lucana a cosa serve se non ad abbattere questi costi? E a cosa servono il petrolio ed il gas lucano se oltre all’inquinamento ci fanno rimanere intatta la dipendenza energetica regionale? E qui ci agganciamo alla delibera n.453 del 30 aprile, ove troviamo la relazione del gruppo di lavoro chiamato a svolgere un bilancio sulle società partecipate della Regione Basilicata. Una relazione alquanto soft, dove i riflettori si accendono su AL ignorando il suo debito di 160 meuro, ma sottolineando la mancata disciplina del controllo analogo sull’ente, mancante nello statuto, analogamente ad Agrobios, ma obbligatoria per legge. Non aver stabilito il meccanismo del controllo analogo, vuol dire non regolamentare la funzione di controllo del detentore pubblico sulla società partecipata, in merito a: patrimonio, indirizzi attuativi, bilancio e qualità dei servizi erogati dalle partecipate mediante la stipulazione di apposite carte dei servizi. Una carenza che potrebbe comportare sanzioni da parte della UE. Quindi nulla di tutto ciò è regolato in Basilicata, e lo vediamo sia dalla mole del debito che dalla qualità del servizio, oltre al fatto che le ATO non svolgono ancora a pieno il loro compito.
Il parroco chiede, la Regione risponde. Uno sguardo ai beni culturali è doveroso, ed infatti  la delibera n.1083 del 10 settembre mi ha lasciato attonito esattamente come lo stato di eterna indisponibilità della Cattedrale di Tricarico. Una delibera che assegna previo preventivo sommario e senza alcun riferimento alla Diocesi competente, 65mila euro per lavori pubblici, investendo della responsabilità dei lavori il locale parroco. Una delibera fuori da ogni legge umana e divina perché piena di lacune ed omissioni, ove un parroco chiede 95mila euro alla regione per lavori strutturali ( come se la cattedrale fosse un immobile regionale ) e ne ottiene 65mila, senza alcun altro riscontro amministrativo. Non vi è alcun documento od istanza allegata: un atto che di amministrativo non ha nulla e che puzza di assegnazione diretta. Merita uno sguardo benevolo non da parte di Dio, ma da parte della Corte dei Conti.Proprio il 10 settembre sembra sia stata una data di magica assonanza pre-primarie, infatti la delibera n.1068 rimuove un vincolo di destinazione d’uso per una struttura turistica sita a San Severino Lucano, e che attendava, guarda caso da più di 10 anni, tale soluzione. Parliamo di fondi POP 1994/99, vera archeologia burocratica che trova compimento proprio in questo periodo. Sempre il 10 settembre con la delibera n.1064, dopo 4 anni di attesa rispetto alla legislazione nazionale, si elegge l’Organismo Indipendente di Valutazione, guarda caso l’organismo che dovrebbe valutare il lavoro dei dirigenti, si dei vari: Perri dell’APT che ha cambiato il turismo in Basilicata non solo col suo lavoro ma anche con la sua breve affacciata in politica, fatta ovviamente senza le preventive dimissioni da dirigente regionale; oppure il lavoro del d.g. Viggiano che dirige ed ha diretto il settore ambiente ove fino a pochi mesi fa operava anche la rispettiva consorte; oppure il lavoro dell’ing. Cerverizzo, d.g. delle infrastrutture, rinviato a giudizio contro il quale la Regione per cui lavora si è costituita parte civile. Ovvio che nella delibera suddetta non si accenna né al curriculum dei nominati né alla tipologia retributiva prevista dal contratto: speriamo solo che i controllori già arrivati in enorme ritardo, non siano della stessa pasta dei controllati.
I giovani? Restano eccellenze da slogan. Onestamente mi aspettavo qualcosa in più. Ingenuamente pensavo di trovare qualche delibera che rassicurasse i 680 giovani partecipanti del reddito ponte che oggi stanno “in mezzo alla via” e che aspettano la novella illusoria convocazione, oppure qualche azione politica che rasserenasse il futuro delle giovani eccellenze del progetto G.E.L.. Questi giovani lucani inclusi nei predetti programmi sono, agli occhi della giunta in carica ( non dimissionaria perché delibera ancora su importi e questioni fondamentali ) figli di nessuno perché non hanno goduto delle corsie preferenziali battute da quella decina di giovani medici lucani che nella figliopoli sanitaria lucana hanno ben dimostrato come la divisione in classi sia attuale e cogente più che mai. In Basilicata c’è chi aspetta il BUR per conoscere concorsi e bandi, mentre c’è chi ha la linea rossa diretta col privilegio, con la possibilità di sapere in anticipo la volontà del legislatore, o meglio del monarca.
Tanto poi ci sono le compensazioni della Total. Tuttavia anche chi non aspetta il BUR ma va puntualmente nella rete Intranet regionale, sottolinea da sempre strani rallentamenti nel portale prima della pubblicazione delle delibere importanti: analoghi ritardi si riscontrano per la stampa e l’invio del BUR. Per fortuna almeno le critiche del Prof. Ichino ci hanno fatto risparmiare l’umiliazione di indire nuovi tirocini formativi nella P.A. a ridosso delle scadenze elettorali, tuttavia se non gli stages la strumentalizzazione ha toccato il polo materano dell’Unibas che ha goduto di lavori e pubblicità prima delle politiche del 2013 per poi tornare ad essere un aborto visivo in bella mostra ad ogni turista in ingresso da Matera Sud. Mentre la Ghizzoni e la Politex navigano in acque oscure, l’ASI dorme sonni tranquilli perché 6 milioni di euro per salvare gli stipendi di un ente morto non mancano mai. Così l’Unibas che pur non attirando gli studenti lucani ha comunque la sicurezza di un piano pluridecennale degno di un politecnico internazionale, così mentre il patrimonio storico, artistico ed archeologico regionale muore, la delibera regionale n. 812 del 3 luglio c.a., garantisce 250mila euro per un’esposizione di acquerelli ed un book fotografico perché dietro ci sono le compensazioni della Total.
La Basilicata getta fiumi di denaro. Del resto la Basilicata, in materia di sprechi e corruzione, è regione pilota in Italia, una nazione  che ha un dato economico e culturale vergognoso: gli italiani hanno una ricchezza privata che è quadrupla rispetto all’importo del debito pubblico, quindi l’italiano rischia, ruba e spreca nel pubblico per arricchirsi. La Basilicata getta fiumi di denaro senza avere ancora né un piano territoriale né un piano del lavoro, continuando nella più cieca schizofrenia elettorale. La Basilicata, nonostante i Quadri Strategici Nazionali o i Piani Operativi Nazionali, non è cresciuta durante la pre-crisi dimostrando totale incapacità manageriale ( mentre i petrolieri hanno approntato infrastrutture ed indotto in poco più di una legislatura regionale ), ed oggi in piena crisi non riesce a reagire. Oggi apprendo delle dimissioni dell’Assessore alle Attività Produttive, peccato che siano arrivate tardi dopo una filiera di delibere fatte ad hoc per il Lagonegrese e per compari di filiera: indimenticabili sono i 500mila euro dati poco meno di un anno fa per il turismo religioso nel Lagonegrese ed oggi si aggiunge sia lo smacco perpetrato contro le imprese materane che la prebenda regionale distribuita ai comuni amministrati dal PD.
Abbiamo raggiunto il fondo. La gente reagirà quando neanche su questo fondo si riuscirà più a fare clientelismo, una debacle sociale degna di uno studio alla Putnam. La Basilicata è l’unica Regione d’Italia che fa avanzare seri dubbi sulla sostenibilità economica del Titolo V. Spero che oltre a Pittella arrivino le dimissioni di Martorano per aver lasciato i nefropatici senza fondi e liste d’attesa per visite specialistiche superiori all’anno. E dulcis in fundo gradirei le dimissioni della dott.ssa Minardi che ha affossato la capacità produttiva dei fondi europei le cui ricadute produttive sono occulte. Sarebbe bello avere un bilancio chiaro e definitivo sull’Autorità di Gestione Po-Fesr, perché a mio avviso non è stato raggiunto alcun obiettivo del Piano di Valutazione, tra l’altro mai aggiornato al 2013, ed i lucani non sanno esattamente quanti fondi sono stati impegnati, quanti spesi o bloccati in attesa di verifica, quanti ritorneranno indietro e quali obiettivi di sviluppo regionale sono stati raggiunti.  (Giorgio Santoriello) 

domenica 1 settembre 2013

I nuovi quattro comuni della Basilicata

È ormai palese che vi siano in Basilicata quattro enclavi del capitalismo internazionale: l’Itrec – Trisaia, il Centro Oli di Viggiano, il cantiere di Tempa Rossa e Tecnoparco. Questi comuni vivono al di fuori della legge, non perché non la rispettino, ma semplicemente perché ne hanno una propria, sovranazionale, sulla quale la nostra magistratura appare intorpidita. L’Itrec – Trisaia è ormai un sito permanente per lo stoccaggio di materiale  nucleare, al centro di diverse spy-stories, mi ricorda ogni volta l’immutabile accidia dei lucani, che hanno mangiato in tanti nel piatto ENEA e per questo accettano di convivere con l’incubo nucleare.

Il CNEN arrivò grazie alla bulimia accentratrice democristiana, nutrita d’affarismo ed opportunismo, oggi sopravvive grazie alla stessa filiera con cui è nato, per ricordarci che i periodi di decadimento delle radiazioni saranno sempre uguali o inferiori agli effetti della Prima Repubblica. Comunque sia tutti temono ed additano l’ENEA, nessuno reagisce seriamente ed il tavolo della trasparenza è in realtà la tavolata dell’indifferenza.



Poi abbiamo il distretto dell’oro nero, che ha tolto il doppio dei posti di lavoro che ha creato. A parte le famiglie Iula, Garramone e Criscuolo, che con i loro camion stanno consumando l’asfalto dalla Val d’Agri a Tecnoparco neanche fosse un pellegrinaggio, nessun'altra famiglia lucana ha avuto benefici diretti dal petrolio. In una terra assistenziale e clientelare, le compagnie petrolifere hanno ben studiato il contesto lucano, capendo semplicemente che in una terra povera di senso civico ed a bassa densità demografica, basta rilanciare poste più alte nel piatto per comprarti la gente, e così è. Le persone vedono i lori cari morire di tumore od ammalarsi eppure entrano nel centro oli a lavorare con la testa bassa, quasi fossero in un girone dantesco rassegnati a ricevere la loro pena. Di ciò che succede nel sottosuolo lucano non sappiamo niente, usano la nostra acqua, la nostra aria ed i nostri suoli e poi comprano il consenso locale adottando la tattica del “divide et impera” comprano il bisogno di 35 comuni lucani per separarli dagli altri 96, creando nuovi confini interni. Anche qui il gregge lucano continua a seguire il pastore sbagliato, ossia il denaro. Tempa Rossa prosegue ad un ritmo elvetico, infatti se la Salerno-Reggio Calabria fosse stata costruita così noi avremmo avuto già da 30 anni la strada migliore di tutto il sud-Italia. Hanno esautorato le istituzioni, la politica, i sindacati e la magistratura che sulle questione ambientali si gira dall’altra parte o stranamente arriva sempre in ritardo. Stiamo sotto lo schiaffo di ciò che era nato per far crescere l’Italia, l’ENI di Mattei, ed oggi la quota dei fondi d’investimento privati è al 30,98% del capitale sociale contro il 30,10% in mano allo Stato Italiano. Di fatto chi estrae in Basilicata non fa neanche gli interessi dell’Italia, ma di azionisti anglo-americani.

Dulcis in fundo il Comune di Tecnoparco. Amministrazione autonoma da quando staccatasi dalla frazione di Pisticci Scalo, ha ben pensato di svilupparsi fagocitando le vite dei lucani che vivono lì. Avete mai fatto un giro a Pisticci Scalo? Sembra un luogo fantasma alla periferia di Chelyabinsk, il decoro urbano abolito, case abbandonate e verde trascurato. Però c’è un qualcosa che sembra vivo, pulsante, mascherato dalla vegetazione e dal degrado, che cerca di nascondersi agli occhi esterni: è Tecnoparco, apparato digestivo dell’affaire petrolio lucano, ove ogni giorno, notte e festività incluse, giungono con una costanza funerea centinaia di cisterne che scaricano gli scarti dell’oro nero. Logica vorrebbe che lo scarto dell’oro sia prezioso a sua volta, ciò non vale per il petrolio, perché il suo scarto è inquinante, maleodorante e cancerogeno. Il Sindaco Di Trani ha recentemente affermato nel 2007 che su 150 decessi a Pisticci Scalo, almeno 50 sono stati tumorali, affermazione che in una regione normale, quindi non in Basilicata, avrebbe causato una reazione popolare forte. Tecnoparco è partecipata al 40% dal Consorzio Industriale – ASI, quindi dal pubblico, ma nonostante ciò nessuno sa esattamente numeri e caratteristiche dell’attività svolta all’interno di Tecnoparco, neanche fosse l’Area 51. Lascia allibiti come mentre a Pisticci paese si sogni attorno all’industria cinematografica, giù allo scalo vada in onda già un horror di successo, come dire: lontano dagli occhi, lontano dal cuore!

In Basilicata si sta attuando un disegno ben preciso, inciso sulla pelle del territorio: lo sfruttamento pieno di suolo e sottosuolo accompagnato dallo svuotamento demografico. La gente emigra, la densità abitativa diminuisce, il territorio da uso agricolo sta passando in massa all’uso industriale od energetico. Abbiamo un ingiustificabile assalto dell’eolico, il rinascere delle biomasse e degli inceneritori guarda caso in punti soggetti a forte spopolamento come recentemente accaduto per la centrale di Stigliano, e tutto questo per cosa? A chi serve tutta questa energia se la regione si spopolerà pesantemente anche quest’anno? Quali nuove iniziative industriali necessitano di forniture energetiche se l’unica iniziativa in  essere è solo quella estrattiva? L’energia lucana serve a Puglia e Campania, o anche a qualcun altro?. Rifiuti ed estrazioni/stoccaggio saranno il futuro ideale per una terra spopolata e povera di senso civico. Alcuni sindaci lucani, come quello di Anzi, hanno meritoriamente deliberato contro le attività estrattive nel loro comune dopo però chiedono posti di lavoro a Tempa Rossa per i loro cittadini; oppure altri hanno seri problemi sanitari dovuti alle attività industriali e non chiedono priorità per ambiente e salute ma compensazioni o royalties per curare il cadavere non il malato. Se non viviamo da fratelli moriremo da soli, come stolti, per questo in Basilicata tanti si lamentano ma nessuno reagisce, e cerca di svilupparsi a spese del vicino, perché il popolo lucano non esiste e la Basilicata è (era) solo un bella espressione geografica. Sta anche alle nuove generazioni reagire, a tutti quei giovani che qui non hanno prospettive perché il paese è stato prosciugato da ogni possibilità, e sono loro a non avere nulla da perdere, perché il clientelismo ha sempre meno da distribuire, e la crisi economica aumentando il bisogno del singolo aumenterà anche la consapevolezza delle fortissime discriminazioni sociali interne alla Basilicata. C’è bisogno di dignità perché la Basilicata è minacciata nelle sue fondamenta.

di Giorgio Santoriello

sabato 31 agosto 2013

Educare alla custodia è educare alla vita

Giornata del Creato, famiglia centrale
Educare alla custodia è educare alla vita
«Viviamo in un giardino affidato alle nostre mani», ricordarlo è difendere la vita stessa, è rendere grazie al Signore del creato. Un impegno che riguarda ogni uomo e che obbliga il credente a dare ragione della propria fede amando e custodendo ciò che gli è stato dato in consegna. Custodire piuttosto che salvaguardare, il passaggio non è da poco, parola nuova e antica scelta dai Vescovi nel messaggio per l’ottava giornata del creato: "La famiglia educa alla custodia del creato". Custodire più che salvaguardare, rimando alla pagina biblica dell’origine: l’universo e il mondo, l’uomo e le creature, tutte sono famiglia di Dio. Custode è l’uomo e, nella missione che gli è stata affidata, il suo ruolo non è di padrone.

Coltivare la terra, proteggerla, difenderla (cf. Gn 2,15) è dare spazio all’armonia del dialogo con i diversi vissuti, non solo è affondo di aratro e tenuta di briglie ma è dialogo intraumano. È permettere all’uomo, difendendo il suo ambiente vitale, di restare tale. Per questo da tempo il Magistero della Chiesa lega imprescindibilmente l’ecologia ambientale all’ecologia umana e tenta di far passare nella pastorale dell’annuncio, nella catechesi e nella formazione adulta della comunità cristiana che la salvezza del creato, la sua tutela, è questione non secondaria, ma di fede: credere in Dio è amarlo in ciò che ci dona. Tema che rende fecondo il dialogo ecumenico perché il punto di partenza di ogni dialogo è ciò che interessa l’uomo, il suo vissuto quotidiano, e diventa anche straordinario annuncio di Vangelo con nuovo linguaggio per parlare fuori dal tempio.

Papa Francesco, nell’ultima giornata dell’ambiente, affermava: «Custodire il creato è un’indicazione di Dio data non solo all’inizio della storia, ma a ciascuno di noi; è parte del suo progetto; vuol dire far crescere il mondo con responsabilità, trasformarlo perché sia un giardino… Noi, invece, siamo guidati dalla superbia del dominare, del possedere, del manipolare, dello sfruttare». La lotta per la bellezza, per conservare intatta l’opera di Dio, si è dimostrata titanica: l’uomo deve lottare perfino contro un perfido ingranaggio di autodistruzione messo in moto dagli egoismi più perniciosi. Lotta quotidiana che si aggiunge a quella che deve mettere in atto per la difesa del creato. I cieli e i mari ridotti a immondezzai: piogge acide, inquinamento atmosferico, rifiuti tossici aggrediscono ogni giorno il giardino di Dio. Gli animali della terra, compagni di viaggio dell’uomo, seviziati in ogni modo.

La bramosia di potere che ha creato le mille Babele dell’incomprensione ha ridotto il mondo in spazzatura. E come conseguenza di tutto questo i custodi sono diventati gli avidi soppressori delle cose che avrebbero dovuto custodire. E tra di loro si è organizzata un’aspra contesa di chi ha più diritti, di chi deve avere più spazi, di chi deve possederne più parti, di chi deve appropriarsi di più beni. La più bella delle creature, imbastardita dalla bruttezza dell’avidità, rischia di perdere i connotati dell’umanità che rimanda ai tratti del divino. Tuttavia, la speranza di salvare il mondo non è persa: lottare per un mondo diverso è possibile partendo dalla famiglia. Il dovere più cocente di ogni genitore è educare, è passare il testimone della propria storia, quello dei figli di rilanciarlo nel futuro. Educare alla custodia del creato è educare alla vita stessa. Percorso faticoso, ma esaltante, che vede insieme diverse generazioni a riscoprire la bellezza del creato nella gratuità come libertà in tempo di odiose schiavitù, la reciprocità che permette di sentirsi parte e disponibili all’incontro in tempo di contrapposizioni violente, riparazione dal male che si oppone a ogni fatalistica rassegnazione che il mondo non possa cambiare. La famiglia protagonista di rinnovata avventura, la famiglia, speranza e futuro per la società italiana, come ribadirà la 47ª Settimana Sociale dei cattolici italiani a Torino, la Chiesa, famiglia di famiglie, per ricordare al mondo che solo insieme possiamo rendere bella la nostra straordinaria casa.
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di Gennaro Matino, da Avvenire

sabato 3 agosto 2013

Cinquant'anni di fughe radioattive

Sono tempi difficili, questi!
Forse sono così complessi da rendere impossibile una corretta e compiuta informazione. Oppure è vero il contrario, mancando l'informazione diventa difficile esercitare la sovranità popolare e quando il gatto non c'è...
Stai a vedere che adesso il problema delle scorie nucleari depositate da cinquant'anni nel centro Itrec presso l'Enea di Rotondella (Mt) è causato dallo "scoop" di due giornalisti che, su una strada statale hanno visto e fotografato un convoglio di camionette, auto della Polizia, dei Carabinieri e della Guardia di Finanza mentre scortavano un autotreno con a bordo materiale radioattivo.
I cinquant'anni pregressi, le fughe radioattive, le centinaia di barili di terreno contaminato, i serbatoi decrepiti perché progettati per durare 20 anni (scaduti trent'anni fa) contenenti i residui corrosivi e radioattivi, le 64 barre di combustibile esausto raffreddate ad acqua prelevata dal mare e scaricata nel mare di Rotondella per ventiquattr'ore al giorno da oltre quarant'anni, sono tutte bazzecole.
Nessuno risponde di questo e nessuno pagherà per questo scempio.
Adesso, le frasi ignoranti del senatore Petrocelli e quelle subdole del Viceministro Bubbico, puntano il mirino sui giornalisti, rei di camminare sulla statale Jonica con gli occhi aperti, rei di aver detto ai lucani ed a qualche malcapitato pugliese che un carico nucleare passava davanti alle loro case senza che ne sapessero nulla. Senza che nemmeno i sindaci fossero stati avvisati.
E se quell'autotreno fosse caduto in una cunetta? E se si fosse incendiato? E se l'autista avesse avuto un colpo di sonno?
Nulla di tutto questo è accaduto, come chissà quanti autobus irregolarmente revisionati circolano per le strade senza finire in una scarpata causando 38 morti. E questo giustifica la leggerezza con cui il Ministero dell'Interno ha operato? Questo giustifica il rischio di 300 agenti delle Forze dell'Ordine che sarebbero corsi a soccorrere un eventuale incidente lasciandoci le penne?
Quello che due giornalisti hanno visto passare per la pubblica strada ed hanno raccontato, potrebbe, nientemeno, indurre gli "americani" a non riprendersi il materiale nucleare che hanno prodotto e trasportato nell'Itrec; l'ha detto il viceministro Filippo Bubbico. Ha messo un carico da cento sulla testa dei due giornalisti. Quello che per cinquant'anni non ha saputo fare la politica e lui stesso, che per almeno venti è stato figura apicale in Basilicata, adesso non si potrà fare a causa di due giornalisti che hanno raccontato un irresponsabile "trasporto".
Cosa vuole, Bubbico, aizzare gente esasperata contro due onesti giornalisti? Cosa cerca Petrocelli, il riscatto per non essere stato lui (che è pagato per servire il popolo) l'artefice della denuncia pubblica?
Abbiamo raccontato il trasporto pochi minuti dopo che si era concluso, quando cioè si trattava di un fatto e non di voci o supposizioni. Noi giornalisti, caro cittadino senatore, raccontiamo i fatti e non le chiacchiere, nemmeno quelle di chi pretende di possedere una "morale superiore".
Ed i fatti, per essere raccontati, necessitano di accadere.
I nostri parlamentari, i parlamentari lucani (cittadini e non), hanno fatto solo chiacchiere. Le chiamano interrogazioni parlamentari, ma sono solo parole al vento. Tant'è che ricevono in risposta altre chiacchiere.
Andiamoci dentro all'Itrec.
Andiamo a vedere con i nostri occhi di parlamentari e di giornalisti.
Metteteci anche voi il culo in questa sporca vicenda, come abbiamo fatto noi la notte del trasporto; mentre voi, come tanti ignari cittadini, dormivate.
Alla domanda fondamentale dovete rispondere voi parlamentari e non altri. Voi parlamentari Lucani:"qual è lo stato dei serbatoi di poltiglia radioattiva (residuo del riprocessamento delle barre di combustibile)?"
Delle tante domande che pure meritano risposta, questa ci sembra la più attuale ed urgente. L'abbiamo posta nel 2007, ripetuta in questi giorni e non ci accontenteremo di risposte "per sentito dire". Vogliamo vedere con i nostri occhi.
Perché, cari parlamentari, i nostri cari, i nostri figli e la nostra gente di queste amenità potrebbe morire!
Propongo che tutti i parlamentari lucani, lunedì 5 agosto con tutti i giornalisti lucani, si rechino ai cancelli del centro Itrec per visitare i serbatoi di cui innanzi.
Attendo adesioni con una sola avvertenza: chi non sarà presente, deve smettere di rompere i coglioni!
Viva la Lucania
Viva l'Italia

di Nicola Piccenna

venerdì 2 agosto 2013

Con papa Francesco anche la politica torna all’essenziale

Con papa Francesco anche la politica torna all’essenziale. O, meglio, a ristabilire sani rapporti tra mondo cattolico e potere istituzionale. A cominciare dalla Chiesa che dovrà essere più profetica, povera e vicina ai poveri, piuttosto che diplomatica e timorosa di dar fastidio ai potenti.Papa Francesco ha chiesto ai vescovi d’essere meno burocrati e più pastori, di stare in mezzo alla gente e avere addosso l’odore delle pecore, per testimoniare la misericordia di Dio più che la bontà degli accordi politici. Così da non essere più una stampella a sostegno di governi che hanno devastato l’etica pubblica, corroso le coscienze e spaccato il mondo cattolico. 

Non assisteremo più - per lo meno si spera – a competizione estenuanti tra vertici ecclesiali per aggiudicarsi il rapporto diretto con le istituzioni italiane, quasi fosse una questione di primaria e vitale importanza per la missione della Chiesa.Con papa Francesco finisce il tempo dell’ingerenza diretta nella politica, che deve tornare a essere il terreno proprio dei fedeli laici, adulti e maturi nella fede, fedeli al Vangelo e alla dottrina sociale della Chiesa. Non è più tempo di supplenza e di protagonismo politico nel tessere sotterranee trame e intese, che alla lunga si rivelano un vero boomerang a scapito dell’annuncio del Vangelo. 

Già papa Woytjla, nel convegno ecclesiale di Palermo nel 1995, affermava con chiarezza: “La Chiesa non deve e non intende coinvolgersi con alcuna scelta di schieramento politico o di partito, come del resto non esprime preferenza per l’una o l’altra soluzione istituzionale o costituzionale, che sia rispettosa dell’autentica democrazia”. Spetta, quindi, al laicato cattolico affrancarsi da tutele che, in questi anni, l’hanno tenuto in stato di inferiorità e immaturità, e assumersi la responsabilità diretta dell’impegno politico, in vista del bene comune, testimoniando i valori evangelici in una società pluralista, secolarizzata e multietnica. E trovare, nel dialogo con tutti, il più ampio consenso democratico per una convivenza più civile, giusta e solidale. 

Alla Chiesa, invece, spetta il giudizio morale su modelli sociali che non hanno a fondamento la dignità della persona e l’uguaglianza di tutti gli esseri umani, al di là del colore della pelle e della provenienza. Con più coraggio e profezia. Il suo compito è al di sopra delle parti, è sul piano dei valori e del pre-politico. Soprattutto è suo compito specifico la formazione delle coscienze. 

Dopo il fallimento dell’assise di Todi e per contrastare la loro crescente insignificanza, i cattolici sono chiamati a ritrovare una nuova via che li renda protagonisti e non più gregari mal sopportati in ogni schieramento. L’Italia ha estremo bisogno di un progetto lungimirante per il futuro dei giovani e delle famiglie, che si fondi su solide basi etiche, prima che il Paese si sbricioli del tutto. Purtroppo, vent’anni di contiguità con il berlusconismo hanno intaccato il primato morale della Chiesa e minato la credibilità del mondo cattolico. Per fortuna, ora riscattate e rilanciate da papa Francesco, nel nome del Vangelo e non della politica.
Di Don Antonio Sciortino, da Famiglia Cristiana

Semi di finocchio: 10 straordinari benefici per la salute

Semi di finocchio: 10 straordinari benefici per la salute

I semi di finocchio (Foeniculum vulgare) sono considerati una spezia da utilizzare in cucina per arricchire di sapore i nostri piatti e come ingredienti nella preparazione casalinga di pane, crackers e grissini. Sono ottimi anche per guarnire i pretzel. Il loro sapore è piuttosto dolce e ricorda quello dell'anice. A scopo curativo vengonoutilizzati soprattutto per la preparazione di tisane adatte a ridurre i gonfiori e a stimolare la diuresi. Quali sono i benefici per la salute dei semi di finocchio? Ecco i principali.

1) Prevenzione del cancro

Gli antiossidanti presenti nei semi di finocchio possono contribuire a ridurre il rischio di cancro associato con i danni provocati dai radicali liberi alle cellule e al Dna. Inoltre sono considerati un alleato per la prevenzione del cancro al colon, in quanto essi contribuiscono, insieme alle fibre vegetali, alla rimozione delle tossine dall'intestino, preservandone la salute.

2) Proprietà antinfiammatorie

Gli antiossidanti presenti nei semi di finocchio non sono soltanto utili nella prevenzione del cancro, ma vengono ritenuti salutari per l'organismo per via delle loro proprietà antinfiammatorie. Il loro impiego potrebbe essere utile nel trattamento di disturbi come l'artrite e il morbo di Crohn, due malattie autoimmuni, sebbene siano necessarie ulteriori ricerche scientifiche per poterne dare conferma.

3) Contenuto di fibre

I semi di finocchio sono ricchi di fibre. Le fibre sono presenti unicamente negli alimenti vegetali e sono assenti nei cibi di origine animale. L'esempio più lampante in proposito è la carne. Le fibre sono fondamentali per favorire il transito degli alimenti di cui ci nutriamo lungo l'intestino e per permettere l'eliminazione delle tossine. Le fibre, in generale, sono utili per migliorano la digestione. 100 grammi di semi di finocchio contengono il 150% della dose giornaliera raccomandata di fibre.

4) Colesterolo

L'accumulo di colesterolo nelle arterie e l'aumento della sua produzione da parte del fegato è una delle principali cause di patologie come ictus, infarto e ipertensione. Il colesterolo può essere tenuto sotto controllo grazie ad un'alimentazione ricca di cibi vegetali e quindi di fibre.Le fibre contenute nei semi di finocchio riducono le possibilità di accumulo del colesterolo sulle pareti delle arterie e prevengono così le patologie cardio-circolatorie.

5) Pressione alta

Esiste un sale minerale fondamentale nella regolazione della pressione sanguigna. Si tratta del potassio, una sostanza presente in numerosi alimenti vegetali, compresi i semi di finocchio. Il potassio contribuisce a mantenere stabile la pressione sanguigna e, di conseguenza, a regolare il battito cardiaco. 100 grammi di semi di finocchio contengono 1694 milligrammi di potassio.


6) Proprietà diuretiche

I semi di finocchio presentano proprietà diuretiche e drenanti. Per questo motivo vengono utilizzate per la preparazione di tisane che possono favorire la diuresi, oltre che attenuare i gonfiori addominali. La tisana viene preparata sotto forma di infuso, lasciando riposare in 200 millilitri d'acqua bollente per 10 minuti 1 cucchiaino di semi di finocchio, per poi filtrare e bere senza dolcificare.

7) Proprietà antiossidanti

I semi di finocchio sono ricchi di flavonoidi. Si tratta di un gruppo di antiossidanti ritenuto in grado di ridurre lo stress ossidativo dell'apparato cardio-circolatorio e di proteggere l'organismo dai danni neurologici. I flavonoidi contribuiscono inoltre a prevenire l'invecchiamento precoce, contrastando i radicali liberi.

 Digestione

I semi di finocchio contribuiscono a migliorare la digestione. Le proprietà digestive di questi piccoli semi sono note ormai da secoli e vengono sfruttate dalle medicine popolari soprattutto per la preparazione di tisane e di decotti da bere a fine pasto per rendere la digestione meno lunga e pesante. Le tisane di finocchio sono di solito considerate adatte come rimedio naturale digestivo anche per i bambini.

9) Fonte di calcio

I semi di finocchio sono una ricca fonte di calcio, da tenere in considerazione anche se se ne consumano piccole quantità. Il calcio è presente in numerosi alimenti vegetali, compresa la frutta secca, come le mandorle, le verdure a foglia verde, come gli spinaci, e i semi, con particolare riferimento al sesamo. 100 grammi di semi di finocchio contengono il 120% della dose giornaliera raccomandata di calcio, ne contengono infatti 1196 milligrammi.


10) Globuli rossi

La produzione di globuli rossi da parte del nostro organismo viene favorita dai cibi che introduciamo attraverso l'alimentazione. I semi di finocchio presentano un elevato contenuto di rame, un minerale fondamentale per la formazione delle cellule del sangue, con particolare riferimento ai globuli rossi. 100 grammi di semi di finocchio contengono 1067 milligrammi di rame.

di Marta Albè, fonte:

http://www.greenme.it/mangiare/alimentazione-a-salute/11038-semi-finocchio-benefici

giovedì 1 agosto 2013

Dieci consigli per capire le menzogne che ci dicono

Noam Chomsky, padre della creatività del linguaggio, definito dal New York Times “il più grande intellettuale vivente”, spiega attraverso dieci regole come sia possibile mistificare la realtà.
La necessaria premessa è che i più grandi mezzi di comunicazione sono nelle mani dei grandi potentati economico-finanziari, interessati a filtrare solo determinati messaggi.
1) La strategia della distrazione, fondamentale, per le grandi lobby di potere, al fine di mantenere l’attenzione del pubblico concentrata su argomenti poco importanti, così da portare il comune cittadino ad interessarsi a fatti in realtà insignificanti. Per esempio, l’esasperata concentrazione su alcuni fatti di cronaca (Bruno Vespa é un maestro).
2) Il principio del problema-soluzione-problema: si inventa a tavolino un problema, per causare una certa reazione da parte del pubblico, con lo scopo che sia questo il mandante delle misure che si desiderano far accettare. Un esempio? Mettere in ansia la popolazione dando risalto all’esistenza di epidemie, come la febbre aviaria creando ingiustificato allarmismo, con l’obiettivo di vendere farmaci che altrimenti resterebbero inutilizzati.
3) La strategia della gradualità. Per far accettare una misura inaccettabile, basta applicarla gradualmente, a contagocce, per anni consecutivi. E’ in questo modo che condizioni socio-economiche radicalmente nuove (neoliberismo) furono imposte durante i decenni degli anni 80 e 90: stato minimo, privatizzazioni, precarietà, flessibilità, disoccupazione in massa, salari che non garantivano più redditi dignitosi, tanti cambiamenti che avrebbero provocato una rivoluzione se fossero stati applicati in una sola volta.
4) La strategia del differimento. Un altro modo per far accettare una decisione impopolare è quella di presentarla come “dolorosa e necessaria”, ottenendo l’accettazione pubblica, al momento, per un’applicazione futura. Parlare continuamente dello spread per far accettare le “necessarie” misure di austerità come se non esistesse una politica economica diversa.
5) Rivolgersi al pubblico come se si parlasse ad un bambino. Più si cerca di ingannare lo spettatore, più si tende ad usare un tono infantile. Per esempio, diversi programmi delle trasmissioni generaliste. Il motivo? Se qualcuno si rivolge ad una persona come se avesse 12 anni, in base alla suggestionabilità, lei tenderà ad una risposta probabilmente sprovvista di senso critico, come un bambino di 12 anni appunto.
6) Puntare sull’aspetto emotivo molto più che sulla riflessione. L’emozione, infatti, spesso manda in tilt la parte razionale dell’individuo, rendendolo più facilmente influenzabile.
7) Mantenere il pubblico nell’ignoranza e nella mediocrità. Pochi, per esempio, conoscono cosa sia il gruppo di Bilderberg e la Commissione Trilaterale. E molti continueranno ad ignorarlo, a meno che non si rivolgano direttamente ad Internet.
8) Imporre modelli di comportamento. Controllare individui omologati é molto più facile che gestire individui pensanti. I modelli imposti dalla pubblicità sono funzionali a questo progetto.
9) L’autocolpevolizzazione. Si tende, in pratica, a far credere all’individuo che egli stesso sia l’unica causa dei propri insuccessi e della propria disgrazia. Così invece di suscitare la ribellione contro un sistema economico che l’ha ridotto ai margini, l’individuo si sottostima, si svaluta e addirittura, si autoflagella. I giovani, per esempio, che non trovano lavoro sono stati definiti di volta in volta, “sfigati”, choosy”, bamboccioni”. In pratica, é colpa loro se non trovano lavoro, non del sistema.
10) I media puntano a conoscere gli individui (mediante sondaggi, studi comportamentali, operazioni di feed back scientificamente programmate senza che l’utente-lettore-spettatore ne sappia nulla) più di quanto essi stessi si conoscano, e questo significa che, nella maggior parte dei casi, il sistema esercita un gran potere sul pubblico, maggiore di quello che lo stesso cittadino esercita su sé stesso.
Si tratta di un decalogo molto utile. Io suggerirei di tenerlo bene a mente, soprattutto in periodi difficili come questi.


Leggi il resto: http://www.linkiesta.it/blogs/cavoletti-di-bruxelles/noam-chomsky-e-il-decalogo-sulla-mistificazione-della-realta#ixzz2aiNRNDqG

mercoledì 24 luglio 2013

di Simonetta Fiori, da Micromega
«Perché mi applaudono nelle piazze e nei teatri? In questi anni ho continuato a parlare di eguaglianza, lavoro, solidarietà, dignità. Sì, ho detto delle cose di sinistra, che nel grande silenzio della politica ufficiale hanno provocato un investimento simbolico inaspettato. Una reazione che naturalmente lusinga, ma mi crea anche qualche imbarazzo». Il nuovo papa della sinistra «altra» — quella dei diritti, dei beni comuni, della Costituzione e della rete — ci riceve in una stanzetta della Fondazione Basso, a pochi passi dai palazzi della politica che ha sempre frequentato da irregolare. Ottant’anni compiuti di recente, giurista insigne con esperienza internazionale, Stefano Rodotà ha una biografia che racconta un pezzo importante di sinistra eterodossa. Una storia lunga che dice moltissimo sull’oggi, sulle partite vinte e su quelle perdute. 

In molti, anche tra i suoi antichi compagni di battaglia, sostengono che la distinzione tra destra e sinistra non ha più senso. «È una vecchia storia, che risale ai tempi di Laboratorio politico, la rivista che nei primi anni Ottanta facevamo con Tronti, Asor Rosa e Cacciari. Non ero d’accordo allora, e oggi mi arrabbio ancora di più. Cosa vuol dire che non c’è più distinzione? Vuol dire che dobbiamo essere i fautori della pacificazione? La distinzione esiste, ed è marcata: sia sul piano storico che su quello teorico. Chi non la vuole vedere mi suscita una profonda diffidenza politica». 

Proviamo a indicare qualche punto essenziale di distinzione. 
«Un principio inaccettabile per la sinistra è la riduzione della persona a homo oeconomicus, che si accompagna all’idea di mercato naturalizzato: è il mercato che vota, decide, governa le nostre vite. Ne discende lo svuotamento di alcuni diritti fondamentali come istruzione e salute, i quali non possono essere vincolati alle risorse economiche. Allora occorre tornare alle parole della triade rivoluzionaria, eguaglianza, libertà e fraternità, che noi traduciamo in solidarietà: e questa non ha a che fare con i buoni sentimenti ma con una pratica sociale che favorisce i legami tra le persone. Non si tratta di ferri vecchi di una cultura politica defunta, ma di bussole imprescindibili. Alle quali aggiungerei un’altra parola-chiave fondamentale che è dignità». 

Una parola molto presente nella tradizione cattolica. «In parte viene da lì. E qui ho dovuto rivedere alcuni miei giudizi giovanili insofferenti al personalismo cattolico, che lasciò una forte traccia sulla Costituzione. Ma la dignità è anche legata al tema del lavoro. C’è un passaggio essenziale della Carta, l’articolo 36, che stabilisce che la retribuzione deve garantire al lavoratore e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa. La nostra Costituzione, insieme a quella tedesca, rappresentò l’unica vera novità del costituzionalismo del dopoguerra. Noi con il lavoro, i tedeschi con l’inviolabilità della dignità umana, principio reso necessario dai crimini del nazismo». 

Le uniche due novità provenivano dai paesi sconfitti? «Sì, Italia e Germania avvertivano più degli altri il bisogno di uscire da un mondo tragico per rifondarne uno radicalmente diverso ». 

In fase costituente, il giurista Costantino Mortati tentò di introdurre una distinzione tra diritti civili e diritti sociali, tra quelli che non hanno un costo e quelli vincolati alle risorse dello Stato, quindi garantendo a priori i primi e impegnando lo Stato a trovare le risorse per i secondi, ma senza assicurarne il pieno godimento. Poi prevarrà un’altra interpretazione, che include i diversi diritti in un’unica categoria. Interpretazione che alcuni oggi vorrebbero rivedere. «Due obiezioni essenziali. Primo: il ritenere questi diritti indivisibili non è un principio sovversivo, ma viene sancito anche dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Secondo: esso vale come vincolo nella ripartizione delle risorse. Dire che l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro mi costringe a tenerne conto quando distribuisco le voci di bilancio. Lo so che la salute costa, ma quando l’articolo 32 mi dice che è un diritto fondamentale, la politica non può prescinderne. E venendo alla formazione, se la scuola pubblica è un obbligo per lo Stato, finché io non ne ho soddisfatto tutti i bisogni, alla scuola privata non do niente. Troppo brutale?». 

No, molto chiaro. «È evidente che il welfare va rivisto sulla base delle risorse, ma chi agita la bandiera dei “diritti che costano” mi sembra voglia liberarsi dell’ingombrante necessità di discutere di politiche redistributive. Spesso sono gli stessi che dicono che non c’è distinzione tra destra e sinistra». 

Lei cominciò nelle file radicali. «No, in realtà esordii nell’Unione goliardica italiana, che era il movimento giovanile universitario. Lì è cominciata la mia storiella da cane sciolto. Lettore del Mondo ma insofferente alle chiusure anticomuniste di Pannunzio. Compagno di viaggio dei radicali, ma allergico all’autoritarismo di Pannella. Poi molto vicino al Psi guidato da De Martino, ma pronto a litigare con un arrogantissimo Craxi divenuto vicesegretario. Infine nella Sinistra Indipendente, che però era irregolare di suo. Non sono mai stato intrinseco a nessun partito. L’unico mio punto fermo sono stati i diritti». 

La «storiella da cane sciolto» ha a che fare con la mancata elezione a presidente ella Repubblica? «Forse sì, ed è per questo che non ci ho mai creduto. A un certo punto ho avvertito la necessità di metterci la faccia per impedire quello che poi è successo: le larghe intese e la pacificazione nazionale». 

L’hanno accusata da sinistra di aver dato una sponda ai grillini. «Semplicemente puerile. Era stato Bersani a cercare per primo l’intesa con loro, e allora mi apparve la cosa giusta». 

Ma i Cinquestelle sono di sinistra? «Non è facile rispondere. Dentro il movimento ho trovato dei contenuti che si possono riferire a una cultura di sinistra: diritti, ambiente, beni comuni. Ma quando s’è trattato di dare uno sbocco parlamentare a queste idee è arrivato l’alt di Grillo». 

Che è tra quelli che dicono che non c’è distinzione tra destra e sinistra. «Appunto. Non è di sinistra. Ma ha saputo intercettare un desiderio di cambiamento diffuso nella società civile. L’ha interpretato sul piano della protesta, però non ha saputo dargli una traduzione politica, con l’effetto di sterilizzarlo ». 

Perché il Pd non l’ha sostenuta nelle elezioni presidenziali? «È un partito dall’identità debole, gli è parso troppo arrischiato affidarsi a una personalità fuori dalle righe. Sì, capisco che la scelta di fare una trattativa con i grillini avrebbe richiesto un po’ di azzardo. Ma il cambiamento richiede coraggio. E la sinistra è cambiamento». 

Nessun risentimento? «No, il mio giudizio è esclusivamente politico: hanno sbagliato nel rinunciare alla strada del cambiamento. E hanno sbagliato nel silurare Prodi. Quando seppi che Romano era il nuovo candidato del Pd, feci subito una dichiarazione pubblica in cui mi dicevo pronto al passo indietro. Sul treno per Reggio Emilia mi chiamò lui dal Mali. “Come mi dispiace Stefano, noi così amici e ora contrapposti”. Quando gli dissi del mio passo indietro, lui mi ringraziò per avergli tolto un peso». 

Che effetto le fa essere acclamato in piazza come il nuovo papa rosso? «Sono un po’ imbarazzato, e non so come uscirne. Naturalmente sono grato a tutte queste persone. Però il problema della sinistra non può stare sulle mie spalle. Dalle manifestazioni sulle leggi-bavaglio a quelle delle donne, dalle piazze studentesche al referendum sull’acqua, esiste un’altra sinistra che la politica istituzionale si ostina a non vedere. Intorno a questo mondo è possibile costruire».

sabato 20 luglio 2013

I CATTOLICI IN POLITICA: PRESENTI OVUNQUE, IRRILEVANTI DAPPERTUTTO

Le recenti polemiche sul silenzio dei cattolici, soprattutto quelli di destra, dopo le critiche dell’onorevole Cicchitto a papa Francesco sul viaggio a Lampedusa, hanno evidenziato ancor più la sudditanza e l’irrilevanza dei cattolici nelle vicende italiane, il loro scarsissimo coraggio e l’infinita distanza che li separa dalla dottrina sociale della Chiesa. In questi ultimi decenni siamo passati dalla democristiana “balena bianca” a un indistinto “bianco pesciolino” in via di estinzione. I cattolici, ovunque schierati, sono diventati l’appendice di altre formazioni politiche. O, peggio, una loro stampella, se non addirittura la “foglia di fico” a coprire vergognosi provvedimenti xenofobi, attacchi alle istituzioni dello Stato, leggi ad personam e comportamenti immorali, mossi più da ragioni di potere legate a Machiavelli che ispirati al Vangelo. Nonostante alcuni abbiamo conquistato o “implorato” una poltrona ministeriale (vedi Virginio Rotondi, ex “ministro del nulla”), i politici cattolici sono tuttora afoni e insignificanti in entrambi i poli: poco considerati a destra e mal sopportati a sinistra. Comunque, non più protagonisti, ma gregari e portatori d’acqua. E anche servili verso un leader populista con una concezione padronale e aziendale della democrazia e delle istituzioni. 

In più occasioni, non hanno mostrato neanche un briciolo di orgoglio e dignità personale, come quando hanno difeso la doppia morale di Berlusconi o votato per Ruby nipote di Mubarak. Così hanno contribuito a scrivere una delle più squallide pagine del Parlamento italiano. Da Todi in poi, nell’autunno di due anni fa, i cattolici erano tornati a incontrarsi e dibattere, accendendo la speranza di un loro significativo “rientro” nella politica italiana, sempre più eticamente degradata e distante dagli interessi della gente e dal bene comune. Ma si sono subito smarriti, tra divisioni, incomprensioni e protagonismi personali e di gruppo. Un fuoco di paglia di brevissima durata, una grande occasione mancata.  Il bipolarismo ha reso i cattolici non solo poco incisivi nella vita del Paese, ma li ha spaccati in due fronti contrapposti: quelli che difendono la vita e quelli che difendono la solidarietà, come se i valori fossero tra loro inconciliabili. Mai una volta che i cattolici schierati a destra abbiano alzato la voce a difesa dei valori sociali e della solidarietà. E lo stesso a sinistra sui temi della bioetica. 

L’unità dei cattolici va ritrovata sui “contenuti” prima ancora che sul “contenitore”, senza abdicare alla propria identità cristiana per una poltrona o un “piatto di lenticchie”. E senza assoggettare il Vangelo alla disciplina di partito e agli ordini di scuderia. Se in questi anni i politici cattolici avessero ispirato i loro comportamenti alla dottrina sociale della Chiesa  con lo stesso zelo con cui hanno diffuso il “verbo berlusconiano”, oggi l’Italia sarebbe senz’altro migliore, più solidale e con più equità sociale. Anche l’ultima infornata di cattolici in politica, come Andrea Olivero ex presidente Acli, Mario Marazziti ex portavoce di Sant’Egidio,Ernesto Preziosi ex vice direttore nazionale dell’Azione cattolica sono già sulla strada dell’insignificanza politica totale. Per non dire del ministro Mario Mauro che eccelle solo per eccesso di zelo nella difesa dei cacciabombardieri F-35 e per aver “armato la pace”. Al Paese manca un grande progetto unitario dei cattolici italiani.  

di Antonio Sciortino, da Famiglia Cristiana

martedì 16 luglio 2013

Antiossidanti naturali: 10 cibi contro i radicali liberi e l’invecchiamento

Antiossidanti naturali: 10 cibi contro i radicali liberi e l’invecchiamento

Sentiamo parlare spesso degli antiossidanti. Che cosa sono? Si tratta di sostanze presenti in numerosi alimenti, che aiutano l’organismo a contrastare i radicali liberi, a prevenire l’invecchiamento e a mantenere i tessuti sani.
 Gli antiossidanti, con particolare riferimento a polifenoli e flavonoidi, proteggono la salute degli occhi e la vista, migliorano la circolazione e favoriscono il benessere del cuore e dei vasi sanguigni. Ecco alcuni degli alimenti più ricchi di antiossidanti.

1) KIWI

Il kiwi è tra i frutti più ricchi di antiossidanti. Il suo primato è dato dall’elevata presenza di polifenoli, che sono in grado di proteggerci dall’invecchiamento e dalle malattie degenerative, tra le quali troviamo il Parkinson e l’Alzheimer. E’ il kiwi di qualità gold a contenere un tasso maggiore di polifenoli rispetto al kiwi comune, di colore verde. Approfittiamo dei benefici di questo frutto quando è di stagione: da novembre a giugno.
2) TÈ VERDE
Il tè verde è un vero e proprio concentrato naturale di antiossidanti, tra i quali troviamo polifenoli, bioflavonoidi e tannini. Può essere gustato sia in inverno che in estate, in versione casalinga. Un consumo regolare di tè verde può apportare numerosi benefici al nostro organismo: rimineralizza e tonifica ossa, pelle e capelli, rafforza il sistema immunitario, facilita la digestione e riduce l’assorbimento degli zuccheri.
3) MELOGRANO
Il melograno presenta una concentrazione di antiossidanti molto elevata, superiore anche al tè verde. Tra gli antiossidanti contenuti nel melograno troviamo i flavonoidi, che proteggono il cuore e le arterie e che presentano proprietà antinfiammatorie e gastroprotettive. Grazie all’acido ellagico, il melograno ci aiuta a contrastare i radicali liberi.
4) MIRTILLI, FRUTTI ROSSI E E BACCHE DI ACAI
I mirtilli presentano spiccate proprietà antiossidanti. Il contenuto di sostanze benefiche è superiore nei mirtilli selvatici, che sono ritenuti migliori rispetto ai mirtilli coltivati in serra dal punto di vista nutrizionale. Il potere antiossidante dei mirtilli è dovuto al loro contenuto di flavonoidi, che ci aiutano a prevenire malattie metaboliche, degenerative e cardiovascolari. Inoltre, ci proteggono dal cancro. Sono ricchi di antiossidanti tutti i frutti di bosco e i frutti rossi, comprese fragole eciliegie. Tra i frutti ricchi di antiossidanti simili ai mirtilli troviamo le bacche di Acai, considerate benefiche per le loro proprietà antinfiammatorie e anticancro.

5) GRAVIOLA

La graviola è un frutto tropicale dalla polpa molto morbida a cui vengono attribuite importantiproprietà anticancro, soprattutto dal punto di vista della prevenzione. I benefici della graviola nel contrastare i tumori sono dovuti alla sua ricchezza di antiossidanti. Alcuni di essi rappresentano infatti delle sostanze citotossiche in grado di contrastare le cellule tumorali. La graviola, inoltre, ha proprietà antibatteriche e favorisce la digestione.
6) Avocado
L’avocado è ricco di vitamina A e di vitamina E, sostanze antiossidanti che aiutano il nostro organismo a liberarsi dai radicali liberi, ritardando l’invecchiamento dei tessuti. L’olio estratto da questo frutto presenta uno spiccato contenuto di antiossidanti. Studi recenti hanno indicato l’olio d’avocado come un vero e proprio toccasana per la salute, in grado di contrastare i danni del tempo in mood naturale. I suoi pigmenti potrebbero rappresentare una nuova frontiera nella cura delle malattie degenerative.
7) CAROTE
La presenza di vitamina C e di beta-carotene rende le carote degli ortaggi particolarmente ricchi di antiossidanti. Secondo studi recenti, mangiare carote allunga la vita. Gli scienziato hanno scoperto che elevati livelli di carotene presenti nel sangue sono inversamente associati al rischio di morte prematura, con particolare riferimento alle malattie cardiovascolari e ai tumori. In generale, mangiare frutta e verdura fresca aiuta a mantenersi in salute e a prevenire la morte prematura.
8) POMODORI
I pomodori sono famosi per la loro ricchezza di licopene, un potente antiossidante. Proprio grazie al licopene, sono ritenuti un alimento benefico per proteggere il nostro organismo dall’ictus. Una percentuale elevata di licopene nel sangue è in grado di prevenire le malattie cardiovascolari. Mangiare pomodori è inoltre utile per contrastare il colesterolo e la pressione alta. Il contenutodi licopene dei pomodori è pari a 11 mg/100 g nella polpa ed a 54 mg/100 g nella buccia. La concentrazione di antiossidanti è stata valutata come superiore nei pomodori biologici.
9) CACAO E CIOCCOLATO
Il potere antiossidante del cioccolato è garantito dalla presenza di cacao, un alimento ricco di flavonoidi. Il cioccolato migliore è quello con il più elevato contenuto di cacao e con la minore presenza di zuccheri raffinati. Ci riferiamo soprattutto al cioccolato amaro extra-fondente. Il cacao migliore proviene da agricoltura biologica ed è coltivato secondo criteri etici. Il cacao, con i suoi antiossidanti naturali, garantisce il buon umore e regola colesterolo e pressione sanguigna.
10) GOJI
Le bacche di goji si distinguono per il loro elevato contenuto di antiossidanti naturali, che le rendono un aiuto prezioso nel contrastare i radicali liberi, con un effetto benefico sia per i tessuti dell’organismo che nella prevenzione delle malattie tumorali legate alla pelle. Secondo gli studi più recenti, le bacche di goji sono in grado di rallentare il moltiplicarsi delle cellule tumorali. Hanno inoltre proprietà antinfiammatorie e sono utili per proteggere la vista.
fonte: Greenme.it

lunedì 15 luglio 2013

La Rivoluzione dei diritti

Vi È un filo robusto che unisce alcune vicende di questi giorni  -  il discorso all'Onu della giovane pakistana Malala e il Datagate, le parole di Papa Francesco a Lampedusa e le decisioni in materia economica di corti costituzionali di diversi Paesi. In tutti questi casi vi è un visibile conflitto tra diritti e poteri globali: il diritto all'istruzione contrapposto al potere del terrore; il diritto alla privacy di fronte al potere di chi vuole esercitare un controllo planetario sulle persone senza limiti e senza frontiere; il diritto dei migranti contro il potere escludente degli Stati; il diritto di ciascuno a non essere ridotto ad oggetto contro il potere del mercato.

Si è venuta accreditando, in questi anni, una lettura del mondo che lo vede sempre più dominato da poteri incontrollabili, perché la dimensione globale sfugge alla possibilità di regolazione degli Stati e perché l'unica legge sarebbe ormai solo quella del mercato, legge "naturale" di fronte alla quale ogni altra regola diviene priva di forza e di senso. Davvero un mondo ad una sola dimensione, unificato dalle pretese di una superpotenza o affidato a soggetti nuovi, come Facebook, ormai terza "nazione" del pianeta con il suo miliardo di "abitanti". Ma le vicende ricordate prima ci dicono che non è così, che di fronte ai nuovi padroni del mondo, ai nuovi sovrani globali, si manifesta con intensità crescente la forza regolatrice dei diritti, che può restituire alla politica il ruolo che le è stato sequestrato dal riduzionismo economico.

Lo sfondo, peraltro, è quello delle molte e difficili "primavere", delle proteste diffuse che inducono più d'uno a parlare dell'avvio di una "rivoluzione globale" proprio intorno alle rivendicazioni di diritti.
Nelle parole ferme ed eloquenti di Malala si deve cogliere proprio questo spirito. Non vi è soltanto il rifiuto del terrorismo, l'orgogliosa rivendicazione del "non mi piegheranno". Vi è una indicazione politica precisa: il diritto all'istruzione è l'arma più potente, e per ciò più temuta, nella lotta al terrorismo. Sì che la strategia militare, l'unica effettivamente praticata con enorme dispendio di risorse economiche, non può mai essere sufficiente. Vi è un dovere degli Stati di intervenire perché il diritto all'istruzione sia effettivo e garantito a tutti: quelli che insistono sulla necessità di accompagnare al discorso dei diritti quello dei doveri, dovrebbero cimentarsi con temi come questo, e non usare l'insistenza sui doveri come strumento per svuotare di significato soprattutto i diritti sociali.

La riflessione sulla lotta al terrorismo al di là della pura logica militare o poliziesca incontra la questione del Datagate. La reazione ad una schedatura planetaria ad opera degli Stati Uniti ha rimesso in onore un diritto, quello alla privacy, alla protezione dei dati personali, di cui si era certificata la morte proprio per legittimare qualsiasi raccolta di informazioni personali, riducendo le persone al ruolo di fornitori obbligati di dati ritenuti necessari per il funzionamento del mercato e di meccanismi totalizzanti di controllo. Di nuovo la rivendicazione planetaria di un diritto, di cui siamo tornati a scoprire la funzione di tutela di libertà fondamentali.

Al fondo di queste due vicende si scopre l'assoluta mancanza di rispetto per i diritti di tutti e di ciascuno, sempre sacrificabili per una ragion di Stato o di mercato. Si è radicata quella indifferenza peraltro denunciata a Lampedusa dal Pontefice, con accenti che toccano in primo luogo e giustamente i migranti, ma che davvero riguardano tutti. La costruzione intorno ai migranti di un nuovo modo d'intendere i diritti è davvero questione ineludibile, per la qualità e quantità del fenomeno, globale per definizione e dal quale dipende l'assetto futuro del mondo. È una "politica dell'umanità" che deve essere avviata, indispensabile perché ciascuno di noi possa uscire da una condizione che ci ha fatto prigionieri dell'egoismo, che ha interrotto i legami sociali, che ci consegna una società frammentata nella quale, come ha scritto Luigi Zoja, facciamo i conti con "la morte del prossimo".

Nel suo ultimo romanzo, Aldo Busi ha descritto con parole dirette questa condizione: "C'erano una volta gli altri e poi improvvisamente scomparvero dalla faccia della terra e io non fui pertanto più un altro per nessuno". Alla scomparsa delle persone, sostituite da astratti simulacri modellati sulle esigenze del consumo o del controllo, si reagisce proprio rivendicando la materialità dell'essere e dei bisogni, e misurando su questi i diritti di ciascuno. Ritorna imperioso il bisogno di pronunciare la parola più negletta della triade rivoluzionaria, "fraternità", ricordando che l'articolo 2 della nostra Costituzione parla di "doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale". Non a caso si invoca oggi una "solidarietà globale" come orizzonte della politica. Così la rivendicazione dei diritti, che qualcuno vuol leggere come estrema frontiera dell'individualizzazione, si immerge invece nel contesto sociale, trova le sue radici in una "rivoluzione della dignità" che non è solo quella del singolo, ma la "dignità sociale" alla quale si riferisce l'articolo 3 della Costituzione. Forse possono tornare tempi propizi per quello che Eligio Resta ha chiamato un "diritto fraterno".

Queste non sono dichiarazioni di buoni propositi o sentimenti, ma linee direttive lungo le quali si muovono concretissimi interventi a tutela della persona e dei suoi diritti. Se, per fare un solo esempio, si considerano le molte sentenze con le quali diverse corti hanno affrontato il conflitto tra il diritto fondamentale alla salute e il potere di Big Pharma, delle grandi multinazionali farmaceutiche, si coglie una tendenza a far prevalere le ragioni della salute su quelle del profitto con caratteristiche davvero globali, visto che si va dalle corti costituzionali di Sudafrica e India alla Corte di Giustizia dell'Unione europea, alla Corte Suprema degli Stati Uniti. Quest'ultima, il 13 giugno, ha pronunciato una sentenza che pone limiti alla brevettabilità del genoma, con diverse specificazioni, ma sostanzialmente accogliendo le sollecitazioni di chi voleva infrangere il monopolio di una società, Myriad Genetics, per quanto riguardava i test riguardanti il cancro al seno. E, in più di una decisione, la prevalenza accordata ai diritti fondamentali è strettamente collegata con la considerazione come beni comuni dei mezzi direttamente necessari per la loro attuazione.

Nel mondo globale, dunque, si sprigiona oggi una forza dei diritti che si manifesta nei luoghi più vari e ad opera di una molteplicità di soggetti. Si affiancano, e talora si sostengono reciprocamente, movimenti popolari e interventi delle corti, iniziative legislative e azioni di gruppi sociali organizzati. Qui la politica deve fare le sue prove, pena la sua crescente marginalizzazione. Dobbiamo ricordarlo oggi, perché si avvicinano le elezioni europee e la delegittimazione dell'Unione, dovuta alla sua totale identificazione con la logica dei "sacrifici", può essere arrestata solo se si ricorda che esiste un ordine europeo nel quale, con lo stesso valore giuridico dei trattati, esiste una Carta dei diritti fondamentali.
Fonte : Repubblica