sabato 3 dicembre 2011

ll bene perduto chiamato pietà


ll bene perduto chiamato pietà
Dall’arroganza alla presunzione razzista

Credo che nessuna città al mondo abbia, come Roma, una leggenda tanto suggestiva e piena di grazia a proprio simbolo. La leggenda va sotto il nome di «Pietà Romana». Ha colpito la fantasia di scrittori e poeti di tutti i tempi. Fu anche uno dei soggetti preferiti in pittura fra il Sei e il Settecento.

Il luogo è la chiesa di San Nicola in Carcere, eretta sui resti di un tempio dedicato a Giunone. Il nome si deve a una prigione che qui sorgeva nell’VIII secolo. La leggenda narra d’un vecchio rinchiuso in quei labirinti e condannato a morire di consunzione. Il prigioniero fu salvato dalla pietà della figlia che lo tenne in vita nutrendolo di nascosto col latte dei propri seni.

Byron vi dedicò una poesia molto romantica che esalta la carità filiale. Accanto alla chiesa di San Nicola in Carcere, nel foro Olitorio, mercato degli ortaggi, sorgeva la «Colonna Lattaria»: ai suoi piedi si abbandonavano i bambini non desiderati che venivano affidati alla pietà dei cittadini.

Pietà, un bel problema, oggi. Ho fatto una ricerca, fra i pareri dei grandi personaggi, su questa parola. C’è chi la ama, e la decifra esattamente, e chi la rifiuta e la fraintende. Honoré de Balzac: «Il sentimento che l’uomo sopporta più difficilmente, soprattutto quando lo merita, è la pietà. L’odio è un tonico, fa vivere, ispira la vendetta, mentre la pietà uccide, rende ancora più debole la nostra debolezza». Sarà per questa ragione che la società di oggi, in cui la pietà sembra un bene perduto, o una rarità, è prostrata, tanto confusa su come e dove dirigere le energie e la voglia di vivere? Georges Bernanos: «Diffido della pietà. Esalta in me sentimenti piuttosto vili, un prurito di tutte le piaghe dell’anima!».

E così le piaghe si accumulano, fino al punto in cui il prurito cessa, si trasforma in male oscuro, e si stratifica l’assuefazione. In questi casi, persino uccidere un essere umano diventa, per induzione di negatività sepolte, un semplice gesto: si punta una pistola alla nuca, si spara.

Francis Scott Fitzgerald: «Raramente ci sentiamo pietosi verso coloro che desiderano ardentemente la nostra pietà e ne hanno bisogno: la riserviamo a coloro che con altri mezzi ci fanno esercitare la funzione astratta della misericordia». Si entra nella sfera, ben diversa, della compassione, degli atteggiamenti che, in quanto compassionevoli, ci scaricano la coscienza senza troppi coinvolgimenti della coscienza stessa. Ed è una scappatoia che spesso rende vile, sofisticata nella retorica, una comunione umana.

Allusione egoistica che troviamo ribadita in uno scrittore pur di rare finezze sensibili (è autore di Amanti, felici amanti) come Valery Larbaud: «Conserviamo più a lungo possibile la pietà, è il miglior condimento della vita per noi miliardari». Blaise Pascal: «Bisogna avere pietà gli uni per gli altri. Ma per gli uni bisogna avere una pietà che nasce dalla tenerezza, per gli altri una pietà che nasce dal disprezzo». Che significa? Forse l’errore, che oggi sempre più si commette, di distinguere fra gli individui, classificando fra i degni e gli indegni. La pietà è forte in se stessa, e va elargita a chiunque la meriti, senza pregiudizi. L’arroganza e la presunzione sociale, che travalicano nel razzismo e nella classificazione cieca dei diversi, è il male che ci sta sempre più avvelenando. Sorprendente questa massima di Leonardo Sciascia: «Un terribile sentimento, la pietà. Un uomo deve amare e odiare: mai avere pietà!».

Mi pare che, di nuovo, si rafforzino l’egoismo e l’individualismo. La pietà è sempre un sacrificio di se stessi, attraverso una compensazione reciproca. L’amore e l’odio, invece, sono mezzi dell’affermazione personale, in positivo e in negativo. In questo senso, centra perfettamente il bersaglio quel verso di Yeats: «Una pietà ineffabile si nasconde nel cuore dell’amore». Coerente passaggio a Dostoevskij: «La pietà è la più importante e forse l’unica legge di vita dell’umanità intera!».

Bisogna distinguere, infatti, fra virtù vissute in generosità, in dono, e virtù «usuraie» (che felice intuizione). In Foscolo leggiamo: «Tu, pietà, sei la sola virtù. Tutte le altre sono virtù usuraie».

di Alberto Bevilacqua, dal Corriere

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