sabato 4 febbraio 2012

Le banderillas dei partiti


DI LUIGI LA SPINA,DALLA STAMPA

Fragile, perché il governo Monti non può contare su un vero accordo politico tra i componenti della sua inedita maggioranza. Forte, perché i partiti che hanno votato la fiducia in Parlamento sanno che abbatterlo vorrebbe dire arrecare danni enormi al Paese, ma infliggersi anche un harakiri definitivo per la loro credibilità nei confronti dell’opinione pubblica.

Tecnico, perché si fonda sulla competenza del premier e dei ministri nelle questioni che devono dirimere. Politico, perché l’abilità del presidente del Consiglio nel destreggiarsi tra un’ex maggioranza, inquieta e delusa, e un’ex opposizione, diffidente e divisa, dimostra una vocazione certamente non improvvisata. Libero, perché non è costretto a subire i «veti» delle corporazioni che stanno affondando l’Italia, dal momento che non si regge sul loro consenso. Prigioniero, vincolato com’è a distribuire sacrifici e vantaggi, con millimetrica equità, tra tutte le forze sociali tutelate dai partiti che devono approvare, in Parlamento, i suoi provvedimenti. Il governo Monti, in realtà, più che un governo «strano», come lo ha definito il premier, è il campione dei contrari, il trionfo dell’ossimoro, quella figura retorica che accosta termini in assoluta antitesi tra loro.

Quanto potrà durare questo virtuosistico cammino sul filo che Monti è costretto a compiere tutti i giorni? E, soprattutto, il premier riuscirà a realizzare le fondamentali riforme che consentiranno all’Italia di uscire dalla «zona a rischio» dell’Europa? Oppure, quel filo finirà per avvolgerlo nella tela di ragno dell’impotenza e della delusione? Sono domande a cui proprio la curiosa contraddittorietà delle caratteristiche di questo governo consiglierebbe risposte caute e ambigue. Si possono affacciare alcune considerazioni, invece, che potrebbero indurre a un certo ottimismo sulla sorte dell’esperienza Monti, sfidando il destino dei commentatori politici, quello dell’immediata e clamorosa smentita.

Questo governo, come si è detto, ha saputo intercettare una diffusa domanda di cambiamento nel costume della politica italiana. Un desiderio di rigore, di competenza, soprattutto la necessità di una vera efficacia realizzativa, veloce nei tempi e concreta nelle conseguenze, dopo tanti anni di quelle inutili promesse e di quelle imprudenti autoesaltazioni tipiche dei «governi del fare».
A questa richiesta di una decisa svolta, i partiti dimostrano la loro incapacità di rispondere con proposte forti, condivise al loro interno, coraggiose e innovative al punto tale da imporle al centro della discussione pubblica. Ecco perché la frustrazione, provocata dalla consapevolezza di questa loro impotenza, produce l’effetto di un ribellismo trasversale che, di tanto in tanto, si sfoga nel voto parlamentare contrario al parere del governo. Non a caso, sempre in una ottica difensiva e corporativa, tipica di una categoria che si sente debole e invisa. Una volta, per salvare dalla galera un loro rappresentante; un’altra, per opporsi alla riduzione di privilegi pensionistici e non; un’altra ancora, per vendicarsi delle iniziative giudiziarie delle procure. Spesso, nel tentativo nostalgico di ritornare al clima di contrapposizione frontale del passato, come nel caso della Rai o, appunto, della lotta contro la magistratura. Un tempo in cui il chiacchiericcio della polemica, aspra e sguaiata, dava loro l’impressione di una primazia e di un potere che, oggi, sembrano del tutto svaniti.

A rimorchio sul tema che interessa veramente i cittadini e sul quale è il governo a condurre la danza, cioè l’economia, i partiti non comprendono che potrebbero dare un significato alla loro esistenza e alla loro attività in questo scorcio di fine legislatura solo su una questione, peraltro in cui avrebbero piena sovranità e sulla quale potrebbero sperare in un riscatto di fiducia da parte degli italiani: la legge elettorale. Una riforma che restituisse al popolo il potere di scegliere i loro rappresentanti in Parlamento. Ma le speranze di un’intesa sono poche, perché è molto difficile un accordo che soddisfi interessi elettorali contrastanti e, soprattutto, perché è così comodo, per tutte le segreterie dei partiti, continuare a dipingere a loro somiglianza deputati e senatori, scaricandosi vicendevolmente la responsabilità di non voler cambiare la legge.

Ecco perché è probabile che i volteggi di Monti, tra un’intervista televisiva e un Consiglio dei ministri-fiume, possano continuare, nonostante gli avvertimenti, le punzecchiature, le ribellioni della pancia parlamentare, come quelli dei giorni scorsi. Sussulti di protagonismo che mirano a infiacchire la vitalità del governo, come, nella corrida, le banderillas fanno al toro, ma che non vogliono scagliargli il colpo mortale.

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