di MARCELLO SORGI, dalla stampa
No, non devono trarre in inganno la dura contestazione leghista al Senato, che ha costretto il presidente Schifani a una sospensione della seduta, e l'aspro intervento di Di Pietro alla Camera, in cui il leader dell'Idv ha accusato Monti di fare nientemeno che voto di scambio, tra la fiducia al governo e la mancata asta per le frequenze televisive da giorni al centro di molte polemiche.
Malgrado la pesantezza dei toni delle opposizioni e la voluta teatralità, a favore di telecamere, dei comportamenti in aula, la manovra contenuta nel decreto “salva-Italia" infatti è entrata in dirittura d'arrivo: con la richiesta del voto di fiducia che arriverà questa mattina, il testo sarà approvato alla Camera entro la fine di questa settimana e passerà a partire dalla prossima al Senato, dove, se non ci saranno ulteriori modifiche, potrà definitivamente essere varato in tempo per le vacanze di Natale.
Gli incidenti a Palazzo Madama, dove Monti si era presentato solo per un'informativa sul vertice europeo, non erano affatto previsti. La Lega sta evidentemente usando la nuova collocazione all'opposizione per ritrovare l'intesa con la propria base, insofferente già in epoca berlusconiana alla politica di rigore imposta dalla crisi finanziaria e dall'Europa, e disorientata dalla mancanza di prospettive chiare in materia di elezioni.
Monti tuttavia, anche in prospettiva, dovrà affrontare il problema del rapporto tra l'esecutivo tecnico che presiede e le opposizioni. Se quello con i tre partiti della maggioranza ha richiesto un paio di settimane per essere risolto - passando dal regime dei vertici semiclandestini con Alfano, Bersani e Casini, alla trasparenza - la mancanza di canali di comunicazione con Lega e Idv, al di là di quello istituzionale del ministro per i rapporti con il Parlamento, è destinata ad aggravare il senso di esclusione dei due partiti, specie in una situazione in cui l'opposizione è fortemente minoritaria rispetto a una maggioranza larghissima, e sostanzialmente non in grado di influire sulla normale dialettica parlamentare. La tentazione di rifugiarsi nella propaganda, a questo punto, rischia di diventare quasi obbligata. E inevitabili le conseguenze di questo lavorìo sui due maggiori partiti, che per sostenere il governo hanno dovuto scontare la rottura delle rispettive coalizioni. Le critiche che Gasparri da destra e Bersani da sinistra hanno rivolto ieri al governo, in questo senso, sono solo un assaggio.
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