venerdì 11 novembre 2011


Addio poli si torna al centro




di MARCELLO SORGI,dalla "Stampa"

Se davvero, malgrado le fibrillazioni di queste ore, si arriverà domani all’approvazione della legge di stabilità e alle dimissioni di Berlusconi, domenica all'incarico a Monti e lunedì, o al massimo martedì, alla presentazione del nuovo governo, non saremo solo di fronte a uno dei più imprevedibili capovolgimenti della recente vicenda politica italiana, ma a qualcosa di più.

Infatti, sotto l’incalzare dei mercati internazionali, degli spread e delle ansie da titoli pubblici, in meno di una settimana e in un colpo avremo assistito insieme alla fine della Seconda Repubblica e della rivoluzione italiana.

Basta solo guardare quel che sta accadendo, per capire che la lunga infinita transizione che si trascinava da quasi vent’anni, invece di approdare a uno sbocco, sta finendo con l’autodistruzione di tutto ciò che pareva consolidato, ancorché incompiuto. Scompare il bipolarismo, cancellato dalle larghe intese, seppure nella versione tecno-politica imposta dal Quirinale, nell’ora dell’emergenza, con la scelta di un personaggio, come Monti, tra i pochi che possono ridare credibilità al Paese sul piano internazionale e mettere in pratica le riforme necessarie, chieste dall’Europa e finora edulcorate o rinviate. Le due coalizioni di centrodestra e centrosinistra, pilastri fragili dell’alternanza di governo in questi anni, sono implose: a destra e a sinistra, la Lega da una parte e l’Idv dall’altra vanno all’opposizione, mentre Pdl e Pd simmetricamente andranno a sostenere il nuovo governo. Che non lo faranno a cuor leggero, è evidente, e altrettanto che i mugugni e le sofferenze che si levano dalla pancia dei due maggiori partiti non sono destinati ad essere riassorbiti tanto facilmente.

Dopo ore e ore di vertici infruttuosi, il segretario del Pdl Alfano ha ammesso che il partito è spaccato. Incredibilmente, i dissidenti berlusconiani di oggi rivolgono al loro leader un’accusa molto simile a quella che gli faceva il centrosinistra ai tempi della discesa in campo, quando lo attaccava sul conflitto di interessi. Gli avversari di Berlusconi dicevano allora che Berlusconi aveva fondato il partito per salvare le sue aziende; oggi i suoi ex amici sostengono che per la stessa ragione se l'è venduto, e per questo ha deciso di aprire a Monti e al governo di larghe intese.

Ma anche dentro il Pd il travaglio è forte, mitigato appena dalla sordina del rispetto aggiuntivo dovuto a un Capo dello Stato che proviene dalle file della sinistra. La svolta pro Monti si porta dietro la rinuncia a una tornata elettorale in cui dopo molto tempo l’alleanza Pd-Idv-Sel partiva favorita; alla candidatura alla premiership di Bersani che in queste condizioni pareva possibile; al probabile aggancio di Casini e del Terzo polo, perseguito da anni e solo adesso giunto a maturazione.

Una dopo l’altra, con la rottura delle alleanze, vacillano ambizioni che parevano certezze e tutti davano quasi per scontate: non c’è più uno andrà al governo e l’altro all’opposizione il ticket Alfano-Maroni che doveva mandare in pensione l’assai usurato tandem Berlusconi-Bossi e aprire dopo un ventennio il ricambio generazionale nel centrodestra. È divisa anche la pattuglia di pretoriani ex An fino a ieri stretta attorno al Cavaliere: Gasparri resterà, se ne andrà La Russa, insospettito dal peso che la componente Cl di Formigoni e Lupi potrebbe avere nel nuovo governo, Matteoli e Alemanno sono già lontani, fedeli al motto mai al governo con i comunisti. Mentre Vendola, a sorpresa, e manco a farlo apposta, ha annunciato che sosterrà Monti.

I partiti liquidi, leggeri, evanescenti, fatti solo di comunicazione e presenze televisive, sono in via di scioglimento. Alla fine l’unica idea forte in questa fase, che accomuna il malessere di tanti ex diversi tra loro, è la convergenza al centro. Tutti gli ex democristiani di ogni parte ne avvertono il richiamo irresistibile. La resurrezione in qualsiasi forma della Dc, che fino a un mese fa sembrava solo il miraggio di alcuni nostalgici, ora invece prende forma. Sembra impossibile che come la fine della Prima Repubblica era scoccata con la spaccatura dello Scudocrociato tra sinistra e destra e il processo per mafia contro Andreotti, la fine della Seconda è segnata dal ritorno di Pomicino che riporta a casa la Carlucci.

Se il professor Monti non avesse già un bel da fare con la crisi economica e con la necessità di riguadagnare al più presto la fiducia dei mercati, sono tutti lì ad aspettare che magari in un intervallo delle consultazioni dica una parola sul proporzionale. Ma anche se non la dirà, questo è il logico approdo di quel che sta accadendo: il centrismo dopo anni di destra e sinistra incapaci di governare; i partiti, quelli veri, dopo le coalizioni tenute insieme a forza dagli stati di necessità. E un sistema elettorale normale, il più normale di tutti, che consenta a ciascuno di stare per conto suo e ricominciare a tessere, se ne è capace, la vecchia e intramontabile tela della politica.

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