domenica 31 marzo 2013

Kiwi: frutto dalle mille proprieta', utilizzi e benefici



Il kiwi è un frutto dalla polpa di colore verde o gialla prodotto da alcune piante della famiglia delle Actinidiaceae, la cui varietà principale è costituita dall'Actinidia deliciosa. La sua buccia è di tonalità tendente al marrone ed all'interno del frutto sono presenti numerosi semi di colore nero. Il suo sapore può essere più o meno acidulo a seconda del livello di maturazione ed il suo gusto è rinfrescante.



Il frutto del kiwi è originario della Cina, dove veniva coltivato già 700 anni fa. La sua diffusione in Europa è avvenuta verso la fine del '900, rendendo in breve tempo l'Italia il maggior produttore mondiale di questo frutto, con particolare riferimento alle regioni del Lazio e del Piemonte.

Proprieta' e benefici del kiwi

Il kiwi è un frutto particolarmente ricco di vitamine. Esso presenta un quantitativo di 85 milligrammi di vitamina C ogni 100 grammi. Consumare un kiwi al giorno contribuisce a mantenere constante l'apporto giornaliero di tale vitamina per l'organismo. Il kiwi è povero di sodio, ma ricco di potassio, caratteristica che permette di riequilibrare i livelli di tali importanti minerali nella nostra alimentazione.

La composizione del kiwi vede la presenza di acqua per l'84% del frutto. Esso contiene circa il 9% di carboidrati e, per la restante parte del frutto, tracce di grassi e di proteine. Il kiwi è un frutto a basso contenuto calorico, in grado di apportare circa 44 chilocalorie ogni 100 grammi di prodotto.

Oltre alla vitamina C, il kiwi contiene vitamina E, utile per proteggere il nostro corpo dalle conseguenze dell'invecchiamento dei tessuti. Il kiwi è considerato un potentissimo alimento antiossidante. Per quanto riguarda i sali minerali, 100 grammi di kiwi forniscono 70 milligrammi di fosforo, 25 milligrammi di calcio, 0,5 milligrammi di ferro e non più di 5 grammi di sodio. I kiwi contengono inoltre fibre vegetali utili per favorire il buon funzionamento dell'intestino

L'elevata presenza di potassio (400 milligrammi ogni 100 grammi) rende il kiwi un frutto particolarmente consigliato a coloro che soffrono di pressione alta, in quanto alla base dell'ipertensione potrebbe esservi uno squilibrio nel rapporto tra il sodio ed il potassio assunti giornalmente, che è possibile riequilibrare attraverso l'alimentazione.

Il kiwi è considerato un alimento benefico al fine di proteggere l'organismo da malattie come il cancro e per la protezione del Dna. Il kiwi contribuisce inoltre a proteggere il nostro organismo dalle malattie, per via del suo elevato contenuto di vitamine e minerali. Secondo uno studio condotto presso la Rutgers University, il kiwi rappresenta il frutto a maggior densità di nutrienti. Gustare il kiwi può inoltre rappresentare un aiuto per coloro che soffrono di asma, dato che studi scientifici hanno dimostrato la sua capacità di ridurne i sintomi più tipici, come attacchi tosse notturni e difficoltà respiratorie.

Il contenuto di fibre di questo frutto contribuisce a diminuire i livelli di colesterolo nel sangue, oltre che a regolare l'assorbimento degli zuccheri nel corso della digestione, mentre la sua ricchezza di vitamina C è considerata benefica non soltanto al fine di rafforzare il sistema immunitario, ma anche per proteggere i vasi sanguigni, per migliorare la circolazione e ridurre lo stress ossidativo nel nostro organismo.




sabato 30 marzo 2013

La lunga notte della Seconda Repubblica


DI MARCELLO SORGI, DALLA STAMPA
Se davvero sperava, a oltre un mese dalle elezioni, e sotto l’incalzare della crisi economica che ha visto di nuovo salire la febbre degli spreads, di riuscire a imporre una soluzione ormai non più rinviabile, Giorgio Napolitano, alla fine del terzo giro di consultazioni (dopo il primo che aveva portato al preincarico di Bersani e quello successivo del leader del Pd), ha dovuto prendere atto che è molto difficile trovare una via d’uscita per ridare un governo al Paese.

L’imbarazzo del Quirinale trapelava dal modo in cui s’è chiusa la giornata, con l’annuncio di una nuova pausa di riflessione del Capo dello Stato. I dati allineati con cura sullo scrittoio del Presidente segnalano un completo stallo, aggravato dalla chiara indisponibilità tra i partiti che dovrebbero concorrere a individuare uno sbocco. Malgrado gli alti e bassi che lo hanno accompagnato, il tentativo di Bersani si è arenato sul “no” pregiudiziale di Grillo, ribadito anche ieri, e sulla richiesta di Berlusconi, inaccettabile per il centrosinistra, di indicare il candidato alla successione di Napolitano. L’ipotesi di un rinvio di Monti alle Camere, per sancire un periodo anche breve di tregua in attesa di un’alternativa più solida o di nuove elezioni, s’è sciolta negli ultimi giorni, con l’incresciosa conclusione del caso dei marò, le dimissioni del ministro Terzi non concordate con nessuno e la drammatica richiesta alle Camere del presidente del consiglio di essere sollevato al più presto dalla sua responsabilità. Infine anche la possibilità di un nuovo governo tecnico, o del Presidente, spedito direttamente dal Colle in Parlamento per cercarsi una maggioranza, è franata di fronte all’opposizione di Berlusconi e Maroni, che ripropongono, ma senza molta convinzione, il governo di larga coalizione che il Pd non può nè vuole accettare.

Se non fosse che Napolitano, grazie alla sua esperienza e al carisma di cui gode, ci ha abituato a dei colpi di scena che intervengono sempre quando tutto sembra perduto, si dovrebbe ammettere che stavolta il Presidente non ha più carte da giocare. Chi gli è stato vicino in queste lunghe ore di consultazioni s’è accorto che la sequela di incontri reiterati con tutti gli esponenti della classe politica vecchia e nuova ha provocato in lui una specie di sconforto. Non tanto per la distanza delle posizioni e per la scarsa disponibilità a farsi carico dei problemi del momento, ma per l’assoluta incomunicabilità tra i leader e i vertici dei partiti. Se solo si riflette sul fatto che Bersani, in sei giorni di lavoro come per incaricato, non ha mai avuto un colloquio diretto con Berlusconi, neppure una telefonata, accontentandosi dei contatti informali tra i suoi luogotenenti e quelli del Cavaliere, si può capire fino a che punto sono caduti i rapporti interni alla classe dirigente. Quel telefono rosso, che, anche nei momenti peggiori della Prima Repubblica, suonava nelle stanze dei grandi avversari del tempo, oggi non solo tace, ma praticamente non esiste più. Ed è questo pesante silenzio, interrotto dal crepitare continuo di insulti e dichiarazioni di guerra, che, più di ogni altro aspetto, a Napolitano ha dato per la prima volta la sensazione di una crisi insolubile: di sistema, di uomini, di strategie.

L’unica cosa chiara è che i leader che non hanno vinto e non hanno perso le ultime elezioni non esitano a sfidarsi nuovamente e a trovare nel ricorso alle elezioni l’unico modo di camuffare la loro impotenza e impedire l’avvento di un cambiamento, che invano invocano, ma in realtà temono. Berlusconi sfoglia i sondaggi che hanno riportato in testa il Pdl e sogna di rigettarsi in campagna elettorale. Bersani teme la resa dei conti con il suo partito e sa che le urne subito sgombererebbero dal campo il rischio di vedersi sostituito - da Renzi o da altri - alla guida del Pd. Grillo conta di avvantaggiarsi dal fallimento evidente di centrosinistra e centrodestra, seguito ai risultati del 25 febbraio.

È di fronte a un quadro così scomposto che il Capo dello Stato si trova a riflettere. Non gli sfugge che il suo mandato giunto agli ultimi giorni, e i suoi poteri limitati dal ritorno del semestre bianco dopo il voto, lo mettono in una condizione di maggiore difficoltà, rispetto all’egoismo e alle volontà contrastanti delle forze politiche. La leva dello scioglimento anticipato delle Camere, l’unica che forse potrebbe spingere a un ripensamento i suoi interlocutori (perché un conto è parlare di ritorno al voto, e un conto è trovarcisi davvero), Napolitano non ce l’ha più. Ed è un’ulteriore debolezza di fronte a una situazione che richiede interventi d’eccezione.

Forse è anche per questo che tra le riflessioni ascoltate dal Presidente qualcuno dei suoi interlocutori ha creduto di cogliere anche una disponibilità a dimettersi in anticipo e ad accelerare l’elezione del suo successore, che tornerebbe nel pieno dei poteri. Un rovello carico di incognite, a cominciare dalle reazioni degli osservatori stranieri, che considerano Napolitano l’ultimo punto di riferimento stabile in un Paese da tempo sull’orlo di un baratro e da mesi privo di un governo in grado di funzionare. E una decisione che il Presidente sta maturando in piena solitudine e che potrebbe essere annunciata nelle prossime ore. Così, «nave senza nocchiero in gran tempesta», l’Italia e la Seconda Repubblica sono entrate tutt’insieme nella loro notte più lunga.

giovedì 21 marzo 2013

La pagliuzza e la trave


di LUCA RICOLFI, dalla Stampa
L’altro ieri, collegati con il programma Ballarò, i nuovi presidenti di Camera e Senato (Piero Grasso e Laura Boldrini) hanno fatto la loro prima mossa politico-mediatica. Felici e sorridenti, come due scolaretti al loro primo giorno di scuola, hanno dichiarato a milioni di telespettatori-elettori che, loro due, lo stipendio se lo autoridurranno (del 30%). Inoltre cercheranno di raddoppiare la produttività dei parlamentari, facendoli lavorare anche il lunedì e il venerdì. E infine proporranno un abbassamento degli stipendi non solo dei deputati e dei senatori, ma anche del personale di Camera e Senato, le cui retribuzioni sono «molto alte». E qui, pudicamente, hanno aggiunto che quest’ultima riduzione, coinvolgendo dei lavoratori, andrà negoziata con i sindacati.

È scontato che una mossa del genere non può che aumentare la già notevole popolarità dei due neo-eletti presidenti, di cui un po’ tutti hanno sottolineato le qualità, ma soprattutto la non appartenenza al ceto politico professionale. Saremmo tutti felici che la medesima mancanza di attaccamento ai privilegi della casta fosse manifestata un po’ da tutto il ceto politico, e non solo da chi è appena entrato a farvi parte. E tuttavia, a mio parere, la campagna per l’autoriduzione degli stipendi dei politici ha anche qualche aspetto problematico.

Non mi riferisco tanto ai contenuti delle proposte, su cui peraltro ci sarebbe da discutere (in un Paese inflazionato dalle leggi, l’idea di un Parlamento che legifera anche il lunedì e il venerdì più che un sogno è un incubo). Quel che mi lascia perplesso è la penosa gara a chi è più puro, più immacolato, meno politico, che si sta scatenando fra i politici stessi. Era già abbastanza ridicolo vedere Bersani e i suoi inseguire i grillini sul loro terreno, con la tesi secondo cui l’autoriduzione dei parlamentari del Pd a favore del partito sarebbe uguale o superiore a quella dei parlamentari grillini a favore del Movimento Cinque Stelle. Ma ho trovato semplicemente umiliante (per le istituzioni) il ping pong fra il duo Boldrini-Grasso e Grillo, con i primi che non perdono occasione per sottolineare che loro non sono casta, «come il 99% degli italiani», e il secondo che li invita a ridursi lo stipendio ancora di più (il 30% non basta, la riduzione deve essere almeno del 50%). Una conferma, se ve ne fosse bisogno, che a fare i puri si trova sempre qualcuno che si crede più puro di te.

Non mi sembra un grande inizio. Il problema dei costi della politica esiste, ma forse sarebbe meglio sottrarlo alla propaganda. Un manipolo di parlamentari che pensa di attrarre voti, suscitare consensi, o guadagnare in popolarità perché trasferisce una parte dello stipendio al suo gruppo, perché pranza al sacco, o arriva in Parlamento in bicicletta, va bene per dare un po’ di lavoro ai giornalisti e ai fotografi ma non serve a cambiare le cose. Per essere veramente utile, una riduzione dei costi della politica dovrebbe essere drastica nei redditi individuali percepiti, ma soprattutto ampia nella platea dei destinatari. Drastica negli emolumenti perché solo così si terrebbero lontani dalla politica quanti abbracciano tale carriera solo per i redditi che offre. Ampia nel numero di soggetti toccati perché solo così le risorse che si potrebbero risparmiare avrebbero un impatto macroeconomico non trascurabile (diversi miliardi di euro). Da questo punto di vista le (poche) autoriduzioni volontarie di alcuni politici in vista servono a ben poco, mentre molto servirebbero leggi che agissero anche sull’immenso arcipelago di politici locali, consulenti, faccendieri, fornitori, ditte appaltatrici, personale di servizio, ex politici in pensione. Giusto per dare un ordine di grandezza, l’apparato complessivo della politica ci costa almeno 20 volte l’ammontare totale degli stipendi dei parlamentari. I cittadini paiono vedere assai bene la pagliuzza dei costi del Parlamento, ma sembrano ben poco attenti alla trave dell’apparato politico considerato nel suo insieme.

Da questo punto di vista hanno fatto assai bene i nuovi presidenti della Camere, dopo la boutade un po’ piaciona dell’autoriduzione, ad attirare l’attenzione sui costi e sui privilegi del personale che ha la fortuna di lavorare al servizio della politica anziché di una normale impresa privata. Vedremo se i sindacati sapranno raccogliere la sfida, o ripeteranno anche questa volta il solito copione, secondo cui sono solo i dirigenti e gli alti funzionari a doversi fare carico dei problemi della Pubblica Amministrazione. Ma vedremo, soprattutto, se la politica – oltre a trovare il coraggio di ridurre i propri costi – troverà la chiarezza per indicare su quale obiettivo intende convogliare le risorse così liberate. Sapere che, come oggi accade, le (rare) rinunce dei singoli finiscono nelle casse di un partito, di un movimento o di un gruppo parlamentare ci conforta ben poco. Molto più ci conforterebbe sapere che i risparmi sono regolati da una legge, sono ingenti, e permettono all’Italia di risolvere almeno uno dei suoi innumerevoli problemi.

mercoledì 20 marzo 2013

GRILLO E LA RIVOLTA DELLA RETE


GRILLO E LA RIVOLTA DELLA RETE
L'anarchia della balena
Beppe Grillo ha buttato la rete nel malcontento italiano, e la pesca elettorale è stata abbondante. Perché il malcontento è grande e giustificato; perché il pescatore è stato abile a manovrare la barca. Ha saputo mescolare rivendicazioni e rimostranze, solidarietà e sarcasmo, tempismo e tecnologia. Non è il primo a esercitarsi in questo tipo di attività, nella politica italiana ed europea. Ma nessuno aveva ottenuto risultati così clamorosi. Perché nella rete di Grillo non c'è pesce: c'è una balena. Come definire, altrimenti, quasi nove milioni di elettori che hanno investito nel Movimento 5 Stelle molte speranze, lo hanno incaricato di rappresentare le proprie delusioni e ora s'aspettano che trovi soluzioni? Come classificare un numero di parlamentari capace di rendere difficilissima una maggioranza di governo?

Per il gran pescatore politico, passata l'euforia, si pone un problema. Gigantesco, come la sua conquista. La balena non si può tirare a bordo: la barca si rovescerebbe. Ma non si può lasciare lì a lungo, prigioniera nella rete. Perché prima o poi il cetaceo elettorale si sveglia. E allora, per chi sta in superficie, sono guai. I primi segni del risveglio della balena sono evidenti. I voti che hanno consentito a Pietro Grasso di arrivare alla presidenza del Senato erano prevedibili. La psicologia, talvolta, può più della strategia: chi era tanto orgoglioso di mostrarsi alle famiglie nel Parlamento degli italiani, non poteva avallare il «Tanto peggio, tanto meglio!» invocato dal pescatore-capo chiuso nella sua villa sul mare. E poi diciamolo. Se Beppe Grillo è un «portavoce» - così si definisce - il suo ruolo è comunicare la volontà degli eletti; non imporre la propria.

Il segnale inequivocabile del risveglio della balena è però un altro. Dopo il comunicato di centosedici parole («Trasparenza e voto segreto»), con cui Grillo rimette bruscamente in riga gli eletti del M5S, il blog s'è rivoltato. Moltissimi hanno protestato, anche per la rinuncia alla diretta-video della discussione alla vigilia del voto. Altrettanti si sono detti delusi e amareggiati. Vogliamo un movimento nuovo dove si decide insieme, hanno scritto (prima di essere in parte rimossi). Non un partito dove il capo emette comunicati, non risponde alle critiche e lascia intendere: pensatela come volete, basta che la pensiate come me.

La balena s'è svegliata, e dimostra di avere una certa personalità, come il capitano Achab imparò a sue spese con Moby Dick. Cosa farà il mastodonte, è presto per dirlo. Mentre Mario Monti mulina la piccozza, dimostrando di conoscere poco le tecniche di pesca, Silvio Berlusconi e il Pdl appaiono preoccupati. Ma come potevano pensare che la balena dormisse a lungo? Il problema è che nessuno ha idea, oggi, di quale direzione prenderà. Non Bersani, non Monti, non Berlusconi. Neppure Beppe Grillo. Non basta aver l'aspetto del lupo di mare. Bisogna esserlo davvero.

di Beppe Severgnini , dal Corriere

martedì 19 marzo 2013

Atene, errore umano a Nicosia diabolico


di MARIO DEAGLIO, dalla Stampa
Errare è umano, perseverare nell’errore è diabolico. E c’è sicuramente qualcosa di diabolico in un’Unione Europea che non ha imparato nulla dagli errori compiuti con la Grecia. Ha condannato i greci ad almeno dieci anni di dura austerità, con un forte costo finanziario per i Paesi membri.

Senza peraltro riuscire a risolvere il problema ma anzi mettendo a repentaglio la stabilità dell’euro. E ora supera se stessa con Cipro: grazie alla goffaggine europea, dopo un anno di trattative, i problemi finanziari dei suoi 800 mila abitanti, un po’ meno di quelli di Torino, riescono a innescare una caduta generalizzata delle Borse mondiali, a riportare ombre sull’euro, già in difficoltà per una recessione largamente artificiale, uscita dal laboratorio di Bruxelles.

Anche ieri, la lentezza dei compassati - e impacciati - comunicati ufficiali e semiufficiali ha fatto da contrappunto alla rapidità con cui i mercati declassavano in blocco l’euro, la seconda moneta del mondo. Cipro è diventato il simbolo dell’incapacità europea con le banche chiuse in attesa del soffertissimo voto parlamentare, chiamato ad approvare (forse) oggi una forte imposta patrimoniale sui depositi bancari, che assomiglia a una taglia medievale. A molti italiani fa ancora venire i brividi il ricordo dell’analoga imposta dello 0,6 per cento sui depositi bancari introdotta dal governo Amato, ma quella era una carezza in confronto al 9 e più per cento che, per taluni tipi di depositi, viene proposto per Cipro. Dimenticando che Cipro è il principale punto di passaggio dei capitali russi in uscita e quindi creando una nuova tensione internazionale di cui non si sentiva proprio il bisogno.

Non vi è nessuna ragione logica per cui le crisi dei Paesi in difficoltà strutturali debbano essere risolte in tempi congiunturali, ossia brevissimi: perché sono stati concessi a Grecia, Cipro, Spagna pochissimi anni per raggiungere il pareggio dei bilanci pubblici, perché l’Italia deve arrivarci entro il 2013 e non il 2014 o il 2015 (il mero spostamento dell’obiettivo libererebbe le risorse per una ripresa e quindi la renderebbe molto più facile da realizzare)? Perché alla Francia si consente invece un pareggio di bilancio al 2017 e attualmente un deficit pari al 4,5 per cento del prodotto lordo, ben al di sopra dei parametri del patto di stabilità?

Dietro una simile miopia nei confronti dei Paesi mediterranei (per la quale si distingue spesso il commissario finlandese Olli Rehn) e una simile disparità di trattamento non può mancare il sospetto di un occulto senso di superiorità dei Paesi settentrionali nei confronti della supposta pigrizia dei «mediterranei» e magari persino un’invidia sotterranea per il buon clima e il buon cibo. In realtà ciò che sta veramente bloccando tutto è la pigrizia dei capitali e degli imprenditori tedeschi, e, più in generale, nordici: non utilizzano i fiumi di denaro a buon mercato che l’andamento dei mercati sta mettendo temporaneamente nelle loro mani a un tasso di interesse prossimo allo zero per investimenti industriali e finanziari davvero rilevanti nei Paesi deboli.

Solo così, con un flusso di investimenti paragonabile a quello del Piano Marshall, i tedeschi potrebbero davvero trasformare un predominio finanziario, probabilmente temporaneo, in un primato industriale accettato e condiviso, come fu, a lungo, quello degli americani. Al contrario, si preferiscono investimenti industriali molto vicini alle porte di casa, come in Ungheria, sulla cui deriva autoritaria si preferisce chiudere gli occhi, aspettando di vedere se Angela Merkel sarà confermata alla Cancelleria dopo le prossime elezioni tedesche: non si prendono decisioni vere e si calca la mano su Cipro.

Chi scrive è, come tanti, quasi certamente la maggioranza degli europei, è un sostenitore dell’Europa, intesa come progetto a un tempo civile e culturale oltre che economico. Un’Europa come l’attuale, economicamente frammentata, culturalmente segnata dal ritorno dei particolarismi regionali e linguistici, poco attenta ai problemi di civiltà e libertà sembra invece sentirsi davvero europea solo nel calcio. Non solo non risponde a questo ideale ma non sembra neppure avere un futuro in un mondo globale in cui una struttura portante come la Chiesa Cattolica è diventata, con l’elezione del nuovo Papa, sicuramente meno europea e più universale mentre Paesi un tempo periferici stanno avanzando rapidamente sulla scena. Con il caso di Cipro è appropriato domandarsi se abbia ancora senso un’Europa aggrappata soltanto alla moneta che non sa più guardare avanti, mentre una parte importante del continente sta vivendo una decrescita sempre più infelice.
Da questo piano inclinato occorre uscire verso l’alto, non verso il basso. E forse una spinta in questa direzione può derivare dalla nuova domanda politica, emersa con clamore nelle recenti elezioni italiane: dietro a un teatrale rifiuto dell’euro è possibile trovare, sia pure con qualche fatica, istanze di un’unione non solo economica. Forse il «precariato», individuato dall’economista britannico Guy Standing come una classe sociale emergente, riuscirà là dove il proletariato ha fallito, ossia nell’imbastire, sulla base delle proprie ragioni, un confronto non distruttivo con il mondo dell’economia. Questo potrebbe forse succedere tra breve in Italia e tra non molto in Europa. Speriamo che non si tratti dell’ennesima occasione perduta.

martedì 12 marzo 2013

Cinquant’anni fa l’Italia si scoprì Doc


Dopo mezzo secolo ha il marchio Doc il 70% della produzione
di  SERGIO MIRAVALLE, dalla Stampa

Doc, l’acronimo più famoso d’Italia, compie cinquant’anni. Era nato ufficialmente il 12 luglio 1963 con il severo Decreto legge n. 930, istituito su proposta di un senatore democristiano di Casale Monferrato, Paolo Desana, per mettere ordine nell’intricata giungla dei vini italiani.

Ma ben presto la Denominazione di origine controllata ha superato i confini di etichette e bottiglie e si è conquistata uno spazio nel linguaggio e nell’immaginario comune, diventando sinonimo di qualità e ricercatezza. Doc è anche un film da intenditori, un paesaggio intatto, un legame saldo con il territorio, un itinerario selezionato, un prodotto realizzato con cura anche se non è né da bere, né da mangiare. Renzo Arbore usò l’acronimo per dare il titolo a una trasmissione musicale di culto andata in onda su Raidue nel 1987. E se proprio si vuole strafare, si può ricorrere anche alla sorella maggiore Docg: la Denominazione di origine controllata e garantita nata anch’essa in ambito enologico, nel 1980.

Circoscrivendo il terreno a vigneti e vini, oggi la mappa delle denominazioni italiane conta ben 521 riconoscimenti: oltre alle 330 Doc e alle 73 Docg, ci sono anche le 118 Igt, ovvero le più recenti e meno selettive Indicazioni geografiche tipiche. Tutte insieme, rappresentano il 70% della produzione vinicola italiana, ma con grandi squilibri e qualche confusione garantita al pari dell’origine.

Se da una parte c’è la neonata Doc Sicilia, la più grande d’Italia per estensione del vigneto, o il Prosecco Doc, che produce oltre 200 milioni di bottiglie, dall’altra ci sono denominazioni minuscole come il Loazzolo Doc, realizzato in non più di tremila bottiglie da un pugno di produttori della bassa Langa astigiana.
Cinquant’anni fa, la legge sulla Doc fu emanata per dare una carta d’identità e proteggere dalle imitazioni i prodotti tipici della cultura enologica italiana. I francesi lo fecero molto prima, istituendo già a inizio Novecento l’Appellation d’origine contrôlée (Aoc) a favore del Cognac.

Dal 2009, con l’approvazione della Ocm Vino, i vari marchi dei singoli Stati sono stati assorbiti nella nuova Dop (Denominazione di origine protetta) controllata direttamente da Bruxelles, ma di fatto continueranno a vivere e (un po’ meno) a proliferare.

Dunque, viene da chiedersi: quanto è ancora valido ed efficace questo sistema? «Molto» risponde Giuseppe Martelli, presidente del Comitato nazionale vini presso il ministero per le Politiche agricole e direttore generale di Assoenologi.

«In mezzo secolo è cambiato tutto, ma l’importanza e il ruolo delle denominazioni è rimasto immutato. E se fino a 35 anni fa il vino da tavola rappresentava il 90% della produzione, oggi la percentuale è quasi capovolta e rappresenta un punto di riferimento per il consumatore».

Tuttavia, qualcosa potrebbe essere migliorato: «Ci sono tante Doc che si sovrappongono, alcune addirittura non vengono neppure rivendicate ed esistono solo sulla carta. Se vogliamo migliorare la situazione, oltre alle viti dobbiamo potare drasticamente anche i campanili. Ma è un traguardo che si può raggiungere solo se c’è una seria volontà politica di lavorare per il bene comune».

Un discorso che trova d’accordo anche il presidente di Federdoc, Riccardo Ricci Curbastro. «Il sistema delle denominazioni italiane è un patrimonio pubblico che dà lustro all’immagine dell’Italia nel mondo, garantendo al 100% ogni singola partita di vino e la sua rintracciabilità».

Ma se un terzo delle denominazioni rappresenta l’80% della produzione, forse qualcuno ha esagerato. «È vero - conferma Ricci Curbastro - la corsa a ottenere il riconoscimento ha spesso creato inutili zavorre e generato confusione soprattutto tra gli stranieri: c’è senza dubbio spazio per fare sintesi, anche perché l’ottenimento della Doc non è un premio, ma l’inizio di un percorso».


lunedì 11 marzo 2013

Uno stipendio ai disoccupati?


Uno stipendio ai disoccupati?
Grillo propone mille euro al mese a chi non ha lavoro. Costerebbe allo Stato 38 miliardi di euro. Ma l'Italia è l'unico Paese Ue, a parte Grecia e Bulgaria a non avere un sussidio.
11/03/2013
Beppe Grillo. Ha proposto un salario minimo garantito (Ansa).
Quanto costerebbe allo Stato italiano il sussidio disoccupazione? Almeno dieci miliardi di euro. Ma se si volesse dare una copertura di 1000 euro a tutti coloro che hanno perso il lavoro o che non lo hanno mai avuto, si potrebbe arrivare anche a 38 miliardi di euro. E’ il costo del reddito minimo, uno dei cavalli di battaglia di Beppe Grillo. Proposta che durante lo scorso governo il ministro Fornero ha nettamente bocciato per mancanza di copertura finanziaria (e perchè alla lunga scoraggerebbe la ricerca di lavoro).

Ma in Europa, solo Italia, Bulgaria e Grecia non hanno uno strumento di contrasto universale all’indigenza.  La stessa Unione europea ha più volte detto che la povertà si combatte anche con azioni che incidono sul potere d’acquisto. Secondo l’Istat, nel 2011 il 28,4 per cento dei cittadini era a rischio povertà e l’11,1% soffriva di grave deprivazione materiale. Nel 2012 gli indigenti potrebbero superare il 12%. Un fenomeno che colpisce soprattutto le famiglie monoreddito , dove ci sono casi di cassa integrazione o di mobilità, con almeno due figli, e particolarmente presente al Sud dove la grave deprivazione riguarda quasi il 20 per cento dei cittadini. L’obiettivo potrebbe essere un assegno di sussistenza di almeno sette mila euro l’anno a tutti coloro che non hanno un reddito. La scorsa legislatura una proposta di legge in questo senso era stata avanzata dal senatore del Pd Roberto Di Giovan Paolo, convinto che il reddito minimo “in termini economici svolge una funzione di riattivazione del Prodotto interno lordo, incrementando l'uso dei consumi minimi che vanno in favore non solo dei soggetti beneficiari, ma anche dei soggetti del commercio e delle piccole e medie imprese partecipando alla riattivazione virtuosa del circuito economico". E le risorse? "Va rivisto tutto il sistema degli ammortizzatori sociali, perché la riforma Fornero, vedi il caso degli esodati, taglia fuori tanti soggetti. E poi vanno riviste tutte quelle forme di aiuto a varie fasce sociali concesse dalle Regioni, in tutta Italia ce ne sono 8 mila. Attenzione però: non si tratta di assistenzialismo perché il reddito minimo deve essere legato a programmi di reinserimento lavorativo”.

E in effetti nel resto d’Europa il reddito minimo è sempre legato quantomeno alla formazione  professionale. Le normative sono differenti tra loro, ma i Paesi con una popolazione simile all’Italia hanno comunque una protezione a 360°. In Germania una coppia con tre figli può arrivare a percepire 1.300 euro al mese, a cui vanno aggiunte indennità un tantum come le spese per il trasloco e il mobilio. In Francia una famiglia con tre figli può ottenere un assegno di 1.100 euro al mese al massimo per un anno, mentre nel Regno Unito l’indennità è ancora più sostanziosa: 1800 euro.  Anche in Spagna, dove i disoccupati sono più di 5 milioni, c’è un sostegno economico di almeno un anno corrispondente a una cifra che va dal 10 al 42% rispetto a importi determinati dalle singole Autonomie. In Italia invece si è puntato tutto sulla cassa integrazione, che però taglia fuori le aziende più piccole. Un sistema forse immaturo, il nostro, che durante la crisi mostra tutte le sue debolezze.
di Alessandro Guarasci, da Famiglia Cristiana

domenica 3 marzo 2013

Riflessioni a 5 stelle.


Il 15 marzo prossimo dagli eletti dal Movimento5S mi aspetto due discorsi, sia alla Camera che al Senato, da veri statisti. Discorsi in cui si prende atto di una situazione morale e civile, prima che economica, disastrosa; in cui si prende atto che lo schieramento di Centrosinistra ha raggiunto la maggioranza alla Camera dei Deputati ed al Senato, che il Movimento5S, da solo, è invece il partito più votato. La strana legge elettorale dà al centrosinistra la maggioranza assoluta dei seggi alla Camera e la maggioranza relativa al Senato. La situazione che si è creata in Parlamento e più in generale la condizione del Paese chiama il Movimento ad interrogarsi sul ruolo che potrà svolgere nell’interesse più alto della nazione. Mi aspetto due discorsi in cui gli eletti nel M5S si dichiarano disponibili a far nascere un governo guidato dal centrosinistra, da Bersani, non sulla base del programma di quest’ultimo ma di un programma minimo comune che affronti le questioni più urgenti in un tempo determinato. Di questo si discute all’indomani dei risultati elettorali. Qualcuno ritiene questa discussione inutile, altri fastidiosa o dannosa per il Movimento, personalmente la ritengo necessaria. Chi interpreta l’eventuale partecipazione al governo come una ciambella di salvataggio a Bersani ed al centrosinistra forse non ha sufficiente fiducia nella capacità del Movimento di determinare le scelte di governo. Con il contributo fondamentale del Movimento, ma non solo suo, il Parlamento è già cambiato; più giovani, più donne, più cittadini liberi non legati ad interessi. Veniamo da decenni di parlamenti e governi composti da delinquenti abituali, mafiosi, camorristi, corruttori e magnaccia. Dobbiamo tener presente che la destra è guidata da un corruttore di giudici, corruttore di Guardia di Finanza, corruttore di testimoni, corruttore di parlamentari, corruttore di minorenni, corruttore di giornalisti, su cui convergono gli interessi della grande criminalità, della speculazione e del Vaticano, rappresentante di una destra eversiva, antidemocratica ed anticostituzionale (che l’informazione chiama “moderati”). Questa destra ha sottovalutato il Movimento alle ultime elezioni, non così alle prossime: combatterà la minaccia al sistema che esso rappresenta con ogni mezzo e con risorse ingenti, sostenuta da potenze straniere, in primo luogo Vaticano e Stati Uniti. La Storia ha già chiamato. D’ora in poi la storia la scriviamo noi, cittadini, il momento è già arrivato. Mettiamola così: se un cittadino sta annegando ed il Pd ha un canotto, o solo una camera d’aria, e noi abbiamo due remi, ma anche solo un bastone, lo andiamo a salvare questo nostro concittadino? O con Bersani mai? Durante la campagna elettorale tutti hanno parlato di un paese allo stremo. Le pesiamo le parole? Se è così non c’è un minuto da perdere per intervenire. Nella consapevolezza che finché non saranno attuate le necessarie misure la situazione peggiora ogni giorno, ogni momento; nella consapevolezza che mentre discutiamo qualche nostro concittadino compie gesti estremi per disperazione, qualche attività chiude i battenti, qualche famiglia si distrugge. Di tutto ciò che accade d’ora in poi ne è responsabile il nuovo Parlamento, compresi gli eletti nel M5S. Le modalità di partecipazione alle decisioni del governo possono essere varie, indicando ministri o meno. Si potrebbe indicare un sottosegretario (o più d’uno) in ogni Ministero a partire dalla Presidenza del Consiglio, possibilmente al di fuori degli eletti in Parlamento. Noi ci sperimentiamo al governo ed il paese sperimenta noi. Non ho dubbi che realizzeremo parti importanti del programma in una prova convincente. Bersani ha finora seguito una linea che apre alla possibilità di collaborare alle scelte di governo con modalità da definire (mentre D’Alema insegue prospettive personali, parla solo a suo nome). Nel Pd c’è un deficit di democrazia ed una pratica di selezione della classe dirigente che contraddice platealmente i suoi principi ispiratori, anche le giovani generazioni di protagonisti sono addomesticate, non portano novità e non alimentano il dibattito interno; gli emergenti sono cooptati, già vecchi. Allo stesso tempo nel Pd e nel centrosinistra, fra la base, gli elettori, ed anche fra i dirigenti ci sono persone degnissime che antepongono gli interessi collettivi più ampi agli interessi personali e di parte. Dobbiamo rispetto ed attenzione alle tante storie di persone dai principi solidissimi. Nei primi consigli dei ministri, via per sempre la Tav, il ponte sullo Stretto, gli F35. Via le Province e centinaia di enti inutili e sedi decentrate creati per le clientele. Via le auto blu, le scorte ed i tanti privilegi. Tagli degli stipendi più alti dei dirigenti pubblici a partire dai politici. Via vitalizi e pensioni d’oro. Su queste e su tante altre questioni c’è piena sintonia fra la base del Movimento e la base del centrosinistra, si tratta di alimentare il dibattito ed il confronto dando finalmente voce anche alla base del Pd finora mortificata ed emarginata dalle scelte. In un mese sarà un’altra Italia, e ci sarà riconosciuto in patria e fuori. Il mondo ci guarda, proprio noi, guardano proprio noi. Con pochi provvedimenti ed in un tempo brevissimo si possono liberare risorse per aiutare famiglie in difficoltà, sostenere i consumi e cominciare a ragionare sul rilancio dell’economia. Si può invertire la tendenza, dal declino alla ripresa, dalla disperazione alla speranza, già nella prima riunione del CdM. Non è scontato che il Movimento in ogni caso avrà consensi maggiori ad eventuali elezioni molto ravvicinate e senza che abbia dimostrato con gli atti parlamentari il senso dello Stato. Siamo ora nella migliore condizione di farci conoscere partecipando con modalità da definire alle scelte di governo. Il Pd è ora inchiodato, nel confronto col Movimento, alla parte più qualificante del suo programma. Si possono definire ambiti ed indirizzi (e anche impegni concreti e definiti) ed un anno di tempo per realizzarli, per salvare il paese dalla rovina senza ritorno. Parliamo alla nazione, facciamo un patto: realizziamo transitoriamente e per senso dello Stato, insieme al Pd e al CS, i punti A, B, C, ecc. e fra un anno vi chiederemo un mandato pieno per mandare definitivamente tutti a casa. L’obiettivo di mandarli tutti a casa è irrinunciabile, come fargli una radiografia per accertare che una parte del vil metallo che hanno amministrato in nome e nell’interesse del popolo non gli sia rimasta appiccicata. La prova di governo che sapremo dare valorizzerà tutto il lavoro svolto finora e che ha condotto il Movimento ad essere il primo partito; e solo così potremo rimuovere le ultime riserve e gli ultimi timori di tanti italiani nei confronti del Movimento. Lo Stivale è la patria di Archimede, di Leonardo, di Galileo, fra i più grandi geni di tutti i tempi. Mettiamo all’angolo la furbizia e diamo spazio all’intelligenza. Abbiamo, ci è stata assegnata, la responsabilità di dare all’Italia un governo di cittadini e di dirigere la vita pubblica. A noi, ai cittadini tutti, il compito di dare orgoglio alla nazione e slancio all’economia. Ho letto in alcuni interventi sulla questione che i commenti che invitano ad una riflessione sull’opportunità o sulla necessità di partecipare alle scelte di governo siano scritti da estranei al Movimento (“infiltrati del Pd”). Invece siamo tutti qui alla ricerca delle migliori soluzioni per raggiungere gli obiettivi posti. Leggo, sul programma è scritto tutto, niente partecipazione al governo. La rotta è necessario tracciarla, poi il mezzo dev’essere governato. Una nazione, un partito, un’impresa, hanno una rotta, un piano, che non viene messo nelle mani del pilota automatico. Le dinamiche vanno governate. Altrimenti di cosa parliamo? Quale governo, presente o futuro? Al timone ci mettiamo uno stagista che a seconda delle questioni da affrontare va a pagina tot del manuale di navigazione e lì trova le indicazioni delle azioni da intraprendere. Il programma è scritto ma ora si tratta di dare risposte ad una situazione nuova. Tracciata la rotta, in presenza di una corrente imprevista, di un uragano, di un delfino in difficoltà, la tabella di marcia può essere modificata. Semplicemente la linea più breve che unisce il programma alla concretezza degli obiettivi, attraverso le vicissitudini della nazione, può non essere una retta (quasi mai lo è). Siamo qui alla ricerca di soluzioni perché abbiamo deciso che non lasceremo il destino del paese nelle mani di nessuno ma di determinarlo tutti insieme e possiamo farlo grazie alla lungimiranza, alla tenacia ed ai sacrifici di Grillo e degli altri che da anni ci hanno creduto. Leggo, come facciamo se il Movimento propone di tagliare gli stipendi dei parlamentari del 75% ed il Pd del 50%? Facciamo che potrà prevalere l’una o l’altra soluzione (o una intermedia) e nel caso sfavorevole, cioè quando prevale la proposta del Pd, si parla al paese e si dice abbiamo fatto questo passo iniziale che ci impegniamo a completare se fra un anno ci darete fiducia ed un mandato pieno. Ma diciamoci la verità, tutta Italia ci metterebbe la firma su una riduzione del 50% degli stipendi approvata nel primo mese di governo. Non si può negare che la possibilità di invertire la rotta degli ultimi decenni e nella prospettiva breve di completare il successo del Movimento mandandoli tutti a casa c’è tutta. Cominciando a tagliare sprechi e privilegi e rimettere in moto l’economia il merito sarà riconosciuto al Movimento, a Grillo, ai cittadini che saranno investiti di responsabilità istituzionali; tutti saranno concordi che nessun altro governo l’avrebbe fatto, l’avrebbe voluto e saputo fare. Partecipando al governo non andremo in una direzione diversa da quella tracciata dal programma, la direzione sarà la nostra; sarà più lento il ritmo, non pieni i risultati, ed in ogni caso si potrà mettere un termine, un anno o due al massimo. La legge anticorruzione, sul conflitto di interesse, sulla Rai, sul contrasto alla criminalità, sul contrasto all’evasione fiscale, sul contrasto allo strapotere della finanza, sulla trasparenza delle tariffe, con il Pd si possono fare. E tutto in un futuro prossimo si potrà migliorare, anche le leggi si mettono alla prova analizzando i risultati che producono. Abbiamo la possibilità di ordinare ai vertici della sicurezza di non torcere un capello ai cittadini e passiamo la mano ai soliti che vogliono invece soffocare la libertà di espressione e la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica? Abbiamo la possibilità di chiudere per sempre le pagine nere di vicende come la Diaz, Cucchi e tanti altri casi vergognosi della nostra storia recente e ci tiriamo indietro? L’Italia ci ha chiamato a dirigere la vita pubblica, a prendere le decisioni. Se si dovesse andare ai voti all’interno del Movimento, sulla proposta di governare col CS, per correttezza dovrei astenermi, sarei in conflitto di interessi (come milioni di italiani); sono uno di quelli che stanno annegando, non sarei sereno come chi può aspettare mesi o anni per l’inizio di una svolta, nell’attesa di condizioni ideali che potrebbero anche non verificarsi. Ai Parlamentari del M5S auguro una riflessione terza senza risentimenti e senza sentimentalismi: non pensate a me, non fatevi condizionare da chi sta annegando, siate sereni. Proseguiamo tutti, quale che sia stata l’espressione di voto, questa riflessione confrontandoci e manifestando il nostro pensiero: ci sono le condizioni per incidere sugli sviluppi della nostra società oppure no? Alla fine, prima del giorno 15, nel Movimento tireremo le somme ed andremo avanti tutti insieme al governo o all’opposizione. Agli eletti in Parlamento la decisione, unitaria, sulla posizione da prendere, alla fine saranno i Parlamentari a dover convivere con la loro coscienza. I Parlamentari tutti, di ogni schieramento, tengano presente che non sono lì per fare gli interessi di una parte politica o assecondare personaggi influenti dei rispettivi schieramenti: si diano valore, si qualifichino come uomini di Stato sganciati dagli interessi e dalle ideologie. Dobbiamo rimanere tutti a bordo, ognuno con le sue responsabilità, a proporre, discutere, decidere, controllare, comunicare. A Bersani infine, non lasci cadere l’indicazione di Grillo di guardare fuori dal Palazzo per individuare il futuro Presidente della Repubblica, qualcuno in cui tutti possiamo riconoscerci. Abbiamo grandi personalità che i giochi di potere di destra e di sinistra hanno tenuto fuori dalle istituzioni, cogliamo il cambiamento puntando sulle eccellenze e non sulle appartenenze.
Grazie per l’attenzione e buona riflessione a tutti.          Carlo Guida
 Fonte: FB