mercoledì 24 luglio 2013

di Simonetta Fiori, da Micromega
«Perché mi applaudono nelle piazze e nei teatri? In questi anni ho continuato a parlare di eguaglianza, lavoro, solidarietà, dignità. Sì, ho detto delle cose di sinistra, che nel grande silenzio della politica ufficiale hanno provocato un investimento simbolico inaspettato. Una reazione che naturalmente lusinga, ma mi crea anche qualche imbarazzo». Il nuovo papa della sinistra «altra» — quella dei diritti, dei beni comuni, della Costituzione e della rete — ci riceve in una stanzetta della Fondazione Basso, a pochi passi dai palazzi della politica che ha sempre frequentato da irregolare. Ottant’anni compiuti di recente, giurista insigne con esperienza internazionale, Stefano Rodotà ha una biografia che racconta un pezzo importante di sinistra eterodossa. Una storia lunga che dice moltissimo sull’oggi, sulle partite vinte e su quelle perdute. 

In molti, anche tra i suoi antichi compagni di battaglia, sostengono che la distinzione tra destra e sinistra non ha più senso. «È una vecchia storia, che risale ai tempi di Laboratorio politico, la rivista che nei primi anni Ottanta facevamo con Tronti, Asor Rosa e Cacciari. Non ero d’accordo allora, e oggi mi arrabbio ancora di più. Cosa vuol dire che non c’è più distinzione? Vuol dire che dobbiamo essere i fautori della pacificazione? La distinzione esiste, ed è marcata: sia sul piano storico che su quello teorico. Chi non la vuole vedere mi suscita una profonda diffidenza politica». 

Proviamo a indicare qualche punto essenziale di distinzione. 
«Un principio inaccettabile per la sinistra è la riduzione della persona a homo oeconomicus, che si accompagna all’idea di mercato naturalizzato: è il mercato che vota, decide, governa le nostre vite. Ne discende lo svuotamento di alcuni diritti fondamentali come istruzione e salute, i quali non possono essere vincolati alle risorse economiche. Allora occorre tornare alle parole della triade rivoluzionaria, eguaglianza, libertà e fraternità, che noi traduciamo in solidarietà: e questa non ha a che fare con i buoni sentimenti ma con una pratica sociale che favorisce i legami tra le persone. Non si tratta di ferri vecchi di una cultura politica defunta, ma di bussole imprescindibili. Alle quali aggiungerei un’altra parola-chiave fondamentale che è dignità». 

Una parola molto presente nella tradizione cattolica. «In parte viene da lì. E qui ho dovuto rivedere alcuni miei giudizi giovanili insofferenti al personalismo cattolico, che lasciò una forte traccia sulla Costituzione. Ma la dignità è anche legata al tema del lavoro. C’è un passaggio essenziale della Carta, l’articolo 36, che stabilisce che la retribuzione deve garantire al lavoratore e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa. La nostra Costituzione, insieme a quella tedesca, rappresentò l’unica vera novità del costituzionalismo del dopoguerra. Noi con il lavoro, i tedeschi con l’inviolabilità della dignità umana, principio reso necessario dai crimini del nazismo». 

Le uniche due novità provenivano dai paesi sconfitti? «Sì, Italia e Germania avvertivano più degli altri il bisogno di uscire da un mondo tragico per rifondarne uno radicalmente diverso ». 

In fase costituente, il giurista Costantino Mortati tentò di introdurre una distinzione tra diritti civili e diritti sociali, tra quelli che non hanno un costo e quelli vincolati alle risorse dello Stato, quindi garantendo a priori i primi e impegnando lo Stato a trovare le risorse per i secondi, ma senza assicurarne il pieno godimento. Poi prevarrà un’altra interpretazione, che include i diversi diritti in un’unica categoria. Interpretazione che alcuni oggi vorrebbero rivedere. «Due obiezioni essenziali. Primo: il ritenere questi diritti indivisibili non è un principio sovversivo, ma viene sancito anche dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Secondo: esso vale come vincolo nella ripartizione delle risorse. Dire che l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro mi costringe a tenerne conto quando distribuisco le voci di bilancio. Lo so che la salute costa, ma quando l’articolo 32 mi dice che è un diritto fondamentale, la politica non può prescinderne. E venendo alla formazione, se la scuola pubblica è un obbligo per lo Stato, finché io non ne ho soddisfatto tutti i bisogni, alla scuola privata non do niente. Troppo brutale?». 

No, molto chiaro. «È evidente che il welfare va rivisto sulla base delle risorse, ma chi agita la bandiera dei “diritti che costano” mi sembra voglia liberarsi dell’ingombrante necessità di discutere di politiche redistributive. Spesso sono gli stessi che dicono che non c’è distinzione tra destra e sinistra». 

Lei cominciò nelle file radicali. «No, in realtà esordii nell’Unione goliardica italiana, che era il movimento giovanile universitario. Lì è cominciata la mia storiella da cane sciolto. Lettore del Mondo ma insofferente alle chiusure anticomuniste di Pannunzio. Compagno di viaggio dei radicali, ma allergico all’autoritarismo di Pannella. Poi molto vicino al Psi guidato da De Martino, ma pronto a litigare con un arrogantissimo Craxi divenuto vicesegretario. Infine nella Sinistra Indipendente, che però era irregolare di suo. Non sono mai stato intrinseco a nessun partito. L’unico mio punto fermo sono stati i diritti». 

La «storiella da cane sciolto» ha a che fare con la mancata elezione a presidente ella Repubblica? «Forse sì, ed è per questo che non ci ho mai creduto. A un certo punto ho avvertito la necessità di metterci la faccia per impedire quello che poi è successo: le larghe intese e la pacificazione nazionale». 

L’hanno accusata da sinistra di aver dato una sponda ai grillini. «Semplicemente puerile. Era stato Bersani a cercare per primo l’intesa con loro, e allora mi apparve la cosa giusta». 

Ma i Cinquestelle sono di sinistra? «Non è facile rispondere. Dentro il movimento ho trovato dei contenuti che si possono riferire a una cultura di sinistra: diritti, ambiente, beni comuni. Ma quando s’è trattato di dare uno sbocco parlamentare a queste idee è arrivato l’alt di Grillo». 

Che è tra quelli che dicono che non c’è distinzione tra destra e sinistra. «Appunto. Non è di sinistra. Ma ha saputo intercettare un desiderio di cambiamento diffuso nella società civile. L’ha interpretato sul piano della protesta, però non ha saputo dargli una traduzione politica, con l’effetto di sterilizzarlo ». 

Perché il Pd non l’ha sostenuta nelle elezioni presidenziali? «È un partito dall’identità debole, gli è parso troppo arrischiato affidarsi a una personalità fuori dalle righe. Sì, capisco che la scelta di fare una trattativa con i grillini avrebbe richiesto un po’ di azzardo. Ma il cambiamento richiede coraggio. E la sinistra è cambiamento». 

Nessun risentimento? «No, il mio giudizio è esclusivamente politico: hanno sbagliato nel rinunciare alla strada del cambiamento. E hanno sbagliato nel silurare Prodi. Quando seppi che Romano era il nuovo candidato del Pd, feci subito una dichiarazione pubblica in cui mi dicevo pronto al passo indietro. Sul treno per Reggio Emilia mi chiamò lui dal Mali. “Come mi dispiace Stefano, noi così amici e ora contrapposti”. Quando gli dissi del mio passo indietro, lui mi ringraziò per avergli tolto un peso». 

Che effetto le fa essere acclamato in piazza come il nuovo papa rosso? «Sono un po’ imbarazzato, e non so come uscirne. Naturalmente sono grato a tutte queste persone. Però il problema della sinistra non può stare sulle mie spalle. Dalle manifestazioni sulle leggi-bavaglio a quelle delle donne, dalle piazze studentesche al referendum sull’acqua, esiste un’altra sinistra che la politica istituzionale si ostina a non vedere. Intorno a questo mondo è possibile costruire».

sabato 20 luglio 2013

I CATTOLICI IN POLITICA: PRESENTI OVUNQUE, IRRILEVANTI DAPPERTUTTO

Le recenti polemiche sul silenzio dei cattolici, soprattutto quelli di destra, dopo le critiche dell’onorevole Cicchitto a papa Francesco sul viaggio a Lampedusa, hanno evidenziato ancor più la sudditanza e l’irrilevanza dei cattolici nelle vicende italiane, il loro scarsissimo coraggio e l’infinita distanza che li separa dalla dottrina sociale della Chiesa. In questi ultimi decenni siamo passati dalla democristiana “balena bianca” a un indistinto “bianco pesciolino” in via di estinzione. I cattolici, ovunque schierati, sono diventati l’appendice di altre formazioni politiche. O, peggio, una loro stampella, se non addirittura la “foglia di fico” a coprire vergognosi provvedimenti xenofobi, attacchi alle istituzioni dello Stato, leggi ad personam e comportamenti immorali, mossi più da ragioni di potere legate a Machiavelli che ispirati al Vangelo. Nonostante alcuni abbiamo conquistato o “implorato” una poltrona ministeriale (vedi Virginio Rotondi, ex “ministro del nulla”), i politici cattolici sono tuttora afoni e insignificanti in entrambi i poli: poco considerati a destra e mal sopportati a sinistra. Comunque, non più protagonisti, ma gregari e portatori d’acqua. E anche servili verso un leader populista con una concezione padronale e aziendale della democrazia e delle istituzioni. 

In più occasioni, non hanno mostrato neanche un briciolo di orgoglio e dignità personale, come quando hanno difeso la doppia morale di Berlusconi o votato per Ruby nipote di Mubarak. Così hanno contribuito a scrivere una delle più squallide pagine del Parlamento italiano. Da Todi in poi, nell’autunno di due anni fa, i cattolici erano tornati a incontrarsi e dibattere, accendendo la speranza di un loro significativo “rientro” nella politica italiana, sempre più eticamente degradata e distante dagli interessi della gente e dal bene comune. Ma si sono subito smarriti, tra divisioni, incomprensioni e protagonismi personali e di gruppo. Un fuoco di paglia di brevissima durata, una grande occasione mancata.  Il bipolarismo ha reso i cattolici non solo poco incisivi nella vita del Paese, ma li ha spaccati in due fronti contrapposti: quelli che difendono la vita e quelli che difendono la solidarietà, come se i valori fossero tra loro inconciliabili. Mai una volta che i cattolici schierati a destra abbiano alzato la voce a difesa dei valori sociali e della solidarietà. E lo stesso a sinistra sui temi della bioetica. 

L’unità dei cattolici va ritrovata sui “contenuti” prima ancora che sul “contenitore”, senza abdicare alla propria identità cristiana per una poltrona o un “piatto di lenticchie”. E senza assoggettare il Vangelo alla disciplina di partito e agli ordini di scuderia. Se in questi anni i politici cattolici avessero ispirato i loro comportamenti alla dottrina sociale della Chiesa  con lo stesso zelo con cui hanno diffuso il “verbo berlusconiano”, oggi l’Italia sarebbe senz’altro migliore, più solidale e con più equità sociale. Anche l’ultima infornata di cattolici in politica, come Andrea Olivero ex presidente Acli, Mario Marazziti ex portavoce di Sant’Egidio,Ernesto Preziosi ex vice direttore nazionale dell’Azione cattolica sono già sulla strada dell’insignificanza politica totale. Per non dire del ministro Mario Mauro che eccelle solo per eccesso di zelo nella difesa dei cacciabombardieri F-35 e per aver “armato la pace”. Al Paese manca un grande progetto unitario dei cattolici italiani.  

di Antonio Sciortino, da Famiglia Cristiana

martedì 16 luglio 2013

Antiossidanti naturali: 10 cibi contro i radicali liberi e l’invecchiamento

Antiossidanti naturali: 10 cibi contro i radicali liberi e l’invecchiamento

Sentiamo parlare spesso degli antiossidanti. Che cosa sono? Si tratta di sostanze presenti in numerosi alimenti, che aiutano l’organismo a contrastare i radicali liberi, a prevenire l’invecchiamento e a mantenere i tessuti sani.
 Gli antiossidanti, con particolare riferimento a polifenoli e flavonoidi, proteggono la salute degli occhi e la vista, migliorano la circolazione e favoriscono il benessere del cuore e dei vasi sanguigni. Ecco alcuni degli alimenti più ricchi di antiossidanti.

1) KIWI

Il kiwi è tra i frutti più ricchi di antiossidanti. Il suo primato è dato dall’elevata presenza di polifenoli, che sono in grado di proteggerci dall’invecchiamento e dalle malattie degenerative, tra le quali troviamo il Parkinson e l’Alzheimer. E’ il kiwi di qualità gold a contenere un tasso maggiore di polifenoli rispetto al kiwi comune, di colore verde. Approfittiamo dei benefici di questo frutto quando è di stagione: da novembre a giugno.
2) TÈ VERDE
Il tè verde è un vero e proprio concentrato naturale di antiossidanti, tra i quali troviamo polifenoli, bioflavonoidi e tannini. Può essere gustato sia in inverno che in estate, in versione casalinga. Un consumo regolare di tè verde può apportare numerosi benefici al nostro organismo: rimineralizza e tonifica ossa, pelle e capelli, rafforza il sistema immunitario, facilita la digestione e riduce l’assorbimento degli zuccheri.
3) MELOGRANO
Il melograno presenta una concentrazione di antiossidanti molto elevata, superiore anche al tè verde. Tra gli antiossidanti contenuti nel melograno troviamo i flavonoidi, che proteggono il cuore e le arterie e che presentano proprietà antinfiammatorie e gastroprotettive. Grazie all’acido ellagico, il melograno ci aiuta a contrastare i radicali liberi.
4) MIRTILLI, FRUTTI ROSSI E E BACCHE DI ACAI
I mirtilli presentano spiccate proprietà antiossidanti. Il contenuto di sostanze benefiche è superiore nei mirtilli selvatici, che sono ritenuti migliori rispetto ai mirtilli coltivati in serra dal punto di vista nutrizionale. Il potere antiossidante dei mirtilli è dovuto al loro contenuto di flavonoidi, che ci aiutano a prevenire malattie metaboliche, degenerative e cardiovascolari. Inoltre, ci proteggono dal cancro. Sono ricchi di antiossidanti tutti i frutti di bosco e i frutti rossi, comprese fragole eciliegie. Tra i frutti ricchi di antiossidanti simili ai mirtilli troviamo le bacche di Acai, considerate benefiche per le loro proprietà antinfiammatorie e anticancro.

5) GRAVIOLA

La graviola è un frutto tropicale dalla polpa molto morbida a cui vengono attribuite importantiproprietà anticancro, soprattutto dal punto di vista della prevenzione. I benefici della graviola nel contrastare i tumori sono dovuti alla sua ricchezza di antiossidanti. Alcuni di essi rappresentano infatti delle sostanze citotossiche in grado di contrastare le cellule tumorali. La graviola, inoltre, ha proprietà antibatteriche e favorisce la digestione.
6) Avocado
L’avocado è ricco di vitamina A e di vitamina E, sostanze antiossidanti che aiutano il nostro organismo a liberarsi dai radicali liberi, ritardando l’invecchiamento dei tessuti. L’olio estratto da questo frutto presenta uno spiccato contenuto di antiossidanti. Studi recenti hanno indicato l’olio d’avocado come un vero e proprio toccasana per la salute, in grado di contrastare i danni del tempo in mood naturale. I suoi pigmenti potrebbero rappresentare una nuova frontiera nella cura delle malattie degenerative.
7) CAROTE
La presenza di vitamina C e di beta-carotene rende le carote degli ortaggi particolarmente ricchi di antiossidanti. Secondo studi recenti, mangiare carote allunga la vita. Gli scienziato hanno scoperto che elevati livelli di carotene presenti nel sangue sono inversamente associati al rischio di morte prematura, con particolare riferimento alle malattie cardiovascolari e ai tumori. In generale, mangiare frutta e verdura fresca aiuta a mantenersi in salute e a prevenire la morte prematura.
8) POMODORI
I pomodori sono famosi per la loro ricchezza di licopene, un potente antiossidante. Proprio grazie al licopene, sono ritenuti un alimento benefico per proteggere il nostro organismo dall’ictus. Una percentuale elevata di licopene nel sangue è in grado di prevenire le malattie cardiovascolari. Mangiare pomodori è inoltre utile per contrastare il colesterolo e la pressione alta. Il contenutodi licopene dei pomodori è pari a 11 mg/100 g nella polpa ed a 54 mg/100 g nella buccia. La concentrazione di antiossidanti è stata valutata come superiore nei pomodori biologici.
9) CACAO E CIOCCOLATO
Il potere antiossidante del cioccolato è garantito dalla presenza di cacao, un alimento ricco di flavonoidi. Il cioccolato migliore è quello con il più elevato contenuto di cacao e con la minore presenza di zuccheri raffinati. Ci riferiamo soprattutto al cioccolato amaro extra-fondente. Il cacao migliore proviene da agricoltura biologica ed è coltivato secondo criteri etici. Il cacao, con i suoi antiossidanti naturali, garantisce il buon umore e regola colesterolo e pressione sanguigna.
10) GOJI
Le bacche di goji si distinguono per il loro elevato contenuto di antiossidanti naturali, che le rendono un aiuto prezioso nel contrastare i radicali liberi, con un effetto benefico sia per i tessuti dell’organismo che nella prevenzione delle malattie tumorali legate alla pelle. Secondo gli studi più recenti, le bacche di goji sono in grado di rallentare il moltiplicarsi delle cellule tumorali. Hanno inoltre proprietà antinfiammatorie e sono utili per proteggere la vista.
fonte: Greenme.it

lunedì 15 luglio 2013

La Rivoluzione dei diritti

Vi È un filo robusto che unisce alcune vicende di questi giorni  -  il discorso all'Onu della giovane pakistana Malala e il Datagate, le parole di Papa Francesco a Lampedusa e le decisioni in materia economica di corti costituzionali di diversi Paesi. In tutti questi casi vi è un visibile conflitto tra diritti e poteri globali: il diritto all'istruzione contrapposto al potere del terrore; il diritto alla privacy di fronte al potere di chi vuole esercitare un controllo planetario sulle persone senza limiti e senza frontiere; il diritto dei migranti contro il potere escludente degli Stati; il diritto di ciascuno a non essere ridotto ad oggetto contro il potere del mercato.

Si è venuta accreditando, in questi anni, una lettura del mondo che lo vede sempre più dominato da poteri incontrollabili, perché la dimensione globale sfugge alla possibilità di regolazione degli Stati e perché l'unica legge sarebbe ormai solo quella del mercato, legge "naturale" di fronte alla quale ogni altra regola diviene priva di forza e di senso. Davvero un mondo ad una sola dimensione, unificato dalle pretese di una superpotenza o affidato a soggetti nuovi, come Facebook, ormai terza "nazione" del pianeta con il suo miliardo di "abitanti". Ma le vicende ricordate prima ci dicono che non è così, che di fronte ai nuovi padroni del mondo, ai nuovi sovrani globali, si manifesta con intensità crescente la forza regolatrice dei diritti, che può restituire alla politica il ruolo che le è stato sequestrato dal riduzionismo economico.

Lo sfondo, peraltro, è quello delle molte e difficili "primavere", delle proteste diffuse che inducono più d'uno a parlare dell'avvio di una "rivoluzione globale" proprio intorno alle rivendicazioni di diritti.
Nelle parole ferme ed eloquenti di Malala si deve cogliere proprio questo spirito. Non vi è soltanto il rifiuto del terrorismo, l'orgogliosa rivendicazione del "non mi piegheranno". Vi è una indicazione politica precisa: il diritto all'istruzione è l'arma più potente, e per ciò più temuta, nella lotta al terrorismo. Sì che la strategia militare, l'unica effettivamente praticata con enorme dispendio di risorse economiche, non può mai essere sufficiente. Vi è un dovere degli Stati di intervenire perché il diritto all'istruzione sia effettivo e garantito a tutti: quelli che insistono sulla necessità di accompagnare al discorso dei diritti quello dei doveri, dovrebbero cimentarsi con temi come questo, e non usare l'insistenza sui doveri come strumento per svuotare di significato soprattutto i diritti sociali.

La riflessione sulla lotta al terrorismo al di là della pura logica militare o poliziesca incontra la questione del Datagate. La reazione ad una schedatura planetaria ad opera degli Stati Uniti ha rimesso in onore un diritto, quello alla privacy, alla protezione dei dati personali, di cui si era certificata la morte proprio per legittimare qualsiasi raccolta di informazioni personali, riducendo le persone al ruolo di fornitori obbligati di dati ritenuti necessari per il funzionamento del mercato e di meccanismi totalizzanti di controllo. Di nuovo la rivendicazione planetaria di un diritto, di cui siamo tornati a scoprire la funzione di tutela di libertà fondamentali.

Al fondo di queste due vicende si scopre l'assoluta mancanza di rispetto per i diritti di tutti e di ciascuno, sempre sacrificabili per una ragion di Stato o di mercato. Si è radicata quella indifferenza peraltro denunciata a Lampedusa dal Pontefice, con accenti che toccano in primo luogo e giustamente i migranti, ma che davvero riguardano tutti. La costruzione intorno ai migranti di un nuovo modo d'intendere i diritti è davvero questione ineludibile, per la qualità e quantità del fenomeno, globale per definizione e dal quale dipende l'assetto futuro del mondo. È una "politica dell'umanità" che deve essere avviata, indispensabile perché ciascuno di noi possa uscire da una condizione che ci ha fatto prigionieri dell'egoismo, che ha interrotto i legami sociali, che ci consegna una società frammentata nella quale, come ha scritto Luigi Zoja, facciamo i conti con "la morte del prossimo".

Nel suo ultimo romanzo, Aldo Busi ha descritto con parole dirette questa condizione: "C'erano una volta gli altri e poi improvvisamente scomparvero dalla faccia della terra e io non fui pertanto più un altro per nessuno". Alla scomparsa delle persone, sostituite da astratti simulacri modellati sulle esigenze del consumo o del controllo, si reagisce proprio rivendicando la materialità dell'essere e dei bisogni, e misurando su questi i diritti di ciascuno. Ritorna imperioso il bisogno di pronunciare la parola più negletta della triade rivoluzionaria, "fraternità", ricordando che l'articolo 2 della nostra Costituzione parla di "doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale". Non a caso si invoca oggi una "solidarietà globale" come orizzonte della politica. Così la rivendicazione dei diritti, che qualcuno vuol leggere come estrema frontiera dell'individualizzazione, si immerge invece nel contesto sociale, trova le sue radici in una "rivoluzione della dignità" che non è solo quella del singolo, ma la "dignità sociale" alla quale si riferisce l'articolo 3 della Costituzione. Forse possono tornare tempi propizi per quello che Eligio Resta ha chiamato un "diritto fraterno".

Queste non sono dichiarazioni di buoni propositi o sentimenti, ma linee direttive lungo le quali si muovono concretissimi interventi a tutela della persona e dei suoi diritti. Se, per fare un solo esempio, si considerano le molte sentenze con le quali diverse corti hanno affrontato il conflitto tra il diritto fondamentale alla salute e il potere di Big Pharma, delle grandi multinazionali farmaceutiche, si coglie una tendenza a far prevalere le ragioni della salute su quelle del profitto con caratteristiche davvero globali, visto che si va dalle corti costituzionali di Sudafrica e India alla Corte di Giustizia dell'Unione europea, alla Corte Suprema degli Stati Uniti. Quest'ultima, il 13 giugno, ha pronunciato una sentenza che pone limiti alla brevettabilità del genoma, con diverse specificazioni, ma sostanzialmente accogliendo le sollecitazioni di chi voleva infrangere il monopolio di una società, Myriad Genetics, per quanto riguardava i test riguardanti il cancro al seno. E, in più di una decisione, la prevalenza accordata ai diritti fondamentali è strettamente collegata con la considerazione come beni comuni dei mezzi direttamente necessari per la loro attuazione.

Nel mondo globale, dunque, si sprigiona oggi una forza dei diritti che si manifesta nei luoghi più vari e ad opera di una molteplicità di soggetti. Si affiancano, e talora si sostengono reciprocamente, movimenti popolari e interventi delle corti, iniziative legislative e azioni di gruppi sociali organizzati. Qui la politica deve fare le sue prove, pena la sua crescente marginalizzazione. Dobbiamo ricordarlo oggi, perché si avvicinano le elezioni europee e la delegittimazione dell'Unione, dovuta alla sua totale identificazione con la logica dei "sacrifici", può essere arrestata solo se si ricorda che esiste un ordine europeo nel quale, con lo stesso valore giuridico dei trattati, esiste una Carta dei diritti fondamentali.
Fonte : Repubblica

giovedì 11 luglio 2013

Santanchizzati

So che rischio di ripetermi, ma pazienza: quello che è successo lo motiva parecchio, credo.
No, perché qualcuno in giro – anche brava gente – tenta di minimizzare il voto di ieri: in fondo, che cosa sono poche ore di chiusura dell’Aula, non è che un pomeriggio di vacanza delle Camere cambi qualcosa, ed è prassi sospendere i lavori anche quando ci sono i congressi di partito.
Forse chi lo dice non si rende del conto del gigantesco valore simbolico e politico dell’accaduto. Fosse stata anche di un solo minuto, la serrata di palazzo Madama e Montecitorio.
Qui abbiamo un partito personale che da vent’anni sostiene che il suo capo è perseguitato dalla magistratura, quindi ha diritto a non sottoporsi alla giustizia come gli altri cittadini, il che giustificherebbe i lodi Alfano e i legittimi impedimenti, ma anche gli attacchi alla Consulta: due organi costituzionali (magistratura e Consulta) delegittimati quindi delle loro prerogative costituzionali.
Questa – lo vedono anche i bambini – è semplicemente eversione, illegalità: che poi si incarna nelle manifestazioni a Palazzo di Giustizia, nei voti surreali come quello secondo cui Ruby era nipote di Mubarak, nelle trasmissioni di Canale 5 per muovere l’opinione pubblica contro i giudici, giù giù fino ai calzini di Mesiano.
E tutto questo si sa, appunto.
Fino a quattro mesi fa, il Pd (pur con molte timidezze) a questa eversione non partecipava con i suoi voti in Parlamento: appunto sul legittimo impedimento, sul lodo Alfano, su Ruby nipote di Mubarak etc.
Poi ci poteva soddisfare o no il modo in cui il Pd si chiamava fuori da questa eversione (io lo trovavo abbastanza codardo e pochissimo determinato) ma insomma, almeno guardando ai voti in Parlamento non si poteva dire che il Pd si fosse schierato con il Cavaliere contro la Costituzione.
Quando Di Pietro e altri sul legittimo impedimento fecero un referendum, arrivarono a metterci il cappello sopra, ex post.
Bene: quello che è successo ieri è invece il passaggio di là, anche formale.
Votare la sospensione dei lavori (anche fosse di un solo minuto, ripeto) di fronte a una richiesta di serrata delle Camere contro la Cassazione, vuol dire diventarecomplici attivi della battaglia di Berlusconi contro la magistratura.
Non ci sono cazzi, non ci sono scuse: questo è quello che è successo ieri.
Per questo è politicamente cosa più grave dei 101 e perfino del governo di larghe intese, pur essendone una conseguenza, come una palla che prende velocità su un piano inclinato. Perché è la prima volta che con un voto formale alle Camere il Pd si schiera con Berlusconi e i suoi eversori contro la magistratura.
Insomma, si sono santanchizzati
Lo sapevano, quando hanno accettato le larghe intese, che sarebbe finita così?
Voglio dire, non era evidente che prima o poi la dinamite giudiziaria che Berlusconi si porta in pancia dal ‘94 sarebbe esplosa alle Camere?
Si rendono conto di quello che hanno fatto?
Si rendono conto che dopo aver trasformato otto milioni e mezzo di voti contro Berlusconi in un governo con Berlusconi, li hanno usati anche per difendere Berlusconi dalla magistratura?
Capiscono la scelta di campo che hanno compiuto, schierandosi con l’eversione del Cavaliere contro la Costituzione repubblicana?
Di Giglioli, dal blog "piovono rane"